innovazione e territori

L’eccellenza? Non basta: ecco perché le aziende devono imparare a crescere insieme ai territori e alle comunità che le circondano

In Italia ci sono eccellenze in molti settori, dalla manifattura al design, dalla moda alla gastronomia. Ma spesso queste realtà finiscono per diventare delle “fuoriserie” che staccano e lasciano alle loro spalle tutto il resto. Farle diventare (o tornare ad essere) il motore e il traino di ciò che hanno attorno, comunità e territori, è una sfida di vitale importanza per tutto il Paese, come spiega Paolo Manfredi nel libro ‘L’eccellenza non basta’

Pubblicato il 06 Ott 2023

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Bisogna riagganciare le eccellenze italiane e la loro innovazione alle comunità e al territorio. Recuperare l’idea del ‘vivaio’ di creatività e sviluppo che in passato ha forgiato le nostre eccellenze. Ricostruire l’energia generativa, la curiosità, la voglia di fare, e di fare impresa. In modo che non solo chi primeggia ma insieme tutto il contesto circostante possano tornare a crescere e prosperare, sia creando nuove eccellenze, sia non emarginando e lasciando indietro gli altri.

Non per principi egualitari e non meritocratici, ma perché è meglio per tutti lavorare e vivere in territori vitali, dinamici e forti, anziché nel deserto e nella depressione circostanti. “Non esiste città ricca senza campagna florida”, rimarcava Fernand Braudel, allo stesso modo non esistono vere e durature eccellenze senza un ecosistema attorno solido e vitale.

La linea da seguire, per affrontare e vincere una sfida essenziale per tutto il Paese, è ben tracciata e argomentata nel libro ‘L’eccellenza non basta’, ovvero ‘L’economia paziente che serve all’Italia’, come indica il sottotitolo, scritto da Paolo Manfredi e pubblicato da Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi.

Le eccellenze come motore di comunità e territori

Manfredi è consulente per la trasformazione digitale e responsabile del Progetto speciale PNRR di Confartigianato Imprese, co-fondatore di Upskill4.0 e dirigente dei Digital innovation hub di Confartigianato per Milano e Lombardia. Ha già pubblicato i libri ‘L’economia del su misura’ (2016) e ‘Provincia non periferia. Innovare le diversità italiane’ (2019).

“Il problema non sono tanto le vere eccellenze, che fanno quello che devono, ossia eccellere, ma lo stato di salute del ‘brodo di coltura’ da cui negli anni queste eccellenze sono emerse, che oggi è sempre meno vitale”, osserva. Questo rende le eccellenze non più avanguardie, in grado di influenzare ed evolvere anche il contesto circostante, ma eccezioni, sempre meno rappresentative e connesse con l’ecosistema di provenienza, che si impoverisce.

I territori devono riconoscere e valorizzare risorse e talenti

Affrontare il problema significa “ragionare e operare pragmaticamente perché le eccellenze poggino, fertilizzandoli, su terreni sani. Sani perché in grado di produrre, riconoscere e valorizzare i talenti e non relegare chi talento non è, o non aspira a essere, in posizioni sempre più scomode e marginali”. Quindi, “bisogna provare a comprendere e governare i fenomeni di scollamento tra le vette e gli avvallamenti, non per limare le prime, ma per alzare i secondi”.

L’Italia ha tante eccellenze in molti settori, dalla manifattura all’industria, dalla meccanica al design, moda e gastronomia, e molto altro ancora; il punto è che queste eccellenze non devono essere come delle fuoriserie che staccano e lasciano alle loro spalle tutto il resto, ma rappresentare il motore e il traino di ciò che hanno attorno, comunità e territori. Che a loro volta devono attivarsi, cogliere e mettere a frutto le risorse e i talenti che hanno, prima che perdano i treni o scappino altrove.

Essenziale la capacità di visione e prospettiva

Questo dovrebbe essere “il compito principale della politica, della società organizzata e delle élite che guidano i territori e il Paese”, rileva Manfredi, “non fossero anch’esse a loro volta vittime dell’incapacità di leggere i fenomeni, della dipendenza dal ricorrente e dal contingente, della disabitudine ai pensieri lunghi e strategici”.

Bisogna mettere in fila le sfide e le minacce, con qualche goccia di opportunità, alle quali l’Italia deve fare fronte per alzare la media. È il requisito fondamentale per non essere sempre più l’anello debole dell’Europa nel mondo della crisi permanente, un Paese che ha ancora la possibilità di un Piano B, recuperando quel potenziale che ancora esiste e oggi non è espresso (l’imprenditorialità diffusa, le comunità), o è sprecato (il capitale umano), modernizzandolo e dandogli una prospettiva.

L’economia paziente, che cos’è e perché fa la differenza

È proprio questa prospettiva che l’autore chiama “economia paziente”. E sottolinea: “nulla a che vedere con la decrescita più o meno felice, né con improbabili alternative alla (neo)globalizzazione ancora al centro della scena; molto a che vedere con il Paese in cui molti vorrebbero vivere e lavorare. L’economia paziente non è un fantacampionato, ma un altro campionato, che può vivere in parallelo alle Superleghe, nelle quali l’Italia è quasi sempre comprimaria. Un campionato che veda in campo quei soggetti – artigiani, nuovi contadini, cooperatori, amministratori locali, scuole – che oggi siedono in curva, spettatori del nostro tirare a campare”.

In questo quadro, l’innovazione “è il processo completo che parte da nuove idee e per dare vita a prodotti e servizi nuovi o migliori. Interviene in tutti gli stadi del ciclo di vita di prodotti e servizi, visione, progettazione, sviluppo, produzione, vendita, utilizzo, post vendita”.

L’innovazione e l’importanza del Middle tech

Se l’innovazione fosse invenzione, non ci sarebbero alcun progresso e crescita del benessere. Tecnicamente, l’invenzione è il processo di creazione di un’idea completamente nuova, mentre l’innovazione è il processo di utilizzare le idee esistenti per dar vita a prodotti e servizi nuovi o migliorati al medesimo costo dei fattori.

Rimarca Manfredi: la distinzione tra invenzione e innovazione, uno degli elementi fondamentali del saggio ‘Innovation in real places’ dell’economista canadese Dan Breznitz, costituisce una chiave di lettura molto efficace dei processi virtuosi e viziosi di innovazione nel nostro Paese. L’Italia ha storicamente praticato, e tuttora pratica con ottimi risultati, l’innovazione incrementale, capace di ‘innovare con la bellezza’, riuscendo anche a produrre invenzione di qualità.

Oggi però “fatica, soprattutto nelle politiche pubbliche, a gestire la convivenza tra le due dimensioni. La scelta complessa, costosa e vana, di inseguire le realtà più avanzate nell’invenzione, che altri chiamerebbero innovazione Disruptive o High tech, toglie ogni attenzione e risorsa alla manutenzione dell’innovazione Middle tech, quella con maggiore opportunità di avere impatti positivi su sistemi economici e sociali come il nostro”.

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Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

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