Il passaggio in corso da Industria 4.0 ad Industria 5.0 rappresenta per la fabbrica un’evoluzione di grande rilevanza. L’argomento è stato al centro dell’ Industry 4.0 360 SummIT lo scorso 20 marzo. Tra i temi trattati hanno avuto risalto le tecnologie digitali e di frontiera su cui puntare e i modelli di innovazione per accelerare il passaggio ad uno sviluppo più sostenibile. Si è parlato di come le imprese possano rivedere il modo in cui progettano e realizzano i propri prodotti e di come debbano rispondere alle sfide poste dalla riorganizzazione delle catene di fornitura.
Tra i relatori che hanno animato l’evento anche Andrea Secco, head of linear and assembly technologies in Bosch Rexroth, il quale ha focalizzato il suo intervento sull’umanocentrismo, ovvero sul ruolo primario assegnato al lavoratore dai dettami alla base del paradigma costituito da Industria 5.0. Secco, manager operante nel mondo dell’automazione e della robotica, ha spiegato come molte delle tecnologie aperte ben si sposino con un modello di business che pone l’individuo al centro dei processi di produzione.
“Il ruolo dell’uomo era rimasto parzialmente sullo sfondo in quella che è stata negli anni l’evoluzione del processo produttivo all’interno della fabbrica” – ha esordito Secco. “La digitalizzazione massiva dei flussi produttivi, architrave di Industria 4.0, ha avuto come ricaduta un’enorme quantità di dati da interpretare – ha proseguito -. Ne è conseguito che l’uomo ha dovuto imparare il linguaggio delle macchine per meglio comprenderlo e meglio interpretarlo. Si è così constatato che questi dati avevano non solo il pregio di restituire una nitida fotografia del presente, ma anche quello di fornire indicatori probabilistici per un’evoluzione futura. Quali delle possibilità vagliare, e in quale punto preciso della linea produttiva implementarle, è un compito che è spettato, e che tuttora tocca, all’uomo, di nuovo protagonista. Il quale, appreso il linguaggio delle macchine ed imparato ad analizzare il flusso di dati in suo possesso, si è riappropriato della parte che gli compete, quella di attore principale della scena. Un ruolo che ha necessariamente arricchito, cercando di abilitare con tecnologie appropriate l’apprendimento delle macchine rispetto alle direttive impartite per implementare modifiche alla catena produttiva, così da riuscire ad apportare il valore della flessibilità in più punti del processo”.
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Semplicità, apertura e flessibilità
L’intervento all’Industry 4.0 360 SummIT è stato per Secco l’occasione anche per illustrare come Bosch Rexroth, in un contesto tecnologico in profonda rivoluzione e con ambiti specifici come l’IT e l’IoT sempre meno separati da confini rigidi, stia supportando le richieste che provengono da un mercato che esige interfacce tra uomo e macchina ancora più intuitive rispetto allo stato di fatto e da una clientela che richiede a gran voce maggiore “apertura”. “Cerchiamo di lavorare su tre aspetti – ha spiegato – uno tecnologico, il secondo di collaborazione e l’ultimo di configurabilità”.
Per quanto riguarda il primo, “abbiamo da tempo scelto di fornire soluzioni con piattaforme aperte e non chiuse, e ciò fa sì che l’utente finale possa intervenire in fase di configurazione della macchina, comportando che sia artefice non solo delle performance di quella parte di fabbrica, ma anche che sia in grado di implementare quelle modifiche sulla base di precise esigenze che avverte in un determinato momento”.
“All’utente finale – ha insistito – va data la possibilità di un’estrema configurazione del prodotto, il nostro utilizzo di linguaggi di programmazione open source, esenti dalla necessità dell’intervento di un softwarista specializzato in materia, fa sì che l’operatore nel punto della filiera produttiva di sua competenza diventi realmente protagonista e possa apportare forme di cambiamento e di evoluzione alla dinamica della fabbrica”.
Per ciò che concerne l’aspetto della collaborazione, Secco lo ha affrontato introducendo un altro tema: la cobotica. “È un argomento attrattivo in questa fase storica del mondo industriale – ha dichiarato – perché è una chiave tecnologica con minori restrizioni rispetto alla robotica, e ciò è fondamentale in un periodo in cui la rigidità male si addice a processi sempre più soggetti a repentini mutamenti della produzione”. La cobotica fa sì che al robot “venga assegnata una serie di serie di operazioni che sollevano l’uomo dal dover assolvere a mansioni pesanti e ripetitive spostando così quello che è il valore aggiunto dell’umano dal suo braccio al suo cervello”. Questo perché “è la persona stessa, attraverso la sua vasta esperienza, che va a riconfigurare la sua postazione migliorandone le prestazioni complessive”.
Secco ha infine toccato l’ultimo dei tre punti su cui è concentrato lo sforzo di Bosch Rexroth, vale a dire la “configurabilità”: “Forniamo alle industrie soluzioni che sono state programmate con un linguaggio talmente sofisticato da rendere poi l’interfaccia uomo-macchina estremamente semplice e configurabile dall’operatore finale, il quale anche se privo di abilità nel programmare può procedere rapidamente ad una nuova parametrizzazione, contribuendo così in prima persona all’ottimizzazione di una parte della produzione. Ecco, dunque, l’operatore al centro della vita della fabbrica, ecco il valore aggiunto che è in grado di conferire al lavoro che sta eseguendo”.
Il ruolo centrale delle competenze
Come ovvio, parlare di umanocentrismo significa obbligatoriamente introdurre nel discorso il tema delle competenze da fornire al lavoratore perché sia il perno di un percorso di innovazione. Secco ha raccontato dello sforzo che Bosch Rexroth compie su questo versante: “Stiamo investendo tantissimo sulla formazione interna. Abbiamo un Graduate Automation Program che prevede il reclutamento di studenti che frequentano l’ultimo anno di università. A loro facciamo sperimentare moltissimi aspetti della nostra azienda, nazionali ed internazionali, e non lo facciamo con l’intento di inserirli in un ambito tecnologico prestabilito, ma diamo loro la possibilità di scegliere dove vorrebbero collocarsi, in quale sfera avvertono di poter garantire un vero valore aggiunto”. “È un genere di approccio – ha concluso – che sottende la volontà di porre da subito le persone al centro della vita aziendale adeguandosi nel limite del possibile alle loro scelte personali”.