intelligenza artificiale

AI, in Italia solo l’8% delle aziende è pienamente preparato a implementarla e sfruttarne i vantaggi

La 1° edizione del AI Readiness Index di Cisco mostra che in Italia solo l’8% delle imprese è pienamente preparato a implementare soluzioni di AI e cogliere i vantaggi offerti dalla tecnologia. Tra gli ambiti di criticità sottolineati dal rapporto vi sono infrastrutture non scalabili, dati ancora segregati in silos, mancanza di competenze e cultura adeguate. E intanto le imprese cercano di “correre” per recuperare il ritardo.

Pubblicato il 04 Dic 2023

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In Italia solo l’8% delle aziende è del tutto pronta a implementare e sfruttare le tecnologie basate sull’Intelligenza Artificiale, mentre il 3% è del tutto impreparata. Il 63% rientra invece nella categoria delle aziende “follower”, ossia preparate solo in parte, con un 26% che ritiene di avere un grande focus sull’AI, anche se non è del tutto pronto.

Sono questi i dati principali che emergono dalla 1° Edizione del AI Readiness Index di Cisco, una ricerca che ha coinvolto oltre 8.000 aziende in tutto il mondo per tracciare lo scenario di un mercato in cui l’adozione dell’AI sta accelerando tanto da produrre una trasformazione profonda, con impatti decisivi su quasi tutti gli aspetti della vita quotidiana e dell’attività delle imprese.

Quanto pronte sono le aziende italiane a cogliere i vantaggi dell’AI?

Dallo studio emerge una diffusa consapevolezza sull’importanza dell’AI per i business, con l’84% dei manager intervistati che ritiene che l’AI avrà un impatto rilevante sull’operatività della propria azienda.

Rispetto all’elaborazione di una strategia incentrata sull’AI, il 73% delle aziende italiane è “pronta” o “in buona parte pronta: circa un terzo delle aziende (il 29%) è stato classificato come “pacesetter”, ovvero pienamene preparato, mentre il 44% è “moderatamente preparato” (chasers).

Dati che indicano un focus degli executive e della leadership IT sul tema, che si rispecchia anche nel fatto che il 95% dichiara che nella loro azienda l’urgenza di implementare tecnologie AI è aumentata negli ultimi 6 mesi, con due aree di applicazione prioritarie: nell’infrastruttura IT e nella cybersecurity.

Tuttavia, resta ancora molta strada da fare: l’AI Readiness Index di Cisco mostra infatti che il 23% delle aziende ha un grado di preparazione rispetto all’AI limitato e il 4% è totalmente impreparato ad affrontare questa sfida.

Tra i vantaggi principali che spingono le aziende ad adottare l’AI ci sono: migliorare l’efficienza di sistemi, processi e operazioni e la redditività (63%); migliorare la capacità di innovare e la competitività aziendale (51%); creare una migliore esperienza per gli utenti esterni, ad esempio clienti e partner e migliorare la competitività (47%); crescere i ricavi e la quota di mercato nelle linee di business esistenti (42%); migliorare la gestione dei rischi (35%).

Per quanto riguarda il tipo di tecnologie già adottate prevalgono: predictive AI (33%), generative AI (32%) e Machine Learning (35%). Sono proprio queste le tecnologie su cui le aziende stanno investendo maggiormente – sono infatti tra le più presenti nella categoria delle tecnologie che le aziende stanno implementando –, insieme a Deep Learning, Natural Language Processing, computer vision e Augmented Reality.

Infrastruttura: le reti non sono strutturate per le esigenze dei carichi di lavoro AI

Tra le maggiori criticità menzionate dalle aziende compaiono le infrastrutture e aspetti legati alla gestione e la fruibilità dei dati. Per quanto riguarda le prime, il 95% delle aziende, a livello globale, sa che l’AI aumenterà i carichi di lavoro che l’infrastruttura deve gestire.

Punto dolente in particolare nel nostro Paese: solo il 24% ritiene di avere in azienda un’infrastruttura altamente scalabile, necessaria per supportare l’enorme aumento dei carichi di lavoro che l’AI comporta.

Il 68% ritiene di avere una scalabilità limitata, o nessuna scalabilità per quanto riguarda la capacità delle infrastrutture IT a disposizione per vincere le nuove sfide dell’IA. Per oltre tre quarti (77%) il problema è procurarsi ulteriori GPU grafiche, ma vi sono anche problemi di latenza e capacità.

Le difficoltà nella gestione dei dati

La seconda barriera è costituta dalla poca capacità delle aziende di utilizzare i propri dati: in questo ambito, infatti, il 27% delle aziende italiane del tutto impreparate (verso un 17% globale).

L’82% delle aziende nel nostro Paese afferma che i dati nella loro organizzazione sono in parte non integrati o frammentati. Questo è un ostacolo grave perché la complessità di integrare dati che risiedono in diverse fonti e renderli disponibili per le elaborazioni dell’AI può incidere sulla capacità di sfruttare le applicazioni basate su intelligenza artificiale in tutto il loro potenziale.

Competenze per l’IA: una nuova era di digital divide

Altro nodo cruciale sono le competenze, dove il 53% delle aziende è pronto o parzialmente pronto. Rispetto alla disponibilità all’interno dei team aziendali, i membri dei consigli di amministrazione e il top management sono le persone che più facilmente abbracciano il cambiamento dell’AI nel mondo e anche in Italia, dove l’85% e il 78% mostra rispettivamente una ricettività elevata o moderata sull’argomento.

Tuttavia c’è ancora molto da fare per coinvolgere sia le figure di management intermedie, dove si riscontra un 25% che non è ricettivo o lo è in modo molto limitato, e sia i dipendenti, dove si riferisce di un 33% di persone che hanno poca o nessuna disponibilità ad adottare l’AI.

Inoltre, la necessità di avere competenze specifiche sull’AI rivela una nuova era di digital divide. In Italia il 94% dichiara di aver investito per riqualificare in tal senso i dipendenti già attivi, mentre il 27% ha espresso dubbi sull’effettiva disponibilità di sufficiente personale dotato delle conoscenze necessarie.

Governance: una falsa partenza per l’adozione di policy AI

Il 77% delle organizzazioni italiane dichiara di non avere policy AI onnicomprensive, ma questa è un’area da affrontare se le aziende vogliono considerare e governare tutti i fattori che possono presentare rischi, in termini di fiducia del mercato e fiducia nella tecnologia.

Questi fattori sono la privacy dei dati e la sovranità, la comprensione delle normative globali e il rispetto delle stesse. Inoltre si deve fare molta attenzione a temi come i bias, l’equità, la trasparenza nei dati e negli algoritmi.

Dall’indagine di Cisco emerge una situazione preoccupante per quanto riguarda la consapevolezza sui bias dei dati, sia per quanto riguarda la capacità di riconoscerli che quella di intervenire su bias rilevati. Si tratta di una sfida significativa, visto che tre organizzazioni su dieci riconoscono di avere una consapevolezza limitata o nulla dei potenziali pregiudizi e dell’equità dei dati utilizzati per l’AI e più di un quarto ha dichiarato di non avere meccanismi sistematici per rilevare le distorsioni dei dati.

Questa situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che il 25% degli intervistati riconosce che, anche se i pregiudizi e la mancanza di equità vengono rilevati nei dati, non dispongono di meccanismi di correzione sistematici o di dati, mancano meccanismi sistematici di correzione o non hanno processi formali di rettifica.

La privacy dei dati è un altro rischio fondamentale per le organizzazioni. La buona notizia è che gli intervistati hanno dichiarato di essere generalmente ben posizionati sulla questione della gestione della privacy dei dati, con più di tre quarti (76%) che ha indicato una comprensione organizzativa elevata o moderata e l’adesione agli standard globali sulla privacy dei dati. Questo numero è più alto negli intervistati delle Americhe (80%) e dell’Asia Pacifico (79%), rispetto a quelli dell’Europa (68%), Africa e Medio Oriente (68%).

Cultura: poca preparazione ma molta motivazione per renderla una priorità

La situazione cambia drasticamente quando si prende in esame la preparazione delle aziende rispetto la cultura necessaria ad adottare con successo queste tecnologie, governando le sfide e i rischi che esse comportano.

Questo aspetto, infatti, ha la quota più bassa di aziende “pacesetter” (del tutto pronte) che sono il 7%, rispetto alle altre categorie. Il 13% non ha dei piani di change management, e coloro che li hanno, nell’85% dei casi sono ancora in progress.

Gli executive sono i più ricettivi al cambiamento interno all’azienda che l’AI comporta, e devono quindi guidare lo sviluppo di piani completi e comunicarli chiaramente al management intermedio e ai dipendenti che già, come visto, hanno livelli inferiori di accettazione culturale.

La buona notizia è che la motivazione ad agire per il tema culturale è alta. Otto intervistati su dieci hanno dichiarato che la loro organizzazione sta prendendo in considerazione l’AI con un livello di urgenza moderato o elevato, e solo l’1% ha riferito di essere del tutto resistente al cambiamento.

Un urgenza che spinge le aziende meno pronte ad agire per non rischiare di trovarsi fuori dalla “partita dell’AI”: il 53% degli intervistati ritiene di avere al massimo un anno per implementare una strategia AI prima che il business inizi a risentirne.

“La corsa per prepararsi all’AI è partita, e c’è una forte pressione per passare dalla pianificazione strategica all’esecuzione, per capitalizzare il potenziale di trasformazione di questa tecnologia” commenta Liz Centoni, Executive Vice President e General Manager, Applications e Chief Strategy Officer di Cisco.

“Per sfruttare i vantaggi dei prodotti e dei servizi basati sull’AI, le aziende hanno bisogno di soluzioni che offrano sicurezza, osservabilità per i loro modelli e strumenti AI, così da garantire le prestazioni, proteggere dati e sistemi sensibili, fornire risultati affidabili ottenuti in modo responsabile”, aggiunge.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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