L’economia circolare in Italia registra un’altra frenata e si allontana ulteriormente dagli obiettivi del 2030: a dirlo è il Circular Economy Report 2024, redatto dal gruppo Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano.
La ricerca, che quest’anno ha interessato un campione di aziende più rappresentativo (8 macro settori – arredi, costruzioni, elettronica, impiantistica industriale, tessile, alimentare, autoveicoli, imballaggi – invece di 7), ha evidenziato che nel 2024 anno l’economia circolare ha fatto risparmiare alle imprese italiane solo 800 milioni di euro in più rispetto al 2023 (quando l’aumento era stato di 1.200 milioni), portando il risparmio totale a 16,4 miliardi l’anno.
Un numero ben lontano dai 119 miliardi “teorici” a cui dovremmo aspirare e che indica che stiamo sfruttando solo il 14% del potenziale, con un divario ormai difficilmente colmabile da qui al 2030.
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Investimenti nell’economia circolare: le imprese ancora ferme a una fase esplorativa
Le aziende che hanno adottato almeno una pratica di economia circolare, infatti, si fermano al 42%. La percentuale sale al 46% nelle grandi aziende. Il 36% delle imprese, invece, è ancora scettico e non ha programmi neanche per il futuro, mentre il 22% ne avrebbe intenzione.
Se si scende di dimensioni, poi, le percentuali si avvicinano, fino ad arrivare alle PMI dove gli scettici (il 39% e in crescita) superano gli adottatori (37%).
Il 31% delle imprese circolari ha sede in Lombardia e la presenza è in genere più massiccia nel Nord Italia. La strada per dichiararsi completamente circolare, comunque, è ancora lunga: in una scala da 1 a 5, il valore medio di adozione che le aziende si danno è di 2,24 e solo il 3% del campione (in larga parte nel mondo degli imballaggi) si attribuisce il massimo.
“È purtroppo evidente come le pratiche di economia circolare non siano entrate nel core business delle imprese – commenta Vittorio Chiesa, direttore di Energy&Strategy – e si sia invece, prendendo a riferimento la totalità del campione, in una fase ancora esplorativa delle possibili soluzioni“.
Al contrario il sistema finanziario sta indirizzando sempre di più i capitali verso investimenti che favoriscono questo innovativo modello economico: i green bond emessi dalle principali banche italiane hanno raggiunto quasi 8 miliardi di euro, il 74% in più rispetto all’anno precedente. E sta crescendo anche la consulenza in ambito sostenibilità (+25%).
“È successo un po’ come nel risparmio energetico: finché si trattava di fare interventi semplici e poco dispendiosi, in questo caso recuperare e valorizzare gli scarti, è andato tutto bene, ma adesso che occorre investire nella riorganizzazione dei processi industriali e delle filiere, la questione cambia”, spiega Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S.
Tra le pratiche di economia circolare più diffuse spicca ancora il riciclo (60%), seguito dal progettare senza scarti (43%) e dal design orientato a una facile riparazione (48%). Tra le pratiche meno applicate si trovano invece la riparazione (8%), la “servitizzazione” (il passaggio dalla vendita di un prodotto alla fornitura di servizi, 22%) e la riconsegna dei prodotti (28%).
Come sta cambiando l’ecosistema dell’economia circolare in Italia?
Non c’è solo il sistema finanziario a rivestire un ruolo fondamentale nella transizione verso un’economia circolare, anche il settore della consulenza in ambito sostenibilità sta registrando un’espansione significativa: a fine anno si prevede che questo mercato raggiunga un valore di 800 milioni di euro, cioè il 13% del totale della consulenza in Italia, con un aumento del 25% rispetto all’anno precedente.
Nonostante i progressi, invece, la crescita nei settori degli enti di certificazione, degli studi legali e della formazione appare più lenta e moderata e la loro presenza sul territorio risulta disomogenea: mentre il Nord Italia concentra un numero significativo di queste risorse, il Sud rimane in gran parte privo di un supporto strutturato.
Ad esempio tra i primi 50 studi legali italiani per fatturato, quelli che offrono servizi dedicati alla sostenibilità e all’economia circolare sono il 54% e si trovano in Lombardia e Lazio, regioni caratterizzate da un ecosistema imprenditoriale attivo e da iniziative orientate all’innovazione sostenibile.
Al contrario nel Sud Italia questi servizi risultano praticamente assenti. Analogamente gli enti di certificazione svolgono un ruolo fondamentale nel sostenere la transizione verso l’economia circolare, offrendo servizi di verifica conformi a norme come ISO, EMAS ed EASI: gli enti abilitati a certificare in ambiti legati alla circolarità rappresentano solo il 10% del totale e sono quasi completamente assenti al Sud.
“La mancanza di un’integrazione efficace tra i diversi attori, combinata con l’assenza di standard consolidati, rappresenta una sfida cruciale: la frammentazione rende difficile per le imprese accedere a un’assistenza coordinata e strutturata, limitando la loro capacità di implementare strategie circolari in modo completo”, spiega Chiaroni.
L’evoluzione della normativa: verso un maggior “peso” della circolarità nei report di sostenibilità
Nel 2024 sono maturate una serie di normative e standard internazionali che rappresentano una spinta decisiva verso la piena integrazione dei principi di sostenibilità nelle attività economiche. Sebbene il panorama italiano evidenzi alcune carenze strutturali, il rafforzamento della rendicontazione e l’allineamento alle pratiche internazionali potranno contribuire a colmare queste lacune, spingendo il mercato verso un futuro più circolare, responsabile e competitivo.
Ad esempio la Direttiva CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) ha introdotto, su mandato della Commissione Europea, standard unici per la rendicontazione di sostenibilità, gli European Sustainability Reporting Standard (ESRS). Parallelamente, la tassonomia dell’UE, un sistema di classificazione per identificare attività economiche sostenibili, si è integrata con i nuovi criteri tecnici di valutazione entrati in vigore a gennaio 2024, che includono esplicitamente la transizione verso un’economia circolare.
Nel contesto internazionale l’ISO ha pubblicato una serie di nuovi standard che forniscono un linguaggio comune e una guida dettagliata per l’attuazione dei principi di economia circolare. A livello nazionale l’aggiornamento della normativa tecnica UNI/TS 11820:2024 rappresenta un ulteriore passo in avanti, consentendo di valutare il livello di circolarità di un’organizzazione attraverso indicatori chiave che generano un punteggio finale compreso tra 0% e 100%. Tre le modalità di valutazione: autovalutazione, valutazione da parte dei clienti e verifica indipendente da parte di enti accreditati.
Allargando lo sguardo vi sono anche altre normative che nel 2024 hanno dato ulteriore stimolo all’adozione dell’economia circolare, come quelle sull’ecodesign, sul diritto alla riparazione e sulla responsabilità estesa del produttore, che stanno ridefinendo le filiere produttive e promuovendo pratiche sostenibili lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti.
Né va dimenticata la regolamentazione delle materie prime critiche: iniziative come il Critical Raw Materials Act dell’UE e il Decreto Materie Prime Critiche italiano (del giugno 2024) cercano di rafforzare la trasparenza e la sostenibilità delle filiere, favorendo l’autonomia europea nell’approvvigionamento e nell’utilizzo di materiali strategici.
Le cento storie di successo dell’economia circolare
Uno degli obiettivi del Circular Economy Report 2024 è stata la raccolta e la sistematizzazione delle principali storie di successo dell’economia circolare nel nostro Paese, a partire da database esistenti ma anche monitorando le notizie di stampa.
Sono state considerate solo le imprese che forniscono già al mercato prodotti secondo modelli di business circolari, indipendentemente dalla loro dimensione. Ne è emerso uno spaccato estremamente interessante di come la circular economy sia declinata in Italia.
Dal punto di vista geografico c’è una chiara prevalenza del Nord Italia, con in testa Lombardia (32% delle aziende esaminate), Piemonte (15%) e Toscana (12%).
Tra le grandissime aziende, invece, è difficile trovare storie di successo, perché i prodotti circolari, laddove presenti, spesso sono ancora a livello di test o sono destinati specifiche nicchie di mercato. In termini relativi, colpisce la scarsa presenza (22%) di medie imprese, quelle tra 50 e 250 dipendenti e qualche centinaia di milioni di euro di fatturato, che rappresentano la parte preponderante del nostro tessuto industriale.
La maggioranza delle storie di successo (59%) riguarda imprese fondate prima del 2000 e nel 18% dei casi l’adozione dell’economia circolare è vecchia di quasi 20 anni: si tratta quindi, in qualche modo, di pionieri.
Vi sono però anche aziende giovani costituite tra 2015 ed il 2020, quindi nel periodo pre-covid, che sono proprio nate con l’intento di operare secondo i principi dell’economia circolare: questo cluster riflette l’emergere di una nuova generazione imprenditoriale orientata alla sostenibilità e capace di rispondere alle sfide ambientali con modelli di business innovativi. Il 35% dei casi si colloca nell’ultimo quinquennio (2020-2024) e rappresenta un’accelerazione che dà un segnale positivo.
Qual è il segreto del successo di queste imprese virtuose? Non certo il ricorso ai finanziamenti pubblici (che ha interessato solo il 27% del campione e che, peraltro, non sono consistenti), ma l’adozione di soluzioni circolari allo stesso tempo sostenibili ed economicamente pronte per il mercato.
In 76 casi su 100 si è partiti dal riciclo per integrarlo con pratiche di riprogettazione del prodotto, che diventano la vera chiave per abilitare un riciclo di successo. Altrettanto utilizzate sono le pratiche di riuso (34 casi), conversione (23) e riparazione (22), ad indicare come i cicli dell’economia circolare siano la strada per immaginare nuovi modelli di business.