Di Andrea Bacchetti, Massimo Zanardini
Laboratorio RISE, Università degli Studi di Brescia
La versione integrale di questo articolo è consultabile a questo indirizzo.
“Quanto sono pronte le imprese Italiane ad abbracciare concretamente la rivoluzione 4.0?” A questa domanda principale e ad una serie di quesiti di maggiore dettaglio abbiamo provato a dare risposta con la seconda edizione della ricerca targata RISE – Università degli Studi di Brescia, che ha coinvolto 105 aziende manifatturiere, eterogenee sia in termini di dimensioni, sia in termini di comparti industriali.
Quindi: quante sono le aziende che stanno già abbracciando il paradigma 4.0, e a che punto sono quelle che ancora non lo hanno fatto?
Incrociando il numero delle tecnologie conosciute con quelle effettivamente implementate, è stato possibile posizionare le aziende all’interno della matrice illustrata nel seguito.
Emergono 6 cluster principali:
- RITARDATARI (48%): sono le aziende più lontane dalla configurazione 4.0, che di fatto non hanno ancora svolto alcuna azione empirica, limitandosi a superficiali valutazioni di carattere teorico;
- PRATICONI (11%): a questa categoria appartengono le aziende che hanno deciso di lanciare almeno 2 progetti pilota. Sono, più nello specifico, realtà che hanno deciso di “imparare facendo”, privilegiando la pratica rispetto alla teoria;
- TEORICI (2%): in questo cluster si posizionano al contrario le aziende che stanno approcciando tutte (o quasi) le tecnologie disponibili, senza però avere (ancora) realizzato progetti implementativi;
- FOCALIZZATI (32%): le aziende di questa categoria sono certamente “in cammino” verso il paradigma 4.0. Non disdegnano la teoria, ma la sanno anche applicare concretamente, pur all’interno di un limitato sotto-insieme di tecnologie;
- POLIVALENTI (3%): sono simili ai focalizzati, ma guardano ad un set di tecnologie più ampio, consapevoli che per diventare delle imprese 4.0 devono saper impiegare in modo armonico tutte o quasi le leve a disposizione;
- STELLE (5%): sono le (poche) aziende già oggi 4.0, perché conoscono ed impiegano gran parte delle tecnologie digitali abilitanti, con benefici concreti. Sono di fatto i modelli a cui ispirarsi per intraprendere il proprio percorso di digitalizzazione.
Nella sostanza, una buona metà del campione di indagine non sta muovendo alcun passo verso il paradigma 4.0, se non qualche limitato carotaggio teorico del tutto preliminare. Per fortuna, dall’altro lato, c’è un 35% di aziende che al contrario sono già “in cammino”, attraverso quantomeno dei progetti pilota. Pochissime (5%) sono infine le imprese già oggi a tutti gli effetti 4.0, capaci di far convivere diverse tecnologie all’interno di un ecosistema, spesso allargato in ottica di filiera a clienti e fornitori.
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Qualche tecnologia non basta per fare Industria 4.0
In definitiva, essere 4.0 non significa abbracciare puntualmente 1-2 tecnologie digitali per rispondere a specifiche esigenze, magari di singoli reparti o aree di business, senza una vera integrazione / interconnessione. Essere 4.0 vuol dire applicare in modo pervasivo all’interno dei propri processi diverse tecnologie digitali, in grado di comunicare e scambiare dati e informazioni per prendere decisioni rapide e consapevoli, gestire in tempo reale cambiamenti improvvisi del contesto, essere flessibili nell’applicare le modifiche necessarie, nonché garantire livelli di efficienza e sostenibilità (sempre più) elevati.
Dalla Figura 1 emerge un messaggio per certi versi quasi scontato ma non per questo poco importante: anche in industria (o impresa) 4.0, le dimensioni contano. Delle imprese facenti parte le classi dei RITARDATARI, dei PRATICONI e dei TEORICI, cioè le più lontane dal paradigma 4.0, il 75% sono PMI. In altri termini, le PMI appaiono meno pronte alla trasformazione 4.0, non solo in termini di risorse investibili, bensì anche e soprattutto in termini culturali. Dall’altro lato però ciò non significa che le PMI non possano accedere alla rivoluzione 4.0 in atto: per definizione tutte le aziende possono approcciare la trasformazione digitale delle proprie attività. La riprova sta nel fatto che 1 delle 5 stelle del campione è proprio una PMI!
Chi è l’owner dei progetti Industria 4.0 in azienda?
Chi è lo sponsor dei progetti 4.0 in azienda? Nella metà dei casi, è direttamente il vertice aziendale, nel più classico dei processi top-down. Essendo una rivoluzione abilitata si dalle tecnologie, ma con impatti soprattutto sul modo di lavorare delle aziende e delle persone, è più che ragionevole che sia l’imprenditore, o il top management nelle imprese più grandi e strutturate, a “committare” la trasformazione digitale, vincendo così sul nascere le resistenze interne al cambiamento e definendo da subito la nuova identità organizzativa aziendale. Nel 20% dei casi rimanenti la responsabilità è affidata a capi funzione e per un altro 20% il ruolo è affidato all’IT, nella visione, un tantino datata, che tutto ciò che riguardi l’innovazione digitale debba necessariamente transitare dai sistemi informativi.
A chi spetta la governance dei progetti di innovazione digitale? Circa la metà del campione non dispone di una figura specifica atta a governare il cambiamento in ottica 4.0. Nel 35% dei casi il ruolo è affidato a process owner che vi si dedicano a tempo parziale. Solo nel 15% delle aziende intervistate esiste una figura dedicata a tempo pieno. Se ne deduce quindi che non tutte le aziende che sono già “in cammino” (35%), ritengono di avere bisogno sin da subito di un direttore d’orchestra ad hoc.
Tre pre-requisiti per diventare 4.0
È possibile identificare dei pre-requisiti per diventare 4.0? Assolutamente si, ed in particolare:
- La volontà di cambiamento deve nascere direttamente dal vertice, che deve essere in grado di tracciare la vision e pilotare le persone al conseguimento degli obiettivi prefissati;
- A fronte di questa guida decisa e sicura, è strettamente necessario che l’intera organizzazione aziendale abbracci il paradigma 4.0, rivedendo i propri processi e i propri ruoli, eventualmente riqualificando le competenze di quelle risorse che non risultassero essere allineate con le nuove tecnologie;
- Infine, perché questo cambiamento possa avvenire nel minor tempo possibile, è strettamente necessario che un’azienda abbia già intrapreso il percorso per poter essere quantomeno 0, cioè dotata di processi adeguatamente informatizzati e integrati tra di loro.
Passare da 3.0 a 4.0
Per diventare 4.0, le aziende è bene che siano già 3.0. Tale pre-requisito di natura tecnologica influenzerà la velocità con la quale le imprese potranno divenire 4.0. Coloro che ad oggi hanno già svolto il percorso di informatizzazione, disporranno delle fondamenta grazie a cui potersi dedicare alla trasformazione digitale dei propri processi; per quelle aziende che, invece, non hanno ancora completato il proprio percorso di informatizzazione, la strada verso il paradigma 4.0 sarà più lunga e articolata, dovendo in prima battuta terminare la costruzione delle fondamenta per questa trasformazione.
Le aziende italiane, storicamente molto orientate all’innovazione di prodotto, come si posizionano rispetto all’informatizzazione dei propri processi? E soprattutto, c’è relazione tra il livello di informatizzazione (alta, media, bassa) e la propensione alla trasformazione digitale?
Muovendosi da sinistra verso destra all’interno della figura 4 emerge molto chiaramente che all’aumentare del livello di informatizzazione, aumenta la maturità digitale delle imprese. In altre parole, le imprese più informatizzate (e da più tempo), sono quelle già oggi più orientate alla configurazione 4.0. Non è un caso che tutte le stelle manifestino un elevato livello di informatizzazione dei propri processi: una volta consolidata la configurazione 3.0 dell’azienda, ci si è potuti concentrare sull’evoluzione verso il paradigma 4.0. Al contrario, la maggior parte delle aziende in ritardo si segnala per un basso livello di informatizzazione: non solo l’obiettivo è lontano, ma mancano le basi per poterlo raggiungere rapidamente.
Figura 4 – Cluster 4.0 e livello di informatizzazione