Iniziamo con una premessa: la sicurezza dei lavoratori è e deve essere sempre di più motivo di preoccupazione perché gli incidenti sul lavoro nel XXI secolo semplicemente non dovrebbero accadere. L’episodio di cui parliamo oggi, però, riguarda un altro flagello che con il tema della sicurezza non c’entra e – anzi – ha l’enorme responsabilità di prenderlo come pretesto: il neo-luddismo, cioè quell’atteggiamento culturale – o meglio sub-culturale – che porta la stampa a fare titoli acchiappa-click quando c’è di mezzo un robot o l’AI – e i lettori ad abboccare all’esca.
Ma partiamo dai fatti: numerosi quotidiani, inclusi anche quelli generalisti e più diffusi, hanno recentemente riportato un episodio di “aggressione” da parte di un robot a un lavoratore in una delle fabbriche di Tesla. Il Corriere della Sera nella sua versione online titola ad esempio “Tesla, robot «attacca» dipendente in una Gigafactory a Austin e lo ferisce alla mano”; Repubblica titola “Stati Uniti, la rivolta del robot: androide aggredisce un ingegnere della Tesla”; Il Giornale: “Tesla, la rivolta del robot. Aggredito un ingegnere”.
Che cosa suggeriscono questi titoli? Che un robot, verosimilmente umanoide viste le foto scelte per illustrare la notizia (magari proprio l’Optimus di Tesla?), sia sfuggito alla più elementare delle leggi di Asimov e abbia, appunto, aggredito un umano. Un episodio gravissimo, evidentemente.
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Che cosa è accaduto
Ma che cosa è successo veramente? Per saperlo bisogna riferirsi alla fonte originale di tutti questi articoli, che è il giornale online The Information, che così racconta l’episodio:
“Nel 2021, un ingegnere stava programmando il software che controlla i robot di produzione nello stabilimento Tesla di Austin, in Texas, quando qualcosa è andato storto. Due dei robot, che tagliano parti di automobili da pezzi di alluminio appena fusi, sono stati disattivati per consentire all’ingegnere e ai suoi compagni di lavorare in sicurezza sulle macchine. Un terzo, che afferrava e spostava le parti dell’auto, è stato inavvertitamente lasciato in funzione, secondo due persone che hanno assistito all’accaduto. Mentre il robot eseguiva i suoi normali movimenti, ha bloccato l’ingegnere contro una superficie, spingendo i suoi artigli nel suo corpo ed estraendo sangue dalla sua schiena e dal suo braccio, hanno detto le due persone. Dopo che un altro operaio ha premuto un pulsante di arresto di emergenza, l’ingegnere si è liberato dalla presa del robot, cadendo per un paio di metri lungo uno scivolo progettato per raccogliere rottami di alluminio e lasciando una scia di sangue dietro di sé, ha detto uno dei testimoni”.
Sulla dinamica dell’incidente non sappiamo altro. E sicuramente c’è un tema di sicurezza del lavoro che andrebbe approfondito perché una persona si è fatta male.
Ma a giudicare da quello che abbiamo letto su The Information, si capisce intanto che il robot in questione non è un “androide”, ma un normalissimo robot industriale addetto alla movimentazione dei materiali. Come conferma lo stesso Elon Musk in un post su Twitter X: “È davvero vergognoso che i media tirino fuori un infortunio di due anni fa dovuto a un semplice braccio robotico industriale Kuka (presente in tutte le fabbriche) e insinuino che ora sia dovuto a Optimus”.
Un robot che, a quanto pare, non è nemmeno un collaborativo iper-sensorizzato, ma un normalissimo robot industriale pensato per lavorare in “gabbia”, cioè non a contatto con l’uomo. Sono robot che dunque non sono dotati della sensoristica necessaria a evitare danni all’uomo semplicemente perché con un umano non dovrebbero proprio entrare in contatto, esattamente come accade per una pressa o per una taglierina.
Ora, non siamo qui a fare gli avvocati dei robot. Ma dalla lettura dei fatti emerge in tutta chiarezza che quello che è accaduto è conseguenza di un errore procedurale da parte degli operatori, che non hanno disinserito i macchinari prima di fare ingresso nell’area loro riservata.
Perché quei titoli?
L’episodio ci porta dunque a chiederci perché allora i giornali scandalistici internazionali – e quelli generalisti italiani – abbiano titolato in modo così falso su questo episodio.
Le risposte sono diverse. In primo luogo, perché un incidente in casa Tesla fa notizia. Perché Tesla ha rivoluzionato il mercato dell’automobile e perché ha puntato tutto sull’automazione. Perché il suo capo si chiama Elon Musk con tutto quello che ne consegue.
Secondo, perché Tesla ha sviluppato Optimus, un androide che somiglia all’uomo e che per questo fa più paura di qualsiasi altro robot. Peccato che gli umanoidi esistano da diversi decenni e il loro ruolo anche nei servizi alla persona non è in discussione, come dimostra la diffusione di questi robot in Giappone.
Terzo, perché la contrapposizione tra robot e uomo fa audience. La fa perché punta diritto alle paure ancestrali dei lettori, alla loro “pancia”. A questo proposito, mi si permetta un esempio in un ambito completamente diverso: l’articolo 75 della Costituzione della Repubblica, che esclude dalle materie che possono costituire oggetto di Referendum popolare la tassazione: è evidente che chiunque proponesse l’abrogazione di una legge che istituisce un tributo vincerebbe il referendum a mani basse, facendo leva proprio sulla “pancia” degli elettori. La saggezza dei padri costituenti evidentemente era figlia di un’era diversa.
Siciliano: “Per l’uomo è difficile riconoscere i benefici della robotica”
Ma perché i robot spaventano più di altre tecnologie che pure hanno avuto un impatto disruptive sulle nostre vite?
Sulla questione abbiamo chiesto un parere al professor Bruno Siciliano, ordinario di Robotica e Automatica all’Università Federico II di Napoli. In primo luogo gli abbiamo chiesto perché siamo così prevenuti rispetto ai robot. “Il robot fa effetto – ancora più dell’intelligenza artificiale – perché emula anche la parte fisica dell’uomo – e l’uso distorto della tecnologia può causare dei danni anche fisici. Inoltre gli esseri umani si sentono rassicurati quando una tecnologia è semplice, plug and play, alla loro portata, come è accaduto con gli smartphone. I robot invece non sono ancora a questo livello, anche se con la robotica collaborativa ci stiamo avvicinando a un un utilizzo più intuitivo dello strumento”, spiega Siciliano.
La sfida – aggiunge il professore – è di carattere prettamente culturale. “Come ormai sappiamo molto bene la tecnologia di per sé è solo uno strumento dietro il quale c’è un uomo con le sue responsabilità. E nel caso della robotica, non possiamo ignorare che ci fornisce un aiuto che permette di ampliare le nostre possibilità, liberandoci dal fardello di lavori gravosi, mettendoci nelle condizioni di esprimere al meglio la nostra creatività e aiutandoci nei campi più disparati, come ad esempio la medicina”.