“L’istituzione del Piano Transizione 5.0 è una novità molto rilevante di politica industriale. Il motivo è che, come più volte evidenziato da Confindustria, introduce misure necessarie a rendere attrattivo il sistema Paese e a sostenere la competitività delle imprese nel quadro dei nuovi paradigmi europei”. Maurizio Marchesini, Vice Presidente per le Filiere e le Medie Imprese di Confindustria, ha iniziato così, con un commento positivo, la sua audizione davanti alla Commissione attività produttive alla Camera in vista dei lavori di conversione in legge del decreto legge 19 del 2 marzo 2024 che, all’articolo 38, istituisce il nuovo Piano Transizione 5.0
Il piano, prosegue Marchesini, “risulta ben strutturato e coerente con le principali indicazioni fornite da Confindustria nella costante interlocuzione avuta con il Ministero nei mesi scorsi”.
Marchesini si è detto infatti soddisfatto di come il decreto definisca un quadro certo per l’accesso all’agevolazione, rafforzi il nesso tra digitalizzazione e sostenibilità e supporti l’adeguamento delle competenze. Il tutto poi supportato da un’importante dotazione finanziaria e da una “filosofia” che guarda ai progetti, agli obiettivi e ai risultati raggiunti.
“Positivo” è giudicato anche il coinvolgimento del GSE, che diventa il riferimento per l’accesso all’agevolazione, nonché per alcune forme di controllo.
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Le critiche di Confindustria
Dopo il riconoscimento dei meriti Marchesini è poi passato a esaminare le criticità del Piano Transizione 5.0.
Il nodo delle tempistiche
La prima riguarda l’operatività del Piano che “non è immediata, ma passa per un decreto attuativo, indispensabile per rendere concrete le nuove misure e la cui gestazione non sarà agevole”.
Inoltre c’è l’enorme questione della ristrettezza dei tempi di implementazione del piano Transizione 5.0. “Di fatto per realizzare gli investimenti avremo a disposizione meno di due anni”, rileva Marchesini. “Ciò comporta che, nei prossimi mesi, potrebbero verificarsi, anzi si verificheranno, alcune strozzature dal lato dell’offerta, cioè l’impossibilità dei fornitori di completare ordini concentrati in un lasso temporale ristretto”.
La questione DNSH
E poi c’è la “questione DNSH”. Il comma 6 dell’articolo 38 infatti prevede, in ossequio al principio “non arrecare un danno significativo all’ambiente” (DNSH), l’esclusione dagli incentivi delle attività soggette al sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (ETS) che generano emissioni di gas a effetto serra non inferiori ai parametri di riferimento e delle attività che generano un’elevata dose di sostanze inquinanti classificabili come rifiuti speciali pericolosi il cui smaltimento potrebbe causare un danno all’ambiente.
“Per quanto riguarda i settori ETS – dice Marchesini – segnaliamo che la norma escluderebbe numerose imprese (più di 1.000 grandi imprese) della produzione di carta, ceramica, acciaio, metalli non ferrosi, vetro, ghisa, cemento, diversi prodotti chimici, idrogeno, ecc., che rappresentano comparti strategici per il Paese, in quanto sono alla base delle filiere industriali e ne condizionano la competitività. Si tratta di settori esposti alla concorrenza internazionale e a rischio delocalizzazione, anche per altri motivi come il costo dell’energia, per i quali la decarbonizzazione competitiva rappresenta una priorità. Pertanto, le imprese che appartengono a tali settori andrebbero incluse nel perimetro di 5.0 per supportarle, attraverso l’efficienza energetica e gli investimenti in fonti rinnovabili, nel percorso di abbattimento delle emissioni, con benefici che si trasmetterebbero, a valle, a tutte le filiere produttive”.
Per quanto riguarda invece le attività escluse sulla base della produzione di una elevata dose di rifiuti speciali pericolosi, “è fondamentale chiarire che tale esclusione non si applica, non si dovrebbe applicare, in tutti quei casi in cui i rifiuti sono destinati a operazioni di economia circolare, come il riciclo e il recupero, poiché in tutti questi casi non si verificano potenziali impatti ambientali negativi e non avrebbe alcun razionale escluderle da una misura di supporto alla decarbonizzazione, quale è 5.0”.
Il divieto di cumulo con la ZES Unica
Un altro punto criticato da Marchesini è il divieto di cumulo agevolazioni ZES Unica.
Il piano Transizione 5.0 infatti non è cumulabile con le agevolazioni previste nella cosiddetta ZES Unica. “Non si comprendono – dice Marchesini – le ragioni di questo divieto (fermo rimanendo il divieto di sovracompensazione), se solo si considera che il Piano Transizione 5.0 contiene misure generali e non selettive. Peraltro, il DL riduce in modo sostanziale il rifinanziamento dei contratti di sviluppo, molto utilizzati proprio nelle regioni del Mezzogiorno; il quadro complessivo che si delinea rischia di non essere, quindi, favorevole al rilancio degli investimenti e alla riduzione dei divari in quell’area del Paese”.
Le richieste di Confindustria
Gli industriali dunque chiedono di definire “con urgenza” i contenuti del decreto attuativo e fornire così alle imprese, in tempi compatibili con le strategie di investimento, i necessari chiarimenti sui diversi punti precedentemente esposti.
Inoltre chiedono, sin da subito, “un coordinamento tra i diversi attori istituzionali coinvolti, cioè MIMIT, Agenzia delle Entrate e GSE” nonché l’istituzione di una “cabina di regia con le imprese che possa garantire un confronto ampio e continuo nel tempo sull’attuazione dell’agevolazione”.