“Avere paura della tecnologia non è giocare una partita, ma solo un modo di stare in panchina. Industria 4.0 è l’ultima opportunità che abbiamo per riportare la manifattura al centro e, ne sono convinto, la tecnologia sarà il nostro alleato per liberarci nel lavoro e non dal lavoro“. Non sono le parole di un imprenditore della robotica, ma quelle che ha pronunciato Marco Bentivogli, segretario generale Fim Cisl, in occasione dell’incontro intitolato “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro… e i robot?”, organizzato da Siri, l’associazione di robotica e automazione, e Ucimu – Sistemi per produrre, l’associazione dei costruttori di macchine utensili, robot e automazione.
Il pensiero di Bentivogli è chiaro: “Non sono un tecno-ottimista, ma trovo assurdi gli attacchi dei tecnofobi che annunciano la fine del lavoro: è una fake news“. Occorre comprendere – aggiunge il sindacalista – che un uso sapiente della tecnologia rappresenta un’enorme opportunità di migliorare la qualità del lavoro e riportare (o mantenere) il lavoro in Italia. “Il lavoro va umanizzato, ma non tutti i lavori sono umanizzabili. La tecnologia può contribuire fattivamente a collocare l’umano sugli aspetti in cui l’umano è imbattibile“, spiega Bentivogli.
Anche la comunicazione ha il suo ruolo. “In Germania la Merkel annuncia che con Industrie 4.0 si creeranno 400 mila posti di lavoro in più. Perché in Italia questo non deve essere possibile?”.
Sull’intelligenza artificiale: “Di Bill Gates ed Elon Musk non mi fido. La robotica e l’intelligenza artificiale non sono forse oggi quello che il PC e Office hanno rappresentato negli scorsi decenni?”.
Sul tema della formazione: “Il diritto soggettivo alla formazione del lavoratore è una conquista fondamentale. E le aziende devono capire che, se vogliono essere credibili quando dicono che il lavoratore è una risorsa, devono imparare a coinvolgerlo di più”.
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I robot creano lavoro?
“I robot – sottolinea Domenico Appendino, presidente di Siri – non saranno in grado di sostituire gli esseri umani in attività non ripetitive e non manuali come controllo qualità, processo decisionale complesso, operazioni che richiedono destrezza caratterizzati da imprevedibilità. Lavoreremo insieme, con gli uomini che si spostano su attività higher skilled e higher paid come programmazione, supervisione e mantenimento dei robot”.
In Italia e nei paesi emergenti o recentemente emersi “la correlazione tra numero di robot e disoccupati è inversa: al crescere del numero di robot installati la disoccupazione diminuisce“, afferma Appendino, che snocciola le cifre di diversi studi. “Secondo i dati IFR nel 2016 gli 1,8 milioni di robot installati hanno generato tra i 10 e i 12 milioni di posti di lavoro nel mondo; nel 2020 questi numeri sono destinati a crescere: i robot saranno 2 milioni e i posti di lavoro creati tra i 10 e i 14 milioni”. Nell’Unione Europea – dice Appendino – tra il 1999 e il 2011 grazie alla tecnologia sono stati creati 10 milioni di posti di lavoro. Nei paesi dell’area OCSE tra il 1993 e il 2016 gli investimenti in robot hanno determinato una crescita del PIL del 10%”.
Inoltre “i paesi che hanno investito in robot hanno perso meno posti di lavoro“. Una delle ragioni è che la robotica è una tecnologia che consente di aumentare la competitività e, in questo modo, è uno dei fattori del “reshoring”, cioè del rientro in patria degli stabilimenti precedentemente delocalizzati.
Appendino è infine intervenuto sul tema della necessità di regolamentare Intelligenza Artificiale e robot super-intelligenti, come ha richiesto una recente risoluzione del Parlamento Europeo. “La regolamentazione è necessaria. Ma anche il Parlamento Europeo ha rifiutato l’idea di una robot tax”.
Esempi reali
In occasione dell’incontro diverse aziende hanno portato all’attenzione della platea le loro storie di “robotizzazione”.
“Nella nostra visione l’uomo è al centro”, ha detto Cristian Locatelli, direttore generale Camozzi Digital. L’introduzione di YuMi, il robot collaborativo di ABB, “è stato un esperimento di interazione e integrazione”. L’azienda bresciana si propone di “alleviare i lavori usuranti, ridurre la fatica e l’impatto psicologico dei lavori altamente ripetitivi” e di “trasmettere competenza di dominio a nuove generazioni, favorire il confronto generazionale e convogliare l’esperienza intellettuale in attività a maggiore valore aggiunto”.
La scelta di passare ai robot – ha detto Renzo Pagliero, amministratore delegato di Multitel Pagliero – è stata influenzata dalla difficoltà che abbiamo riscontrato nel trovare sul mercato del lavoro personale altamente specializzato. Considerando anche che la saldatura è un lavoro faticoso e pericoloso per il lavoratore”. L’azienda è cresciuta in quattro anni, passando da 170 a 450 persone.
Interessante anche il caso raccontato da Marco Galvan, amministratore delegato di Newform. “Avevamo torni a controllo numerico, ma i nostri programmatori dovevano impiegare il loro tempo per lavare a mano i pezzi e trasportare pesanti pallet. Abbiamo investito sulla formazione dei nostri tecnici e in pochi mesi abbiamo installato 10 robot di cui abbiamo curato noi stessi la programmazione. Sono dell’avviso che senza le persone 4.0 non si va da nessuna parte”.
“In Sabaf la robotizzazione nasce perché dovevamo produrre tanti pezzi uguali, garantendo la stessa qualità in diversi stabilimenti”, ha detto Massimo Dora, direttore tecnico dell’azienda che produce componenti per la cottura domestica. “Il primo robot lo abbiamo installato nel 1994 quando fatturavamo 60 milioni ed eravamo un’azienda con 400 dipendenti. Fino al 2012 abbiamo pensato solo a rendere meno ripetitivo e faticoso il lavoro delle persone, ma dal 2013 abbiamo compreso che grazie all’automazione 4.0 potevamo diventare più competitivi: dovevamo robotizzare gestendo la polverizzazione della domanda”. Oggi negli stabilimenti Sabaf sono installati 100 robot, “anche in Turchia e Cina”, sottolinea Dora. Oltre a poter realizzare lo stesso prodotto nei vari stabilimenti, grazie alla standardizzazione dei processi, è stato possibile aumentare la varietà dei prodotti e ridurre il numero di pezzi che compongono i lotti: “Da 19 mila codici e 4000 pezzi medi per lotto oggi siamo passati a 29 mila codici e 700 pezzi per lotto, riducendo anche il time-to-market”.
Qualche numero?
Secondo i dati dell’IFR (International Federation of Robotics) nel 2016 sono stati installati nel mondo 294 mila robot industriali, una cifra che supererà le 500 mila unità nel 2021. “Complessivamente i robot industriali attivi oggi nel mondo sono 1,8 milioni“, sottolinea Arturo Baroncelli di Comau, past president dell’associazione.
I principali settori applicativi sono automotive, elettronica (in crescita del 41%), metal, chimica e plastica e food. Il principale consumatore mondiale è la Cina, con 87 mila robot acquistati nel 2016: Ma la Cina è ancora sotto la media se si considera la percentuale di robot sui lavoratori: solo 68 macchine ogni 10 mila umani, contro una media mondiale di 74 su 10.000; seguono Corea e Giappone con circa 40 mila robot, poi Stati Uniti, Germania, Taiwan.
E l‘Italia? Nel settore manifatturiero l’Italia può vantare una media di 185 robot installati ogni 10.000 impiegati. Nella classifica dei consumatori di robot il Belpaese è settimo con 6.500 unità installate nel 2016. “Il mercato nel 2016 ha perso il 3%, dopo però due anni di forte crescita”, spiega Appendino. Complessivamente nel 2016 in Italia risultavano installati 62.100 robot.
A differenza di quanto avviene nel resto del mondo, non è l’automotive il primo settore di impiego di robot industriali in Italia, ma il Metal, seguito da Plastica e Chimica.