Il settore automobilistico europeo si trova davanti a un bivio e la posta in gioco non potrebbe essere più alta: sono infatti a rischio 145 miliardi di PIL e 1,5 milioni di posti di lavoro. A rivelarlo è uno studio del Boston Consulting Group che sottolinea come l’avvento dell’elettrico e la deglobalizzazione potrebbero mettere a rischio il comparto.
L’auto in Europa macina profitti record e i fattori che l’hanno spinta fino a questo punto sono noti: il primato tecnologico, la presenza di marchi forti, l’efficienza produttiva e un contesto geopolitico favorevole.
In futuro, però, il corso delle cose potrebbe cambiare e si profilano tre scenari possibili: l’industria dell’auto europea potrebbe essere sorpassata dalla concorrenza americana e cinese, lasciando dietro di sé 145 miliardi di PIL, oppure mantenere la velocità di crociera, limitando i danni. Infine, potrebbe spingere sul pedale dell’elettrificazione e della transizione energetica, battendo con un colpo di scena i rivali globali.
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Lo status dell’automotive in Europa e i possibili scenari per il futuro
Costruttori e fornitori europei contribuiscono oggi per 460 miliardi di euro al prodotto interno lordo del Vecchio Continente, impiegano 4 milioni di persone, pagano 97 miliardi di tasse e valgono in Borsa 555 miliardi di euro.
Ma lo scenario futuro più probabile è che l’auto europea vada incontro a un graduale declino, passando da una quota di mercato globale del 26% a una del 12% nel 2040 e cedendo il passo alla concorrenza asiatica e americana, specie in Europa (-27%).
Le conseguenze della decelerazione sarebbero gravi: 145 miliardi di PIL in meno, 1,5 milioni di posti di lavoro persi, 35 miliardi di ammanco fiscale per gli Stati e un falò di Borsa da 283 miliardi.
La conservazione dello status quo consentirebbe invece, di mantenere l’apporto dell’auto sostanzialmente invariato o al più, lievemente diminuito. Qualora però le case europee dovessero riprendere la testa dell’innovazione, allora la quota di mercato globale potrebbe salire al 32%, il contributo al PIL a 530 miliardi, l’occupazione a 4,8 milioni, le imposte versate a 122 miliardi e la capitalizzazione di Borsa a 763 miliardi.
Per quanto difficile, dunque, la rimonta è un esito auspicabile per tutti i soggetti coinvolti: governi, costruttori, lavoratori, fornitori e investitori.
“Oggi il settore auto europeo possiede un primato costruito dai marchi nel corso degli anni e basato sulla superiorità tecnologica e qualitativa nella costruzione dei motori termici, così come sull’efficienza indiscussa delle proprie catene di produzione. Tuttavia, questo primato si trova ora esposto a diversi rischi che minacciano l’andamento futuro del comparto”, spiega Giuseppe Collino, Managing Director e Partner di BCG.
“Per permettere all’auto europea di continuare a spingere sull’acceleratore, bisogna creare collaborazione tra costruttori, fornitori e autorità”, aggiunge.
I cinque vantaggi competitivi delle case europee
La superiorità tecnologica e qualitativa nella costruzione dei motori termici rischia di diventare vana con l’avvento dell’elettrico che ha abbattuto le barriere d’ingresso nel mercato.
Startup automobilistiche americane e cinesi ne hanno approfittato per aggredirlo con prodotti distintivi per digitalizzazione, connettività e sviluppo della guida autonoma.
L’efficienza produttiva delle case europee è minacciata dall’aumento dei costi dell’energia, dalla carenza di manodopera qualificata e dai nuovi metodi di fabbricazione.
La forza dei marchi è pure indebolita dalla patina innovativa dei nuovi entranti, mentre la capillare rete distributiva rischia di diventare obsoleta nell’era del commercio online.
Ancora, la globalizzazione della produzione e delle vendite appare più che mai fragile dinanzi all’avanzare delle sanzioni internazionali, del protezionismo di ritorno e disaccoppiamento fra Stati Uniti e Cina.
Le joint-venture in Cina, per anni motore degli utili delle case europee, sono infine incalzate dai concorrenti domestici, oggi in grado di competere sulla qualità e favoriti dall’afflato nazionalistico di molti consumatori.
Le manovre necessarie a riprendere la testa dell’industria dell’auto
La necessità di accelerare la transizione energetica sta spingendo i governi a intervenire massicciamente sull’economia, orientando i piani di sviluppo delle aziende con generosi incentivi.
Accodandosi a Cina e Stati Uniti, anche l’Europa potrebbe sviluppare una politica industriale volta a sostenere la produzione domestica e a consentire la creazione di un vantaggio competitivo sostenibile per i propri ecosistemi di aziende.
Dovrebbe inoltre impegnarsi per ridurre al minimo le interruzioni al commercio globale e conservare il libero accesso ai mercati mondiali, due fattori decisivi del successo dell’auto europea.
Quanto ai costruttori, l’errore più grave sarebbe adagiarsi sull’attuale primato industriale. Piuttosto, le case hanno urgenza di investire per creare nuovi vantaggi competitivi nell’efficienza, nei sistemi di guida autonoma, nell’elettrificazione e nei software, dove il pericolo da una dipendenza dagli Stati Uniti è concreto.
Stessa premura riguarda i fornitori europei che, però, hanno anche bisogno di localizzarsi in Cina, mercato troppo importante per essere ignorato e aggredibile con il supporto iniziale di partner locali.
Al contempo, è necessario costruire filiere di approvvigionamento solide e resilienti per le terre rare e le altre materie prime indispensabili per la transizione energetica.
Compiti che i singoli anelli della catena non sono in grado di svolgere autonomamente: occorre che autorità politiche, costruttori e fornitori abbiano ben chiaro non solo dove è arrivata l’auto europea fino a oggi, ma anche e soprattutto quale sarà la sua destinazione nel 2040.