Rischia di passare sotto silenzio la notizia, riportata dal Sole24ore del 14 luglio, che Blackrock, il più grande gestore privato di fondi nel mondo, abbia stilato una lista di 244 società nel mondo che non fanno abbastanza per contrastare il climate change, arrivando in 53 casi a votare contro il management in assemblea.
Eppure, si tratta di una notizia importante, fosse solo perché Blackrock gestisce fondi per oltre 6.500 miliardi di dollari (più di tre volte il PIL italiano). Ma è ancor più importante per le motivazioni addotte da Blackrock che affondano le radici negli obiettivi strategici del gestore: «Il nostro impegno – si legge nel report – nasce dalla convinzione che il rischio climatico sia parte del rischio investimento, e che integrare fattori come sostenibilità e clima nei portafogli possa fornire agli investitori rendimenti migliori rettificati per il rischio». Insomma, i fondi pensione, a cui appartengono gran parte dei soldi investiti, hanno inevitabilmente una strategia di lungo periodo e, dunque, non possono non considerare i rischi nel medio/lungo periodo e, quindi, quelli legati al climate change.
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Sostenibilità e digitale guidano l’allocazione delle risorse nei prossimi anni
Non solo buoni sentimenti (che pure contano) dunque, ma interessi materiali che guideranno l’allocazione delle risorse private nei prossimi anni, sommandosi alla forte spinta nella direzione della sostenibilità e del digitale che le politiche della Commissione EU, stanno imprimendo all’economia europea, rafforzate dalle risorse attivate dalla strategia post-covid. Complessivamente, una quantità di risorse da cui non è possibile prescindere nella pianificazione strategica di qualsiasi operatore in quasi tutti i settori.
Nella lista non ci sono aziende italiane, un po’ per merito e un po’, forse, perché la dimensione media le porta fuori dal radar primario di Blackrock. La notizia, però, ha una grande rilevanza anche per il sistema economico di casa nostra: le strategie orientate alla sostenibilità dei grandi player mondiali impattano immediatamente e profondamente su tutte le loro catene di fornitura e questo riguarda tantissimi settori industriali nostrani.
Il ruolo degli indicatori ESG, Environmental, Social, Governance
Succede per la sostenibilità ambientale, ma anche per altre tematiche relative alla tutela di molti stakeholder importanti: dai diritti dei cittadini (quali la data protection), alla tutela dei lavoratori (sicurezza dei luoghi di lavoro passando per la non discriminazione etnica o di genere e la protezione dei minori). Insomma, per tutti quei temi che rientrano negli indicatori ESG (Environmental, Social, Governance) sempre più utilizzati nella valutazione del portafoglio: è inevitabile che i criteri di selezione dei fornitori ne siano sempre più influenzati, non “invece di” ma in aggiunta ai criteri tradizionali di qualità, puntualità, efficienza, prezzo rispetto ai quali la media impresa italiana che compete a livello internazionale ha imparato da tempo a eccellere.
La sfida della competitività è sempre più nel segno della sostenibilità
La sfida delle imprese italiane sarà quella di giocarsi in pieno la partita investendo nelle politiche di sostenibilità per aumentare la propria competitività e posizione nel mercato globale, nella consapevolezza, tuttavia, che scelte di questo tipo devono partire necessariamente anche da una forte spinta etica che ne sostenga lo sforzo iniziale. I benefici non arrivano quasi mai nel breve periodo e in assenza di una forte motivazione si corre il rischio di disperdere risorse senza raggiungere gli obiettivi sperati.
Non c’è, almeno per la media impresa, una legge che obblighi ad adottare determinati comportamenti e raggiungere specifici risultati: la spinta alla sostenibilità viene dagli investitori oltre che dalla società ma rischia di essere meno avvertita dai nostri imprenditori.
In realtà, la lista di Blackrock ci fa passare molto velocemente dalle grandi strategie finanziarie globali alla sopravvivenza di interi settori industriali radicati nella provincia italiana: d’altra parte il COVID-19 ha impiegato poche settimane per accomunare in un unico destino una remota provincia cinese a tutto il resto del mondo. Non c’è tempo da perdere.
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