Ergonomia

Come “disegnare” il design

Il disegno permette di avere presenza, cioè avere la sensazione di essere in un luogo dove possiamo mettere in atto le nostre intenzioni, a livello individuale (il flow), che elicita la sensazione di immergersi completamente in un’attività che ci motiva e ci soddisfa, anche a livello collettivo (networking flow), lavorando assieme in vista di un obiettivo comune. Questi sono elementi utilissimi sia nella fase di produzione dei dati che nella successiva analisi da remoto, resa più difficoltosa, ma non per questo meno efficace, dalla distanza.

Pubblicato il 29 Giu 2021

Alessandro Bonaccorsi

visual thinker, designer e graphic recorder, illustratore, autore e divulgatore

Silvia Gilotta

ergonoma e founder di Adequat s.r.l.

design


Il lavoro si è spostato dall’operare in un territorio limitato e conosciuto, che si ripeteva in modo simile dovunque, avendo come struttura quella medievale della piccola città (o paese) e del suo contado, ad operare in un territorio vasto, caotico, agglutinato, metamorfico che cambia di continuo, come quello delle città, ampliato poi non tanto dalla globalizzazione, quanto dal poter “essere” in qualunque posto e poter comunicare sempre e ovunque di internet. La stessa cosa accade all’interno di aziende e organizzazioni: non soltanto la dimensione aumenta la complessità, ma una rete sempre più fitta di azioni rende difficile prendere decisioni e vedere con chiarezza ciò che sta succedendo in ogni momento. Per questo motivo, crediamo che visualizzare i processi organizzativi sia uno strumento fondamentale per poterli comprendere: in poche parole, saper guardare ciò che accade ci dà la possibilità di trasformarlo in un modo più utile, efficace, efficiente, insomma per migliorarlo.  Affidare la visualizzazione dei processi alla lettura dei dati, quindi a un computer, è la soluzione più utilizzata: ci restituisce una rappresentazione precisa e accurata, ma, come spesso capita, difficile da interpretare. Dobbiamo quindi saperci affidare anche a strumenti che possano darci risposte semplici e immediate, trasformando la complessità in qualcosa di tangibile e di intelligibile; non sono adatte le parole a farlo, non bastano i numeri, è necessario introdurre una modalità che permetta di cogliere al volo sia l’andamento che la struttura del processo, che renda possibile vederlo, misurarlo, valutarlo, per quanto in modo intuitivo e non analitico. Lo strumento versatile, economico e alla portata di tutti è il disegno. Utilizzato senza alcuna abilità o finalità artistica, con un approccio semplice ed essenziale, è un potente strumento per visualizzare i processi e, più in generale, per rendere visibile tutti quei flussi, reticoli, schemi, dinamiche che muovono la complessità.

Il disegno, inoltre, permette di andare in profondità e di lavorare con il nostro inconscio; per analogia, potremmo dire che è capace di esplorare e rivelare l’inconscio delle istanze organizzative, tutta quella parte meccanica, fluida, perennemente in moto che sfugge alla nostra attenzione.

Il disegno poi permette di sospendere il giudizio e di mediare la nostra espressività, facendo emergere aspetti altrimenti difficili da elicitare e che sono essenziali quando si affronta un processo di innovazione centrata sulle persone.

Il “Disegno brutto

L’idea del “Disegno brutto” è di Alessandro Bonaccorsi, visual thinker, designer e graphic recorder, illustratore, autore e divulgatore nonché co-autore di questo articolo. Egli si è dedicato alla divulgazione di un approccio al disegno non giudicante, alla portata di tutti, senza condizionamenti tecnici, “come viene, viene” ideando il progetto Disegno brutto, fatto di corsi, libri, incontri.
L’esperienza del Disegno brutto, la creazione di una comunità di persone interessate a questo approccio, l’attenzione delle aziende verso questi metodi, lo ha convinto a sperimentare queste pratiche oltre che nella progettazione e nell’espressione di sé, anche nella consulenza e nella formazione.

Perché “disegnare il design”?

Perché tra le esplorazioni possibili, insieme a Silvia Gilotta e al team di Adequat, si è creata una sinergia nuova tra Visual thinking, Disegno brutto, ergonomia, Human centered design, sperimentata nella formazione e nell’analisi dei processi lavorativi di una società che lavora nell’ambito delle telecomunicazioni. Ha preso vita un modo di lavorare che disegnasse, ovvero in grado di progettare e prevedere, il design, ovvero il progettare.

Il disegno (“brutto”, quindi eseguito senza curarsi della sua estetica) riesce a smuovere le persone e le conduce su un altro piano. Si salta da una dimensione razionale a una pre-razionale, in cui non si è più nel controllo di ciò che esprimiamo e comunichiamo.

In poche parole, non sappiamo cosa stiamo disegnando.

L’idea del Disegno brutto nasce dalla semplice constatazione che la maggior parte degli individui, crescendo, smettono di disegnare, sfiancati dalla frustrazione di non saper maneggiare quest’abilità, valutati come mediocri, poco creativi o mancanti totalmente di talento. Meglio dimenticarlo, questo fallimento, piuttosto che provare a cambiare le cose. Tanto, a cosa serve nella vita di un adulto saper tracciare linee?

Quasi a niente ci sembra di capire. E quindi meglio rivolgere le proprie energie ad altro di più proficuo.

Eppure, è possibile, per alcuni, che non siano artisti, né artigiani, neppure architetti, che il disegno sia un compagno di vita (e quindi di lavoro), un disegno senza giudizio, fatto solo di pratica.

Se rovistiamo nella memoria dei tempi più remoti, se cerchiamo di capire dalle osservazioni degli archeologi, cosa fosse il disegno prima delle civiltà, beh, sembra difficile poter parlare di arte per come la intendiamo oggi. Anzi, viene da pensare che fosse uno strumento condiviso per comunicare, indicare, comprendere, e che si praticasse, spesso, mediante un rituale condiviso.

I presupposti alla base dell’unicità del disegno come attività umana

Da un lato abbiamo la sua capacità di aiutare o facilitare i processi cognitivi: disegniamo trasformando in punti e linee le idee e i pensieri che abbiamo in mente, esplorando la nostra immaginazione. Il processo del disegnare mette in atto continui processi decisionali, in quanto si sa dove abbiamo iniziato ma non si sa dove andremo a finire e dobbiamo ad ogni momento decidere dove andrà la mano, senza poter ricorrere, se non dopo tanto esercizio, agli schemi conosciuti della scrittura.

Infatti, disegnare mette in moto processi cognitivi che coinvolgono aree del cervello deputate all’immaginazione, alla pianificazione, all’abilità motoria, alla visione, grazie ai quali si aprono spazi per la creatività e il pensiero laterale. Agisce in modo pre-razionale e non sfrutta i processi sequenziali e logici usati da lettura e scrittura.

Altra caratteristica importante del disegno è la capacità di aiutare la memorizzazione, grazie alla creazione (o interpretazione) di simboli, ovvero di disegni associati ad un concetto, anche se con associazioni apparentemente incoerenti. La simbolizzazione della conoscenza ci permette di utilizzare l’insight, ovvero l’intuizione, che possiamo definire quella capacità di capire prima di comprendere, di intravedere una soluzione prima di raggiungerla con il ragionamento logico

Quando si disegna all’interno di un gruppo, o quando si fa disegnare, è come se si creasse una sorta di “campo” psichico, relazionale e semantico in cui le persone coinvolte lavorano in connessione l’uno con l’altro e, attraverso il livello simbolico del linguaggio del disegno e la sua natura divertente e creativa, diviene possibile sperimentare sensazioni di “flow” che rendono il gruppo più coeso e creativo. Quest’effetto positivo è quello che in molti cercano per migliorare la qualità e la soddisfazione al lavoro.

Per poter generare questo campo non basta prendere dei pennarelli e iniziare a disegnare (anche perché difficilmente una persona comune sarebbe a suo agio, credendo di non saperlo fare, a disegnare accanto ad altre persone.

Il metodo sperimentato da Bonaccorsi e dal team di Adequat si basa sul lavoro diretto con il team oggetto di consulenza o formazione, guidato e ispirato al fine di canalizzare e raccogliere gli spunti che si generano nel campo per trasformarli, attraverso il disegno, in immagini che siano visione, metafora e pensiero del gruppo stesso.

I quattro modi di utilizzare il disegno per affrontare la complessità

Vediamo quali sono i quattro modi di utilizzare il disegno per affrontare la complessità al lavoro:

  • per ispirare, facendo vedere le cose in modo diverso e cercando di aprire degli squarci nella realtà, creando degli spazi per l’immaginazione e stimolando la creazione di visioni.
  • per sintetizzare fondendo, combinando e ri-combinando gli elementi per migliorare i processi lavorativi e ideativi, senza semplificare.
  • per comunicare visualizzando concetti e metafore per migliorare la comprensione.
  • per documentare, rappresentando ciò che emerge da un gruppo con un punto di vista laterale e trasformandolo in modo simbolico, dando forma e vita alle entità che si nascondono dentro ai discorsi e ai processi.

Il progetto per una azienda di tlc

La necessità di trasformare la propria pratica lavorativa in un processo di innovazione continua, trovando metodi più efficaci, potenti, divertenti e utili da portare nei processi sviluppati con i clienti è il movente che ha portato l’energia necessaria per questa sinergia.

Il metodo di lavoro di Adequat si basa su tre fasi induttive, che partono dal basso, dai dati empirici:

  • Esplorare, ovvero la fase divergente di analisi dove si raccolgono informazioni e si diventa esperti del dominio.
  • Comprendere dove si identificano i problemi (di interazione, progettazione o processi), le cause e si sintetizzano tutti i dati raccolti.
  • Risolvere problemi, trovare le priorità e i cambiamenti necessari per l’innovazione positiva, usando metodi che derivano dalle aree di competenza più diverse (psicologia ed ergonomia in primis, ma anche, perché no?, il disegno).

Il disegno espressivo è una tecnica che è già stata usata in Adequat nei focus group creativi come base per la discussione di gruppo. Quindi l’esperienza pre-disegno brutto era basata sull’uso del disegno come strumento conoscitivo di raccolta dati, stimolo per la discussione e per incrementare il coinvolgimento dei partecipanti ai focus group. Inoltre, era già presente un’accezione di output per l’espressione della cultura aziendale (attraverso la creazione di artefatti che mettono in moto un cambiamento organizzativo).

Il progetto, attuato negli ultimi mesi del 2020, ha riguardato una piccola azienda che opera nel settore delle telecomunicazioni. La domanda arrivava dai clienti che, trovandosi in una situazione di cambiamento organizzativo, avevano la necessità di fare una analisi as is della situazione, individuando punti di forza e punti di attenzione.

Operativamente, l’intervento è stato attuato attraverso una serie di workshop partecipativi e creativi a distanza (6 incontri della durata di 3 ore ciascuno). I livelli su cui si è utilizzato il disegno sono stati 3:

  • disegno espressivo e discussione
  • disegno brutto e graphic coaching
  • conduzione e possibili applicazioni pratiche da parte di Adequat

I temi affrontati sono stati:

  • processi operativi
  • processi di comunicazione
  • vision e manifesto
  • un nuovo modello di leadership improntato sulla resilienza organizzativa

Il workshop ha coinvolto i partecipanti sia mediante questionari ed esercitazioni scritte, sia mediante esercizi di disegno. Questo ha permesso di raccogliere una mole di informazioni sorprendente, sia per quantità che per qualità, sullo stato attuale dell’organizzazione.

Questo induceva a rivedere e ricalibrare a ogni sessione il processo di formazione, decidendo di tralasciare o accogliere gli elementi che emergevano dal processo, senza sapere esattamente la strada che questo stava prendendo; grazie a questa adattabilità e flessibilità della struttura delle sessioni e degli strumenti usati sono emerse delle istanze che non erano state contemplate a priori, dando alle persone coinvolte lo spazio e il tempo di potersi esprimere stimolati dal processo.

Bisogna, in qualche modo, avere le “spalle abbastanza larghe” per riuscire a contenere le istanze che emergono e riuscire a trasformarle all’interno del più generale obiettivo conoscitivo, perché non si tratta di istanze decontestualizzate, ma emergono sempre dalle persone. Perciò è sempre molto importante riflettere su questi punti.

Il processo è l’elemento fondamentale

Siamo entrati nella casa di questa organizzazione lavorando in linea di massima sui processi, poiché i processi sono le prime cose che possono essere modificate, innovate, tecnologizzate. Inoltre, riguardando tutti, sono oggetto di analisi favorito perché in qualche modo l’individuo si sente solo in parte coinvolto, e quindi responsabile di eventuali malfunzionamenti.

Tendenzialmente, in questo periodo storico, è proprio il processo l’elemento fondamentale che deve essere implementato in ogni organizzazione.

Questa prassi necessita naturalmente di una base conoscitiva, che si ottiene attraverso lo studio e l’analisi del processo in oggetto. Si inizia dalla parte del processo che è agli atti, cioè dalla sua descrizione formale. Il risultato di questa prima fase di indagine genera una lista di step ordinati e sequenziali che descrivano l’intero processo dall’inizio alla fine. Nel caso specifico, la società oggetto di consulenza esercita attività di progettazione di impianti di telecomunicazione e la loro successiva realizzazione.

Come ergonomi non ci si ferma però alla descrizione formale e normativa del processo, perché ciò che accade nella realtà, come nella quotidianità, non è aderente al processo descritto per criteri stabiliti, in quanto non tiene conto delle variabili che normalmente ci influenzano. Quindi è assolutamente importante capire ciò che realmente accade al processo in organizzazione, entrare nel profondo e capirlo appieno. Per questa ragione è stato chiesto ai partecipanti di riprodurre graficamente questo processo, disegnandolo, attraverso alcuni esercizi. Da una parte questi dati rivestono il ruolo di base per la narrazione, dall’altra rivelano la loro immagine mentale a livello cognitivo. Nella realtà, quello che avviene non è un processo sequenziale, anche se ci sono tendenzialmente degli step e un punto di partenza e arrivo, ma ci sono delle fasi ricorsive, delle domande che sono alla base della successiva fase di analisi. Ciò che viene visualizzato è che, anche all’interno di un gruppo, non tutti hanno la stessa concezione del processo seguito, nonostante collaborino e lo condividano. Usando un’altra modalità espressiva, cioè le parole (attraverso dei sondaggi che hanno fatto emergere la descrizione, prima individuale e poi in gruppo) è stata sviluppata una word-cloud, dalla quale si evince una frammentazione del processo.

Emerge forte la parola “programmazione” ad esempio, dalla quale si può avviare la discussione. Contemporaneamente a questo momento di confronto, Alessandro in cabina di regia, disegna ciò che emerge, trasformando il linguaggio parlato in immagini, che assumono una connotazione visiva, si trasformano ed esprimono emozioni. È così che l’aggressività percepita prende le sembianze di un lupo o quella di un diavolo con la coda a punta, esprimendo in maniera immediata e potente come le persone vivono questi processi e le conflittualità presenti, si facciano attraversare da essi, li trasformino in qualcosa che va oltre gli aspetti formali. Nonostante siano evidenti le differenze soggettive nella percezione degli eventi, attraverso la sovrapposizione delle rappresentazioni è possibile evidenziare delle similitudini, dei pattern che si ripetono, e che costituiscono delle costanti per questi operatori. Attraverso un successivo step di analisi, emerge la fotografia di un processo suddiviso in tre fasi principali. La prima è caratterizzata da un andamento divergente, in cui regnano il disordine e l’energia, mentre nelle successive è presente una progressiva convergenza che porta tutte queste spinte nella direzione del punto di arrivo, l’obiettivo. Tutto questo è stato ulteriormente analizzato attraverso la creazione di una mappa visiva del processo, che porta a una metafora, uno strumento utile per conoscerlo meglio ed esplorarlo (es. la collina delle difficoltà, il momento più sensibile del processo).

L’attività: il processo di lavoro ri-preso analiticamente

Dopo una fase evocativa, divergente, caratterizzata dal disegno, il team di Adequat ha riportato tutti questi elementi “a terra”, mettendo le fasi una dietro all’altra, per descrivere in modo più analitico questi step e supportare le successive fasi di innovazione. Questa task analysis, rappresentata attraverso il journey, che noi abbiamo chiamato operator journey, rispecchia fedelmente le tre fasi già emerse. Questo ci ha permesso di evidenziare la presenza di maggiori criticità nelle prime due fasi, e di porre il focus su di esse e sulle modalità di affrontarle.

In questa fase il disegno torna in aiuto al nostro tentativo di rappresentare queste criticità in una forma comprensibile e più immediata, così l’attuale connotazione negativa del tempo appare come un lungo serpente che si morde la coda, mentre il risultato che si vorrebbe raggiungere, cioè la capacità di governarlo, porta alla rappresentazione del tempo come un mare con delle onde dolci e regolari, in cui è possibile navigare serenamente. Grazie a queste rappresentazioni, emerse dalla narrazione stessa delle persone, è possibili restituire loro un condensato delle proprie emozioni, dei propri pensieri, delle sensazioni più viscerali, ed aiutarle a dare loro un nome e un significato condivisibile, con cui potersi orientare nella ricerca dell’innovazione.

Da questa nuova elaborazione, infatti, emergono anche le istanze riguardanti le possibilità per migliorare la situazione, i desiderata, che trovano espressione nell’immediatezza della metafora grafica. Da qui, si sviluppano numerose idee che portano alla creazione di ipotesi di supporto per le attività, iniziando così ad agire sui processi veri e propri (ad es. digitalizzazione dei processi), naturalmente a fronte di una adeguata sperimentazione, fatta di passaggi iterativi progressivi. Le ipotetiche soluzioni che emergono sono interamente co-costruite e sono il frutto di una conoscenza profonda raggiunta attraverso lo studio e il dialogo con gli operatori, coloro che hanno esperienza pratica e diretta dei problemi, supportati dalla moderazione dei consulenti.

Conclusioni

In conclusione, cerchiamo di capire quali siano stati i punti salienti e caratteristici del percorso sopra descritto.

Perché utilizzare il disegno

Il disegno permette di avere presenza, cioè avere la sensazione di essere in un luogo dove possiamo mettere in atto le nostre intenzioni, a livello individuale (il flow), che elicita la sensazione di immergersi completamente in un’attività che ci motiva e ci soddisfa, anche a livello collettivo (networking flow), lavorando assieme in vista di un obiettivo comune. Questi sono elementi utilissimi sia nella fase di produzione dei dati che nella successiva analisi da remoto, resa più difficoltosa, ma non per questo meno efficace, dalla distanza.

Inoltre, l’utilizzo del disegno permette la sospensione delle difese personali, aprendo uno spazio ludico del possibile, nel quale il giudizio è sospeso e il processo è più importante del risultato. L’accesso allo spazio del possibile, alla capacità di andare oltre, unitamente alla potenza delle immagini mentali e dei codici simbolici che si possono raggiungere, consente di esplorare l’adiacente possibile, un cambiamento che si può toccare con mano e ricercare attivamente.

Il disegno, inoltre, ha un grandissimo valore euristico, nel momento in cui ci dà la possibilità di raggiungere gli obiettivi conoscitivi a monte del processo di indagine, capire la situazione attuale per poi cercare delle soluzioni di miglioramento. Tutto questo è possibile farlo con un altissimo grado di profondità e validità scientifica, vedendo ciò che si fa e quindi agendo già sulla situazione attuale, potenziando la consapevolezza personale e collettiva e sottolineando le relazioni di causa-effetto tra gli eventi, permettendoci di individuare le aree nelle quali è necessario agire e con quale grado di priorità.


E il design, dov’era?

Sfruttando le parole della famosissima campagna pubblicitaria Pirelli del 1994 possiamo dire che “la potenza è nulla senza controllo”. Il disegno, come abbiamo visto, è certamente uno strumento potenzialmente dirompente, che ci permette di illuminare spazi e zone d’ombra che altrimenti sarebbe difficile raggiungere.

Per essere sfruttato al meglio durante l’intervento in un’organizzazione, ha bisogno di essere guidato e condotto in un modo efficace. Tutta questa mole di energia e di informazioni, come affermato in precedenza, deve essere “messa a terra”, ovvero ricondotta nell’ordine dei processi e delle azioni della quotidianità. Senza una restituzione della loro dimensione “terrena” si correrebbe il rischio di perdere la forza dell’intervento, favorendo una idealizzazione dei contenuti, che non porterebbe a un reale cambiamento dello status quo.
Resteremmo imbrigliati nella materia dei sogni, senza possibilità di risvegliarci e di fare in modo che l’esperienza sognata possa servirci al risveglio, creando una nuova consapevolezza.

L’obiettivo, più alto, che muove tutto l’intervento è la ricerca di conoscenza.

È un obiettivo che deve rimanere sullo sfondo eppure presente, pervadere il campo psichico del gruppo senza invaderlo, permettere l’esplorazione profonda senza indagare.

Il processo deve essere agito dai partecipanti senza soluzione di continuità, immersi in un flusso non sempre comprensibile, ma capace di rivelare ciò che in genere si nasconde. È fondamentale la loro partecipazione attiva perché solo il fare permette loro di metabolizzare nuove conoscenze, sperimentandole subito attraverso gli esercizi proposti.

Il cambiamento dei processi e quindi di un’organizzazione può avvenire soltanto quando ognuna delle parti che li compongono sarà cambiata: il cambiamento profondo e duraturo anche soltanto di alcuni individui causerà delle variazioni che innescheranno, meccanicamente, altri cambiamenti.
Non necessariamente il percorso di formazione agirà profondamente su ogni individuo, ma certamente avrà creato un campo di condivisione nuovo, al quale sarà possibile riconnettersi usando memoria e immaginazione.

Per la buona riuscita del percorso formativo, il contributo del consulente è fondamentale, poiché grazie al suo intervento e alle sue capacità di conduzione, coinvolgendo attivamente i partecipanti, deve favorire l’emersione delle diverse soluzioni possibili, che saranno ulteriormente analizzate e testate, in un processo di iterazione continua che vede la ricerca di conoscenza sempre in concomitanza alla pratica e mai fine a sé stessa.

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