Eco innovazione

Perché serve una ecolabel per i beni strumentali

L’Unione europea sta introducendo una serie di regole sulla sostenibilità che mirano a garantire che le aziende siano responsabili del loro impatto ambientale e sociale. Queste normative obbligheranno le aziende a ripensare il modo in cui gestiscono la loro attività. La digitalizzazione e la trasparenza stanno emergendo come strumenti chiave per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità. Perché serve una ecolabel per i beni strumentali.

Pubblicato il 15 Dic 2023

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La sostenibilità industriale è un tema sempre più importante per le aziende italiane ed europee, che devono trovare soluzioni innovative per ridurre il proprio impatto ambientale. Il Cluster Fabbrica Intelligente ha avviato una riflessione sul tema, con l’obiettivo di preparare un percorso verso linee guida e in futuro strumenti, per intraprendere una trasformazione della manifattura sempre più vicina a un modello di produzione eco-compatibile. Un approfondimento sullo stato dell’arte è stato offerto nel corso del convegno online ‘Una Ecolabel per i beni strumentali’ organizzato nei giorni scorsi in partnership con Siemens pathfinder del Cluster.

Ecolabel: la certificazione della sostenibilità

L’ecolabel è un termine generico per indicare una possibile modalità per rendere evidente la misurazione prima di tutto condivisa, quindi standardizzata e data driven e poi anche certificata, che attesti la conformità di un prodotto o di un processo produttivo ai requisiti di sostenibilità ambientale. L’ecolabel potrà rappresentare un riferimento per chi governa i processi di produzione, realizzando prodotti sostenibili e contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale.

CFI, ha spiegato il cluster manager Paolo Vercesi “oltre all’attenzione per il prodotto finale in sé, il Cluster Fabbrica Intelligente ha lanciato il tema della valutazione dell’impronta nella realizzazione dei beni industriali. La misurazione nasce dalla rilevazione e dallo scambio dei dati, deve confrontarsi sui criteri di sostenibilità che includono l’efficienza energetica, l’utilizzo di materie prime rinnovabili, la riduzione delle emissioni di gas serra e la minimizzazione degli scarti, una fase di demanufacturing e remanufacturing con rifunzionalizzazione dei componenti e loro fine fine vita”.

Digitalizzazione e trasparenza: strumenti chiave per le imprese sostenibili

In questo contesto, “la digitalizzazione e la trasparenza stanno emergendo come strumenti chiave per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità. Le aziende che adottano soluzioni digitali possono infatti monitorare e condividere lungo la filiera dati che normalmente sono già sono raccolti tra la fase di progettazione e realizzazione del bene strumentale produttivo. La condivisione dei dati è fondamentale perché le linee di produzioni sono sistemi complessi e i fornitori di sottosistemi e componenti appartengono a settori, materie prime, elettrocnica, meccanica, azionamenti e motori, carpenteria, software ecc, con differente cultura del dato e disponibilità di competenze interne. Inoltre, la trasparenza consente alle aziende di comunicare in modo chiaro e trasparente i loro sforzi in materia di sostenibilità ai propri clienti e alle parti interessate”.

In definitiva, ha concluso Vercesi, “le aziende che realizzano macchinari e prodotti, non solo che nel loro funzionamento contengano i livelli di impatto, ma proprio che abilitino la transizione verso la sostenibilità del resto del sistema industriale, saranno meglio posizionate per il futuro. Oltre alla crescente sensibilizzazione della governance pubblica e del mondo della finanza per il mercato business, è un’opportunità di mercato poter abilitare la sostenibilità, e si vogliono utilizzare materiali più performanti qualche macchina deve essere in grado di trasformarli, se si vogliono ridurre i consumi energetici o di sfruttare le fonti rinnovabili ci vogliono dispositivi di acquisizione, misura e trasmissione adeguati, se si vuole diminuire il consumo di risorse si devono progettare prodotti sustainable by design e quindi già pensati per essere smontati e riutilizzati o dismessi,  la linea di produzione stessa rilascia una componente che va sommata alla valutazione complessiva. Questa transizione è una buona opportunità per i produttori di beni di produzione”.

La roadmap di CFI

La roadmap del Cluster Fabbrica Intelligente “ha un’azione fondamentale di collegamento tra le strategie a livello territoriale, nazionale ed europeo”, ha spiegato Flavio Tonelli, professore ordinario di Ingegneria per la sostenibilità industriale presso l’Università di Genova e vice presidente comitato tecnico scientifico del Cluster Fabbrica Intelligente. “Questo è importante per evitare che la transizione verso la sostenibilità industriale si trasformi in una mera deindustrializzazione per obiettivi troppo ambiziosi che non tengono in considerazione vincoli di tipo sociale e tecnologico. L’allineamento della roadmap è ovviamente pensato in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu. La roadmap declina tutte le attività di tipo tecnologico e market driven rispetto al potenziale impatto che si potrà avere sui diversi obiettivi”.

La roadmap punta a tenere legate le azioni locali con la strategia nazionale e in connessione con le politiche decise a livello di Unione europea. L’obiettivo è chiaramente quello di favorire l’economia circolare, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, il miglioramento dell’efficienza energetica e la razionalizzazione dei consumi e delle risorse, anche, ha detto Tonelli, nell’ottica di “ridurre la nostra dipendenza dalle materie prime che dal punto di vista geopolitico è sempre più preoccupante”.

C’è poi il tema del recupero. “È fondamentale”, ha spiegato Tonelli, perché permette di recuperare componenti che hanno ancora funzioni e che possono essere utilizzati in altri mercati. Questo prefigura una rivisitazione sostanziale della base produttiva rappresentata dalle aziende italiane. Il nostro è un Paese che costruisce cose, e quindi può anche decostruirle, apportando al processo di sostenibilità competenze specifiche e grande valore specializzando i propri macchinari per produrre in macchinari per de-produrre”.

Si tratta però di un cambio radicale che implica complessità diversa dal passato e, senza un adeguato supporto tecnologico, diventa difficile se non impossibile da attuare. Lo ha capito da subito FICEP, il cui amministratore delegato e Presidente di Afil, braccio lombardo del Cluster Fabbrica Intelligente, Christian Colombo ha sintetizzato così: “Tutti i controlli di compliance sui prodotti devono essere anticipati. Oggi i controlli vengono fatti quando il prodotto è pronto a essere immesso nel mercato, mentre devono essere fatti già a partire dalla progettazione. È un cambio di paradigma con impatti rilevanti su tutti i dipartimenti delle aziende, ma consentirà risparmi notevoli”.

Cambieranno la cultura e l’organizzazione aziendale

Ma saranno necessari cambiamenti radicali dei modelli di business ha spiegato Franco Megali, amministratore delegato di Siemens Industries Software per Italia Grecia e Israele. Cambiamenti che dovranno avvenire non solo sul lato “della profittabilità, ma anche sul mercato e che però possono rendere le aziende più competitive”. Sono quattro i grandi driver di questo settore, ha rimarcato Megali: “capacità di misurare la sostenibilità secondo standard condivisi; gli investimenti che sulle imprese sostenibili raddoppiano di anno in anno; la scarsità di risorse e la transizione verso economia circolare; e infine il mercato che è sempre più propenso a riconoscere maggiore valore per prodotti sostenibili e tracciati”.

Tra i diversi strumenti digitali che possono essere utilizzati per la sostenibilità, il Digital Twin e la Blockchain stanno emergendo come soluzioni promettenti. Il Digital Twin è una rappresentazione digitale di un sistema fisico, che può essere utilizzata per simulare e ottimizzare il comportamento del sistema. La Blockchain, invece, è una tecnologia di registro distribuito che può essere utilizzata per creare catene di approvvigionamento trasparenti e tracciabili.

Per poter avere un’azione sinergica su un sistema estremamente frammentato come quello industriale, occorrono però delle piattaforme digitali che permettano di integrare le diverse filiere e processi. Siemens è uno dei principali fornitori di queste piattaforme, che possono essere utilizzate per simulare il ciclo di vita di un prodotto, ottimizzare l’efficienza energetica e ridurre le emissioni di CO2.

Piattaforme per le imprese

Un punto su cui ha insistito anche Domenico Velardo, pre sales maanager di Siemens Industry Software, illustrando la piattaforma software che aiuta i clienti a progettare prodotti sostenibili sin dalla fase di ideazione, a monitorare il loro ciclo di vita e a comunicare con le rispettive supply chain. La piattaforma Siemens può anche aiutare i clienti a creare report di Life Cycle Assessment (LCA) per i loro prodotti. La piattaforma Siemens è di tipo PLM (Product Lifecycle Management) e si integra con altri sistemi presenti in azienda come CAD, ERP, CRM, MES. Questo permette ai clienti di utilizzarla senza dover sostituire i sistemi esistenti. “La sostenibilità è un processo culturale che coinvolge tutti i reparti dell’azienda”, ha concluso Velardo.

Un’altra soluzione offerta da Siemens Industry Software è centrata sul calcolo dell’impronta di carbonio (Carbon Footprint) di un prodotto durante tutto il suo ciclo di vita, dalla fase di progettazione alla fase di smaltimento. “Questa soluzione aiuta le aziende a identificare le aree in cui possono ridurre la loro impronta di carbonio e a prendere decisioni informate per migliorare la sostenibilità dei loro prodotti”, ha spiegato Alessio Barone pre sales solution consultant di Siemens Industry Software.

La soluzione di Siemens utilizza un modello di calcolo ISO 14067 e un protocollo GHG per calcolare il Carbon Footprint di un prodotto. Il modello di calcolo tiene conto di tutti i fattori che contribuiscono all’impronta di carbonio di un prodotto, tra cui i materiali utilizzati, l’energia consumata, i trasporti e lo smaltimento.

“La soluzione di Siemens è disponibile come modulo di Teamcenter, un software di gestione del ciclo di vita del prodotto (PLM) che aiuta le aziende a gestire il loro portafoglio di prodotti, dal design alla fase di vendita e supporto e oltre. Il sistema può anche aiutare le aziende a certificare i loro prodotti come sostenibili.

Lo tsunami normativo

Ostacoli, come pure opportunità, sono individuabili se si prende in considerazione lo scenario normativo o, come lo ha definito Paolo Gianoglio, direttore sviluppo e innovazione di ICIM Group, lo “tsunami normativo”. L’Unione europea sta producendo una serie di regole sulla sostenibilità che “obbligheranno le aziende a ripensare il modo in cui gestiscono la loro attività. Queste nuove regole, come la Direttiva CSRD sulla rendicontazione di sostenibilità, la Direttiva Cs3d sulla due diligence di sostenibilità lungo la filiera e la Direttiva Esg sui rating di sostenibilità, mirano a garantire che le aziende siano responsabili del loro impatto ambientale e sociale”.

“La situazione è radicalmente cambiata”, rinforza il concetto Daniela Sani, del direttivo del CFI e senior manager di sostenibilità in ART-ER la Società Consortile dell’Emilia-Romagna nata per favorire la crescita sostenibile della regione attraverso lo sviluppo dell’innovazione e della conoscenza, l’attrattività e l’internazionalizzazione del territorio.

“L’Ecolabel è un forte abilitante ai percorsi di sostenibilità, ma non è sufficiente a soddisfare i requisiti richiesti dal Regolamento Tassonomia (Regolamento 852/2020) e i relativi criteri di vaglio tecnico sui 6 obiettivi ambientali. A questo si aggiunge poi il recentissimo regolamento sulla CSRD – Corporate Sustainability Reporting Directive (pubblicata a Dicembre 2022) che rafforza e definisce il quadro impostato dal Regolamento Tassonomia. Entrambi  forzano il percorso delle imprese verso la sostenibilità. Il primo individua le attività di alcuni settori economici che devono contribuire in maiera significativa e/o non devono essere dannosi rispetto ai 6 criteri ambientali (principio del DNSH – Do No Significant Harm Il secondo impone alle imprese cosiddette ‘grandi’ (ovvero con una media di 250 dipendenti) di certificare accanto al bilancio anche la sostenibilità, con un principio di doppia materialità, ovvero con indici economici e ambientali. Banche e qualsiasi istituto finanziario sono tenuti a verificare la conformità da parte delle imprese che richiedono l’accesso al credito e possono, in caso di mancanza dei requisiti, negare la concessione di finanziamenti o crediti”. E’ un forte cambiamento, non solo dettato dai mercati che cercano prodotti sempre più green e rispettosi dell’ambiente, ma soprattutto dai mercati finanziari che ne intravedono il potenziale di crescita e sviluppo nel medio-lungo termine.

Nonostante i rischi, le aziende possono tuttavia cogliere questa opportunità per trasformare la loro attività e diventare più sostenibili, ha ribadito Gianoglio. “Significa misurare e comunicare il proprio impatto ambientale e sociale, stabilire obiettivi ambiziosi e implementare piani di azione per raggiungerli. Significa pensare alla rendicontazione come a un processo e non più come a un output o, peggio a un mero documento obbligatorio. Significa anche comprendere quali dati raccogliere e come. La selezione dei dati da misurare e comunicare deve rispettare i principi ESRS, deve rispondere cioè alle esigenze dell’azienda e del suo mercato di riferimento, deve essere coerente con processi, prodotti e servizi offerti. E i dati devono rispettare i principi di rilevanza, fedele rappresentazione, comparabilità, verificabilità e comprensibilità, cosa tutt’altro che semplice visto che per molti prodotti è difficile se non impossibile determinare cicli di utilizzo standard su cui misurare l’impatto, se non per un mero esercizio di comparazione”.

Saranno necessari investimenti consistenti in tecnologie digitali per migliorare l’efficienza e ridurre le emissioni di gas serra. “Questo include l’utilizzo di software per la gestione dell’energia, l’ottimizzazione dei trasporti e la creazione di prodotti più sostenibili. Il Piano Transizione 5.0, lanciato dal Governo italiano, fornirà alle aziende i fondi necessari per investire in tecnologie sostenibili. Questo piano contribuirà a creare un’economia più verde e resiliente in Italia”.

Massimiliano Colombo, esperto di Cefriel, ha sottolineato che la visione di Industry 5.0, proposta dalla Commissione Europea, prevede un’industria collaborativa, human-centrica, più sostenibile e resiliente. Per raggiungere questa visione, è necessario affrontare una serie di sfide, tra cui la mancanza di competenze in tecnologica digitali e, più in generale la mancanza della cultura del dato, per vedere quest’ultimo come asset aziendale da conoscere e condividere sia all’interno sia all’esterno delle mura aziendali.

In particolare, Colombo ha evidenziato che “le piccole e medie imprese spesso non dispongono delle competenze digitali necessarie per estrarre, elaborare, analizzare e condividere i dati. Inoltre, molte PMI non hanno ancora una cultura diffusa della sostenibilità, il che rende difficile sia rendicontare i propri impatti ambientali sia utilizzare i propri dati per misurare e monitorare in itinere (idealmente: ‘live’) il proprio percorso di transizione.

Per superare queste sfide, serviranno formazione, l’adozione di regole di collaborazione all’interno dell’azienda e a livello di filiera per la creazione di relazioni digitali basate sulla condivisione dei dati (anche i dati di sostenibilità) e la promozione di una cultura della cybersecurity (un’altra dimensione fondamentale da presidiare per raggiungere la visione Industry 5.0 prima citata).

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Stefano Campolo

Giornalista, Content & MR Specialist di Blum

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