Come abbiamo avuto più volte modo di sottolineare, il digitale è in grado di aumentare il valore delle imprese di produzione: il raggiungimento di maggiore efficienza e la possibilità di aumentare la qualità dei prodotti permettono una gestione innovativa del rapporto con i clienti, aprono a nuovi mercati e allo sviluppo di nuovi modelli di business.
Ma è solo unendo l’attenzione alla tecnologia all’attenzione strategica alla generazione di valore che si possono comprendere appieno gli straordinari vantaggi che il digitale può portare nelle imprese manifatturiere: la centralità della digital transformation si coglie nella misura in cui questa abilita, direttamente, la generazione di un vantaggio competitivo.
Sulla base di queste considerazioni, nelle scorse settimane Industry4Business, in collaborazione con Var Group e DELL Technologies, ha promosso un incontro dal titolo “Industry 4.0: è l’innovazione digitale il fattore abilitante per il manifatturiero”, con il preciso obiettivo di mettere in luce i vantaggi concreti, diretti e indiretti, delle soluzioni digitali per il mondo della produzione manifatturiera nelle varie declinazioni di settore.
Indice degli argomenti
Industria 4.0: l’importanza di partire dalla prospettiva del business
“Quando parliamo di Industria 4.0 facciamo riferimento al supporto che le tecnologie digitali possono dare al raggiungimento di nuova efficacia e nuova competitività. Il problema è che troppo spesso le aziende affrontano il tema partendo dalle tecnologie, ovvero dalla ricerca di quelle leve tecnologiche che solitamente si considerano abilitanti per il 4.0. Poi verificano la presenza o meno all’interno della loro organizzazione di competenze adeguate e in ultimo analizzano le esigenze del cliente e il modello di business. Sarebbe tuttavia più logico un approccio a ordine invertito: il 4.0 sfrutta la tecnologia ma è un tema di business, di comprensione del mercato, delle esigenze dei clienti, delle opportunità di nuovi prodotti e servizi”.
È da questo presupposto che parte il contributo di Anna Lancini, esperta di innovazione digitale per il mondo manifatturiero e manager IQ Consulting che sottolinea come “Molto spesso le aziende italiane sono abituate a parlare di prodotto, sono brave, sono fiduciose, ma negli scorsi anni, mosse dai diversi piani di incentivazione promossi dalle diverse finanziarie, hanno finito per investire prevalentemente nelle tecnologie e oggi si domandano come fare e cosa fare con tutti i dati che stanno generando, soprattutto per differenziarsi rispetto ai loro clienti. Questo è un peccato originale, che deriva dall’essere partiti dalle tecnologie e non dal business.”
Gli ostacoli che le aziende incontrano nei loro percorsi di trasformazione non sono rappresentati tanto dalle tecnologie, che comunque sono arrivate ad un livello interessante di maturazione, quanto dagli investimenti, che restano ancora significativi, e dalla capacità di intervenire sui processi organizzativi.
La centralità delle persone e del change management per l’Industria 4.0
“I progetti di trasformazione – spiega Lancini – nella stragrande maggioranza dei casi sono guidati da direttori IT e Operation: molto difficilmente partono da management e business e ancora più difficilmente vedono coinvolto l’HR. Eppure, le persone devono essere guidate a vivere in questo nuovo mondo, ad acquisire le competenze che non hanno, ad acquisire nuove skill”.
Il vero differenziale si apre quando si parla di nuovi modelli di business, in particolare nell’ambito della servitizzazione. I prodotti connessi consentono di raccogliere dati che non si fermano alla rappresentazione delle sole transazioni aziendali: al contrario, si aprono nuovi scenari sul cliente, sui suoi comportamenti, sulle modalità di utilizzo e persino sul mercato.
“Il vero problema è che il prodotto connesso deve essere portato sul mercato e offerto al cliente suscitando in lui un interesse reale di fronte alla prospettiva di un beneficio altrettanto reale. Diversamente, perché mai il cliente dovrebbe darci questa possibilità di lettura dei dati? Lo può fare solo se grazie alla raccolta e all’analisi di questo patrimonio di conoscenza si riesce a poi a fornirgli un prodotto, magari in forma di servizio, sempre più vicino ai suoi desideri”.
Var Group: il ruolo del System Integrator per l’Industria 4.0
In questo scenario, un ruolo importante lo svolgono i System Integrator, realtà che riescono ad affrontare tutti temi della trasformazione nel manifatturiero. “Un misunderstanding che bisogna sfatare è che il 4.0 sia una questione di tecnologie – conferma Fabio Massimo Marchetti, Head of Digital Process Division, Var Group sulla scia di quanto già evidenziato da Anna Lancini -. Non è così. Per quanto importantissima non si può ridurre tutto a tecnologia: bisogna guardare alla revisione dei processi. E in Var Group affrontiamo questo percorso partendo proprio dall’analisi dei processi e degli obiettivi aziendali. Noi abbiamo una nostra visione di come sia possibile migliorare i processi interni ed esterni, e la proponiamo, dando indicazioni molto pratiche e concrete. Inoltre, siamo anche in grado di portare le aziende nostre clienti verso un’analisi più puntuale dei dati, partendo dal fatto che spesso i dati che servono già ci sono: oggi le aziende corrono il rischio di essere dei veri e propri recipienti di dati che non vengono utilizzati”.
Secondo Marchetti, tecnologie e processi ancora non bastano: è fondamentale non dimenticarsi le persone. “Il 4.0 non elimina le persone, anzi, al contrario le può valorizzare ancora di più purché si lavori proprio su un ridisegno dei processi. Nel paradigma 4.0 è implicito un percorso di cambiamento nel ruolo delle persone, che si devono mettere in relazione al tema del change management. Molte figure intermedie perdono di scopo, perché le loro attività vengono automatizzate, mentre resiste una certa polarizzazione sulle attività legate alla gestione della macchina, che continuano ad avere bisogno dell’intervento dell’uomo. In questo contesto, è fondamentale far capire alle persone che possono essere potenziate dalle tecnologie. Non a caso si parla di empowerment del personale”.
Change management e Industria 4.0 insieme per sviluppare progetti coerenti con gli obiettivi aziendali
Nella visione di Var Group, nel momento in cui si parte con un progetto di trasformazione, guidato da obiettivi ben definiti, è importante che si avvii anche un processo di conoscenza reciproca con le aziende. Var Group come System Integrator deve essere a conoscenza di come l’azienda intende muoversi e della sua cultura specifica. “Quando si porta il 4.0 in azienda, non si vende una soluzione di realtà aumentata, bensì un progetto coerente con ciò che l’azienda intende fare”.
È chiaro che lo scenario cambia anche in relazione alle dimensioni aziendali.
Per Marchetti “può essere più facile lavorare con le piccole e medie imprese che con le grandi, che comunque sono inserite in contesti internazionali. La piccola media ha una struttura di management diretta, è più facile capirsi quando ci si siede al tavolo. Spesso si parte con progetti piccoli e poi sono le aziende stesse che ne capiscono i benefici e vogliono ampliare la portata dei progetti stessi”.
Come accelerare il cambiamento in chiave 4.0 e il ruolo dell’ecosistema
È per questo che a Marchetti non piace molto la definizione “disruptive”.
“Potremmo definire l’industria 4.0 disruptive se si chiudesse l’azienda, si cambiasse tutto per poi ripartire da zero. In realtà è un percorso, composto da tanti step, per il quale servono aziende figure che coordinino, gestiscano, guidino. Non si tratta di voltare pagina, ma di accelerare il cambiamento”.
C’è poi un ulteriore punto che Marchetti vuole sottolineare: “Nel mondo 4.0 sapere fare tutto è impossibile. Per questo bisogna saper costruire un ecosistema coerente, facendo scouting sulle tecnologie, sulle risorse, sulle competenze. Bisogna avere focalizzazioni e saper costruire aggregazioni, per poter elaborare proposte veloci e facilmente realizzabili”.
Alessandro Di Odoardo, Area Manager Emilia-Romagna, Var Group testimonia il cambiamento che ha vissuto Var Group: da grande rivenditore a partner che accompagna il cambiamento delle aziende. “Andiamo verso un mondo, quello dell’industria digitale, sempre più interconnesso e in prospettiva dovremo aiutare i nostri clienti a disegnare modelli di impresa connessa ma sicura” conclude Di Odoardo.
Dell: servono architetture che accolgono sempre più dati
Persone, change management, competenze e attenzione al business, nello sviluppo di percorsi di trasformazione, la tecnologia è un fattore chiave, che abilita il passaggio all’Industria 4.0. Ed è proprio lo sviluppo di tecnologie abilitanti è l’obiettivo che si pone Dell, così come spiega Arturo Prencipe, Dell Technologies IOT Platform: “Noi percepiamo oggi la necessità di architetture che modifichino anche le basi su cui era nato l’IoT. Oggi non esiste uno spazio fisico che possa accogliere la quantità enorme di dati a disposizione, per non parlare di quelli che verranno generati in futuro. Il nostro compito è dunque quello di realizzare una architettura in grado di garantire alle aziende la possibilità di crescere e di accedere allo sviluppo in modo scalabile e con la massima coerenza con il business”.
Ma se i dati sono il cuore della trasformazione in chiave 4.0, dove creano il nuovo valore di cui tanto si parla?
Per Prencipe i dati creano valore nelle Operation, in contesti in cui si parla di predictive maintenance o di quality assurance, nella Customer experience, ad esempio e in particolare per il mondo del retail dove si crea un nuovo modo di interagire con gli utenti finali, con soluzioni che evidenziano criticità e opportunità all’interno del punto vendita, e ancora nella Sicurezza, sia per le persone che operano in ambito industriale, sia per i dati. Per poi arrivare alla data monetization, quest’ultimo da interpretare come un nuovo business, come una forma molto concreta di diversificazione del business e come un ambito, forse difficile più difficile da persorrere, in cui il dato assume uno score e dunque può essere messo sul mercato.
Nell’Industria 4.0 la sicurezza deve approdare alla logica Security by Design
Secondo Anna Lancini, fino a qualche tempo fa, gran parte dei processi non era codificata in dati, per cui c’era una parte del know how di impresa che era appannaggio degli appartenenti all’impresa stessa. “Più si procede verso la digitalizzazione, più si va verso una trascrizione del know how in dati e i dati hanno una loro vulnerabilità: le aziende lo percepiscono ma non sanno come affrontare questo tema. C’è un punto di vista certamente tecnico: bisogna pensare alle vulnerabilità, ai casi d’uso, alle specificità del proprio business. Quando si connette un prodotto si apre sistematicamente una vulnerabilità verso i dati aziendali. C’è un tema tecnologico da gestire e va affrontato nel mondo opportuno e per tempo. Senza fare terrorismo, ma nel percorso di trasformazione questo è uno degli aspetti che non si può evitare di affrontare”.
Non è un caso che si parli di Security By Design.
La sicurezza secondo Var Group
“In Var Group – spiega Fabio Massimo Marchetti, Head of Digital Process Division, Var Group – è stata da tempo costituita la divisione Digital Security, con la quale esiste una forte sinergia, anche se quando si parla di ambito industriale si va su domini diversi rispetto alla tradizionale security IT”.
La Security By Design significa integrare la sicurezza nel dispositivo elettronico fin nella sua fase di progettazione.
“Non possiamo poi trascurare il tema delle piattaforme: noi lavoriamo con tutti, da IBM ad AWS, da Azure a Google, così come su piattaforme private, o su componenti privati in un cloud pubblico, o ancora su componenti privati in una infrastruttura aziendale. A prescindere dalla piattaforma, il dato di fatto è che la sicurezza non può essere trascurata e deve essere affrontata con criteri evoluti”.
C’è un punto su cui Marchetti pone l’accento: “La sicurezza non è nulla se non inserita all’interno di un processo che la gestisce. Non basta introdurre dei meccanismi, bisogna pensare in logica di processo, in logica di continuità”.
Industria 4.0 e change management: parlano le aziende
Change management nell’agroalimentare
Sull’importanza del change management, introdotto all’inizio dei lavori proprio da Marchetti, interviene Michele Gottardi, It Project Manager di Nuova Castelli, realtà che produce formaggi DOP, dal Parmigiano Reggiano a Gorgonzola, per mercati internazionali.
“In un percorso di digital transformation, il progetto di change management lo ha fatto l’IT. Specialmente in un mercato di nicchia come quello alimentare, che ha una sua storicità, l’impatto dei nuovi processi è molto importante. Dire a chi tagliava a mano il formaggio che oggi deve affidare tutto a una macchina e assumere funzioni di controllo, non è così facile; non è facile far capire che il valore della persona è la sua capacità di certificare il processo, anche se non lo fa più manualmente. Quindi l’operaio ha paura di perdere il controllo, perché non lo fa più manualmente”.
Un altro tema sul quale la società sta lavorando è la blockchain. Consapevole di quanto le frodi alimentari tocchino i prodotti del Made in Italy, Nuova Castelli riconosce l’importanza di processi di auditing e di certificazione più veloci, più sicuri e certificati.
“Per una realtà come la nostra, digitalizzare le informazioni è un valore di business”, conclude.
Un cambiamento che parte dall’ascolto dei clienti
Giampaolo Morandi, General Manager IEMCA, gruppo Bucci Industries, a sua volta spiega: “Per noi il 4.0 è partito un po’ al contrario: abbiamo dato priorità alle esigenze dei clienti. Oggi le tecnologie abilitanti sono diventate sufficientemente economiche e sufficientemente semplici per essere utilizzate e così noi oggi in Italia contiamo oltre 600 delle nostre macchine connesse e dunque in grado di trasmetterci dati per interventi di monitoraggio o riparazione. Il punto è che noi nel mondo abbiamo un installato che supera le 100.000 macchine: il nostro mondo ha vissuto l’arrivo della digitalizzazione come l’arrivo degli alieni”.
Convinto che bene fece il Governo a varare il Piano Industria 4.0, si dice altrettanto consapevole che il mercato nel quale opera “queste cose le capirà tra 10-15 anni: non le hanno ancora interiorizzate. Parlare di servitizzazione, poi, è effettivamente molto lontano dal loro sentire, anche se qualcuno ha cominciato a capire che c’erano delle opportunità all’orizzonte”.
Si dice fondamentalmente fiducioso, anche se “dare valore e un valore monetario a questi processi di innovazione non sarà facile”.
Il ruolo e i benefici del Piano Industria 4.0
Anche Franca Bisi, Indirect Purchase Manager di Rossi, società che produce ingranaggi e motoriduttori, il tema dell’industria 4.0 è stato affrontato sulla spinte dei finanziamenti del piano governativo. “Abbiamo lavorato sul tema industria 4.0 prevalentemente in relazione all’accesso agli sgravi fiscali: abbiamo fatto molta fatica per riuscire a cogliere le agevolazioni, è stato un processo complicatissimo, anche perché nel 90% dei casi i nostri partner e interlocutori sono dislocati tra Germania, Svizzera e Austria e si muovono con dinamiche diverse, non capivano quali erano i requisiti ai quali dovevamo rispondere. In ogni caso, finora non ci siamo concentrati sui processi”.
Il risultato comunque è che la spinta dei finanziamenti e delle agevolazioni ha aperto alla Rossi il tema dell’interconnessione. “Per noi la raccolta dei dati risponde a una logica di manutenzione preventiva e predittiva. Possiamo dire al nostro utente, magari in relazione a una gru installata in un porto dall’altra parte del mondo che entro un paio d’ore sarà necessario effettuare un determinato intervento di manutenzione, ad esempio un cambio d’olio. Un cambiamento straordinario in termini di qualità del rapporto con i clienti. L’intervento avviene in forma preventiva, ben prima che il riduttore cessi di funzionare a causa di un guasto. Questo cambia completamente le prospettive sia per noi sia per i nostri clienti”.
Tracciabilità e normative nei processi di innovazione del pharma
I clienti sono stati il motore dell’approccio al 4.0 per MG2, società che opera nel settore dei macchinari per il settore Pharma, così come spiega Sergio Cicognani – Technical Director della società: “Siamo partiti da una implementazione fatta per accontentare i nostri clienti che volevano cogliere le opportunità legate ai finanziamenti. Poi ci siamo resi conto delle reali opportunità, legate ad esempio, alla tracciabilità: ci siamo chiesti, avendo tutti i sensori e i dati, cosa poter fare in più. Attualmente stiamo lavorando sia sulla manutenzione predittiva, sia sul tema delle reti neurali usate per massimizzare l’efficienza. Ci sembra che qui si trovino effettivamente nuove opportunità per sfruttare il valore del dato usando deep learning, machine learning, supervised e unsupervised learning per costruire modelli che migliorano produttività ed efficienze e che possono essere addestrati velocemente”.
Dalla sensorizzazione delle macchine ai modelli di business per valorizzare i dati
Infine, Antonio Del Vuono, di Nexion Group, riporta a un tema non banale: quello della compliance. “Il nostro gruppo lavora nel settore delle attrezzature per officina e per il controllo tecnico delle auto, quindi dai gommisti a chi effettua le revisioni. Le nostre macchine sono tutte sensorizzate: parliamo di attrezzature che servono per calibrare e ricalibrare i sensori che sono montati sulle macchine. Nel nostro caso, l’approccio al 4.0 era necessario, per poter essere effettivamente compliant con quanto ci chiedono i singoli produttori. Il grande tema, però, resta quello del calcolo del ritorno dell’investimento. Le prospettive dal punto di vista del mercato sono molto chiare, resta difficile oggi avere contezza dei modelli di business e delle logiche di valorizzazione dei dati”.