Industria 4.0

Industria 4.0, manca una strategia a lungo termine per le Pmi

Gli incentivi statali sono stati sfruttati in larga parte dalle grandi aziende. La mancanza di competenze è il reale ostacolo all’avvio degli investimenti in innovazione tecnologica nella piccola e media impresa?

Pubblicato il 11 Mag 2020

Luca Preziosa

product manager

industria automazione


A ormai tre anni dall’introduzione del Piano Nazionale Industria 4.0 (attualmente Piano Transizione 4.0, ex Impresa 4.0) è chiaro quanto, malgrado gli adeguamenti delle aliquote e l’introduzione delle tre nuove fasce in base all’entità degli investimenti, gli incentivi siano stati sfruttati in larga parte dalle grandi aziende a discapito delle Pmi. Eppure come è noto, il nostro sistema industriale è fortemente basato sulle piccole e medie imprese, le quali sono responsabili di circa il 40% del fatturato generato globalmente in Italia e di un terzo circa degli occupati.

La mancanza di competenze è realmente la barriera all’avvio di questi investimenti? I benefici delle grandi aziende non dovrebbero essere gli stessi delle Pmi?

È ormai sempre più essenziale che gli imprenditori conoscano e comprendano le opportunità offerte dall’innovazione digitale e si adoperino all’individuazione di una precisa strategia focalizzata sulle proprie esigenze con lo scopo di sviluppare percorsi personalizzati attraverso progetti concreti.

Il modello italiano di Industria 4.0

A quanti di noi non è capitato di vedere proiettata, durante innumerevoli convegni, l’ormai nota slide del MISE relativa alle tecnologie abilitanti indicate nel piano Industria 4.0 dell’ormai lontano 2017?

Già da qui è partito una sorta di equivoco: sebbene questa immagine abbia regalato agli addetti ai lavori un prezioso elenco sul quale costruire speech concettuali e molte volte astratti, allo stesso è stata fonte di fraintendimenti verso chi doveva acquistare un bene ‘I4.0’. Disorientati dal significato delle tecnologie in elenco, cercando di comprendere l’efficacia di opportunità come la simulazione dei processi, l’analisi dei big data, la realtà aumentata, non ci si è focalizzati sul punto fondamentale dell’iperammortamento (l’agevolazione più importante inizialmente prevista): l’amata e odiata interconnessione ai sistemi informatici di fabbrica con caricamento da remoto di istruzioni e/o part program. L’impianto normativo del Piano Industria 4.0 ruota infatti intorno a questo concetto, che ha suscitato e suscita ancora oggi dubbi e perplessità a cui varie circolari hanno tentato di far chiarezza.

Infatti l’obiettivo dichiarato del piano nazionale è sempre stato quello di portare la produzione italiana a livelli molto alti di automazione e interconnessione, non solo all’interno della fabbrica ma anche tra imprese che lavorino congiuntamente, ad esempio tra fabbrica e logistica. La capacità di analizzare, gestire e valorizzare i dati raccolti dagli impianti e dai macchinari connessi è considerato oggi fondamentale per le aziende.

Si è visto quanto i requisiti di interconnessione e integrazione con la fabbrica dipendano fortemente dal contesto informatico di dove sarà installata la macchina, requisiti che possono essere soddisfatti da parte dell’azienda utilizzatrice con la realizzazione di una rete collegata alla rete aziendale esistente sfruttando i collegamenti messi a disposizione dal bene acquistato che devono essere basati su specifiche documentate, disponibili pubblicamente e internazionalmente riconosciute, ma non solo..

Ciò che, soprattutto per le Pmi, è stato fonte di malintesi e ritardi, è stata proprio la mancanza di consapevolezza della necessità di azioni interne di adattamento come conseguenza dell’acquisto di un bene I4.0. Si parla infatti di interconnessione e integrazione: spesso, si è visto, quanto sia comune trascinare la questione fino all’ultimo momento ammissibile, non è raro veder arrivare beni prossimi alla scadenza degli incentivi con ancora interconnessioni mancanti e da progettare/delineare nell’arco di pochi mesi/settimane. Non è neppure raro scoprire che il più delle volte sono proprio i fornitori dei beni ad aiutare i propri clienti nella definizione di concetti chiave quali la selezione dei dati scambiati, la definizione delle logiche dei processi di interazione e così via.

Causa anche fornitori e costruttori di macchine che si sono coniati termini come “Macchina Industria 4.0 ready” (con addirittura certificati/bollini) molto spesso i clienti non hanno la minima idea di dover adattare un proprio sistema interno (es. MES), ritrovandosi a richiedere consulenze (non preventivate) a software house terze che operino su detti sistemi. Il risultato in molti casi è un insieme disordinato e confuso, un’accozzaglia di software messi in comunicazione senza un progetto inziale chiaro in cui si delinei un obiettivo a medio/lungo termine, meri compitini atti al solo obiettivo di passare indenni una perizia e ricevere le agevolazioni senza troppi esborsi.

I vertici di dette aziende siamo certi che conoscano e comprendano le opportunità offerte da questa nuova ondata di innovazione? Siamo certi che lo sguardo sia rivolto oltre il domani?

Gli alibi delle piccole organizzazioni

Sarebbe più elegante parlare di ‘freni’ ma per la larga parte delle Pmi oggi si preferisce parlare di “alibi”. Eppure i piani iniziali erano proprio focalizzati su aspetti generalisti, quali l’intervento attraverso azioni orizzontali e non verticali/settoriali e di orientamento tramite strumenti esistenti per favorire il salto tecnologico e la produttività.

Molte volte addirittura gli strumenti nelle aziende ci sono, ma non vengono utilizzati perché non rispondono alle specificità degli ambienti in cui sono adottati, o ancora peggio, non si è a conoscenza delle potenzialità degli strumenti a disposizione.

A titolo di esempio, ecco alcuni alibi di cui si sente tanto parlare:

– mancanza di competenze verso le nuove tecnologie;

– inadeguatezza strutturale dei modelli organizzativi;

– insoddisfazione dell’offerta;

– mancanza di finanziamenti;

– alto costo del lavoro;

– lentezza della burocrazia.

Benefici

Alcuni dei principali benefici che questa rivoluzione punta ad ottenere possono essere riassunti in:

– flessibilità della produzione;

– efficienza dei processi, maggiore produttività;

– riduzione dei tempi di sviluppo;

– migliore qualità;

– sviluppo prodotti innovativi.

A differenza di grandi realtà dotate di cospicui budget e con manager dedicati a gestire roadmap di sviluppo servizi e prodotti a tre/cinque anni, questi vantaggi per una Pmi devono tradursi per forza in due cose:

– riduzione dei costi;

– aumento dei guadagni.

Questo di per sé non è un problema e non deve essere visto come un’ottusità dei piccoli imprenditori votati al fatturato. Il problema nasce solo quando queste due “sentenze” le si vogliono ottenere nell’immediato.

Il piccolo e medio imprenditore, del resto, molto spesso si sente in balia di mille rivoli tecnici, con la necessità di investire tra diverse offerte di beni materiali, perdendo così il vero focus dell’industria 4.0, ovvero quello dell’innovazione di processo, perché, come visto prima, non si può ridurre la quarta rivoluzione industriale a un mero discorso di tecnologie e acquisto di beni strumentali.

Quali soluzioni per l’innovazione nelle Pmi

Diventa quindi necessario che gli imprenditori e i vertici aziendali delle aziende conoscano e comprendano le opportunità offerte dall’innovazione digitale e si convincano dell’urgenza di delineare una precisa strategia con lo scopo di mettere a punto percorsi attraverso progetti concreti e condivisi nell’organizzazione. È cruciale il mindset e la formazione dell’imprenditore e dei manager in organico.

Anche nelle Pmi servirà investire del tempo sedendosi intorno a un tavolo, coinvolgendo diverse risorse focalizzate in diversi ambiti. Questo lo si potrà fare solo se i vertici non lo considerino come tempo ‘perso’ o ‘sprecato’; porsi domande come “chi sono i nostri clienti?”, “cosa ci chiedono oggi?”, “quali sono i principali problemi che ci chiedono di risolvere?”. Aprirsi ad esempio a una volontà concreta di investire su nuove proposte di valore per entrare in nuovi settori. Questo partendo dalla soddisfazione di bisogni emergenti, ma anche di quelli esistenti a livello sociale oggi non appagati dai più consolidati modelli di profitto tradizionali.

Per agire con più immediatezza e rispondere prontamente al mercato sarà utile collaborare con università, sfruttare consulenze verticali, servirsi di manager dell’innovazione. Tutti questi possono essere elementi chiave per un’adozione meno dirompente dell’industria 4.0 all’interno delle Pmi italiane. L’Innovation manager ad esempio è una nuova figura consulenziale istituita dal MISE allo scopo di coprire diversi ambiti aziendali che spaziano dalla tecnologia all’innovazione di processo, dall’organizzazione alla finanza, sempre in un’ottica di sviluppo verso la creazione di Pmi al passo con l’industria 4.0.

Si dovrà investire in primis sui meccanismi di governance e leadership per assicurare un’implementazione concreta dei processi di trasformazione digitale a più livelli, evitando lo sviluppo di iniziative disconnesse, sviluppando nuove competenze e modalità di lavoro.

Del resto, facendo un parallelismo con la scuola, si è visto negli ultimi anni quanto la tecnologia potrà funzionare solo laddove si riuscirà anche a insegnare un nuovo modo di apprendere.

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Luca Preziosa
product manager

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