Un business globale, caratterizzato da supply chain globali, chiamato a sostenere sfide globali nel segno della digitalizzazione, della sostenibilità, della ricerca di nuovi canali e di nuove opportunità.
Così, solo un anno fa, le più accreditate società di analisi e ricerca raccontavano il mercato del fashion retail.
Un mercato messo sotto pressione, secondo il Global Fashion Index (MGFI), dalla necessità di una trasformazione digital-first, dalla ricerca della diversificazione, dal bisogno di affrontare a testa alta l’agenda della sostenibilità.
Un mercato polarizzato, con i primi 20 player mondiali che da soli realizzano lo stesso giro d’affari di tutti gli altri attori del comparto messi insieme, in grado di giocare prima di altri la carta dell’innovazione, mentre i competitor rischiano di restare letteralmente al palo.
Un mercato nel quale il segmento del lusso ancora 12 mesi fa sembrava l’unico destinato a crescite interessanti, soprattutto in alcune geografie, e il fast fashion cominciava a essere messo seriamente in discussione dagli alfieri della sostenibilità.
Lo scenario che abbiamo sin qui a grandi tratti delineato ha importanti ripercussioni anche nell’economia del nostro Paese: il settore Moda rappresenta uno dei punti forti del Made in Italy con un giro d’affari complessivo di 90,237 miliardi di euro nel 2019, secondo i dati presentati a inizio anno dalla Camera Nazionale della Moda, in crescita dello 0,8 per cento rispetto all’anno precedente.
Stiamo parlando di un comparto economico la cui crescita trova un forte sostegno nell’export e che negli ultimi anni ha visto crescere il peso della domanda proveniente dai Paesi extra Ue, con buon incremento del business generato verso i Paesi Asiatici, Corea, Giappone e Cina in primis.
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L’impatto di COVID-19 sul fashion retail e gli spunti per la ripartenza
In questo scenario, di per sé già molto sfidante, si è inserita nei primi mesi di questo 2020 la pandemia da COVID 19 con effetti a dir poco drammatici, sia dal punto di vista della produzione, sia dal punto di vista delle vendite, sia ancora dal punto di vista degli eventi e dell’indotto che vi ruota intorno.
Per quanto riguarda la produzione, gli effetti diretti della pandemia si sono tradotti da un lato nella indisponibilità di materie prime, a causa del blocco dei trasporti internazionali e la conseguente interruzione delle supply chain, dall’altro nelle numerose cancellazioni di ordini da parte degli acquirenti professionali, a loro volta colpiti dal calo della domanda.
Per quanto riguarda le vendite, i lockdown, la cancellazione di eventi come matrimoni o vacanze e non ultime le preoccupazioni per l’incerto clima economico hanno portato le persone a porre meno enfasi sull’acquisto di abbigliamento, con un drastico calo nella domanda.
Infine, per quanto concerne gli eventi, le settimane della moda nelle principali città del mondo, da Milano a New York, da Parigi a Shangai o Mosca sono state o cancellate oppure convertite in eventi digitali, con un evidente effetto negativo sia sulla propensione all’acquisto da parte dei buyer internazionali, sia sull’indotto che in genere ruota intorno a queste manifestazioni.
Tutto ciò ha portato molti analisti e osservatori alla conclusione che questo è di fatto il momento migliore perché l’intero comparto Fashion retail intraprenda con molta più convinzione rispetto al passato un percorso strategico che lo porti a reinventare sé stesso.
La pandemia da COVID 19 ha messo in luce l’intrinseca debolezza di un comparto che ancora si muove secondo logiche vecchie: produrre stagionalmente articoli, spesso anche in facility all’estero, senza avere feedback anticipati da parte dei clienti e sperando che gli articoli prodotti vengano venduti sui mercati in tutto il mondo. Quello del fashion retail, secondo stime recentemente pubblicate da Forbes, è un settore nel quale la sovrapproduzione raggiunge livelli del 30-40% ogni stagione, cosa che lo rende estremamente dispendioso dal punto di vista finanziario e oneroso dal punto di vista della sostenibilità ambientale.
Così, si comincia a ragionare su nuovi modelli di business, a partire ad esempio dall’On Demand Manufacturing, che comporta anche una focalizzazione sulle economie e sulle facility produttive locali. Per altro, spostare dal globale al locale produzione e warehousing rappresenterebbe una risposta alla paralisi che il settore ha conosciuto durante la pandemia.
Si tratta di una scelta estrema, che naturalmente non si può tradurre su tutto il comparto, ma che potrebbe rappresentare un’opzione praticabile in alcuni mercati e per alcune produzioni.
Perché è così cruciale la digital transformation end to end nel fashion retail
È innegabile che nel settore Fashion Retail siano in atto macro-evoluzioni che condizionano in modo importante strategie e processi delle aziende che vi operano.
Innanzitutto, va detto che tutti i player di questo mercato si muovono in uno scenario di profonda incertezza a causa di pandemie o epidemie regionali, disordini civili, terrorismo, attacchi informatici, disastri naturali, per non parlare delle barriere commerciali e dei cambiamenti in atto nelle catene di fornitura e delle difficoltà economiche dei fornitori.
Inoltre, a fronte della stagnazione dei mercati tradizionali, si assiste a una crescita dei consumi in Asia Pacifico, Russia e Brasile, cosa che richiede di adattare la proposta alle esigenze e alle preferenze di questi mercati.
Nel contempo, crescono e si diffondono sempre di più nuove tecnologie sui punti vendita e nuove modalità di ingaggiare un cliente ormai decisamente omnicanale, che dunque utilizza tutti i canali a sua disposizione per l’acquisto e la consegna dei prodotti di suo interesse.
In effetti, oggi i player di qualunque comparto – e quello del fashion retail non fa eccezione – devono fare i conti con consumatori sempre più attivi e autonomi nella ricerca di informazioni sui prodotti di proprio interesse, più volubili nei gusti, attenti ai prezzi ma molto attratti sia dalle novità, sia dalla possibilità di personalizzazione di prodotti che li rappresentino nella loro individualità.
In questo scenario, gli operatori più attenti hanno cominciato a utilizzare dati e tecnologie analitiche e cognitive per personalizzare al massimo la customer experience.
Nel frattempo, da un lato gli operatori dei segmenti di alta gamma tendono a ritornare alle due collezioni all’anno, mentre chi opera sul mercato di massa, dove è evidente l’erosione dei margini ed è sempre più forte la concorrenza da parte dei player dei Paesi emergenti, punta ad accelerare la produzione di collezioni nell’arco dei 12 mesi.
Ultimo, ma non ultimo, da non trascurare è il tema della sostenibilità. È una sensibilità nuova, anche da parte dei consumatori, che porta con sé una crescita della domanda di abiti e confezioni su misura e una maggiore attenzione sia a tecniche di produzione “green”, eque ed etiche, sia a un concetto di durata nel tempo dei prodotti acquistati.
La digital transformation nelle supply chain del fashion retail
È evidente, da tutto quanto abbiamo fin qui esposto, che la digital transformation del settore fashion retail debba partire non dalle singole tecnologie, bensì da un ripensamento delle supply chain, che oggi più che mai devono essere concepite come veri e propri ecosistemi digitali in cui diversi attori sono interconnessi e partecipano a una generazione di valore sostenibile per l’intera comunità e per i clienti finali.
La supply chain del futuro è costituita da un insieme di ecosistemi, ai quali partecipano OEM, fornitori, contractor, trasportatori e via via tutti gli attori della filiera, fino ad arrivare ai clienti, business e consumer, tutti connessi attraverso piattaforme cloud.
Si sta abbandonando dunque la tradizionale visione lineare della filiera, a vantaggio di una visione molto più articolata e integrata, nella quale tutti i partecipanti sono connessi in un vero e proprio network.
È una supply chain che consente di incidere in modo molto più significativo su uno dei fattori chiave per il settore del fashion retail: il tempo.
Il tempo rappresenta un fattore critico di successo, poiché fornisce vantaggi su tutte le dimensioni che contribuiscono al valore aggiunto economico. Il modello operativo delle supply chain dovrebbe essere ridisegnato e digitalizzato per rispondere a questa sfida.
Lavorare sulla compressione dei tempi rappresenta dunque un’opportunità per rispondere positivamente alle tre dimensioni sulle quali si gioca oggi la competizione: il time to market, il time to serve e il time to react. Da una corretta gestione di tutti e tre questi elementi ne derivano, per gli operatori del comparto fashion retail, una riduzione delle mancate vendite per indisponibilità delle materie prime o del prodotto finito, una minore necessità di effettuare vendite promozionali o sconti per ridurre i livelli di invenduto, una minore obsolescenza dei prodotti stessi.
Se pensiamo che nel comparto Moda, l’intero processo di progettazione, prototipazione, ingegnerizzazione e produzione richiede anche fino a 12 mesi – e in certi casi anche di più – prima che il prodotto sia effettivamente disponibile alla vendita all’utente finale, è facile comprendere come sul fattore tempo si giochi per buona parte la partita.
Non è strano dunque che imperativa per le nuove supply chain sia l’agilità, necessaria per la compressione del fattore tempo e per il perseguimento del vantaggio competitivo.
Una supply chain agile è connessa, caratterizzata da processi integrati, virtuale, demand driven.
È chiaro che per perseguire questo obiettivo, serve un approccio olistico alla trasformazione, che tenga in considerazione, nelle fasi di riprogettazione, processi, organizzazione e tecnologia e che sia in grado di rompere il tradizionale approccio per silos a vantaggio di flussi digitali ben orchestrati.
La trasformazione del fashion retail: la visione di Porini
È in questo scenario che si inserisce la value proposition di Porini, realtà attiva da oltre 50 anni sul mercato nazionale e internazionale, partner Microsoft specializzato nello sviluppo di sistemi ERP, Digital Supply Chain Management, Advanced Analytics, Machine Learning, Artificial Intelligence, IOT, XRM & Customer Engagement su piattaforma Azure, con una forte focalizzazione sulle realtà del comparto Moda e Lusso.
Dalla convergenza di soluzioni e best practices e con ben chiara la visione del percorso di trasformazione necessario per questo mercato, nasce un approccio di piattaforme, nel quale le diverse componenti dell’offering Porini si integrano per rispondere alle esigenze dei diversi attori della filiera, a partire dal PLM che consente di ottimizzare il processo di industrializzazione: tutti i dati relativi a ai singoli prodotti o alle collezioni sono raccolti in un unico ambiente sincronizzato accessibile a tutte le risorse coinvolte, consentendo una riduzione del time to market e facilitando la collaborazione tra i diversi soggetti coinvolti.
Entra in questo scenario anche Porini 365 ERP, che declina la tecnologia Microsoft Dynamics 365 Finance & Operation in una soluzione costruita su misura per il comparto fashion, che copre tutte le necessità della filiera letteralmente “from sheep to shop”, ovvero dalla fibra al negozio.
La soluzione ComplEtE aiuta a ottimizzare la supply chain con un approccio digital twin e mantenendo sempre la connessione tra clienti e fornitori, mentre E2E Value Chain facilita e migliora la collaborazione, consentendo visibilità e trasparenza anche nelle fasi di simulazione e verifica.
Non mancano poi Porini 365CRM for Fashion&Retail, che declina la tecnologia Microsoft in una soluzione su misura per tutte le esigenze degli operatori del retail, mentre la componente di analytics viene garantita da Porini Analytics4Operations che supporta i manager del comparto nell’assumere decisioni mirate e sostenute dai fatti.