L’economia sulla strada della deglobalizzazione (anche se i numeri ancora non lo certificano)

Il paper intitolato “L’economia globale si sta deglobalizzando? E se sì, perché? E quale sarà il prossimo passo?” di Pinelopi K. Goldberg dell’Università di Yale e Tristan Reed della Banca Mondiale offre un’analisi dettagliata su cause e conseguenze – di breve e lungo termine – della cosiddetta deglobalizzazione dell’economia.

Pubblicato il 10 Apr 2023

deglobalizzazione

La ricerca intitolata “L’economia globale si sta deglobalizzando? E se sì, perché? E quale sarà il prossimo passo?” di Pinelopi K. Goldberg dell’Università di Yale e Tristan Reed della Banca Mondiale offre un’analisi dettagliata sui trend della cosiddetta deglobalizzazione dell’economia.

Le origini nella crisi del 2008-2009

Il rallentamento della globalizzazione dopo la crisi finanziaria del 2008-2009 ha dato il via a una nuova era caratterizzata da cambiamenti significativi nel contesto politico ed economico.

La riduzione del commercio internazionale e l’intensificarsi di politiche protezionistiche hanno innescato un’inversione di rotta rispetto alla globalizzazione che ha dominato l’ultima parte del XX secolo. Questa fase è stata da alcuni definita “deglobalizzazione”. Gli economisti tuttavia non sono concordi sull’uso di questo termine, dal momento che i numeri relativi al commercio internazionale sembrano non certificare ancora questo fenomeno.

La ricerca individua e analizza alcune cause di questa tendenza, tra cui la creazione di nuove barriere commerciali e l’emergere di nuove tensioni geopolitiche, ma anche altri fattori come l’aumento dei costi di produzione in Cina e la necessità di ridurre l’inquinamento e l’impatto ambientale.

L’impatto della pandemia e il focus sulla resilienza delle supply chain

La pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto significativo sull’economia internazionale, ponendo in evidenza la fragilità delle catene di fornitura globali.

La chiusura delle fabbriche e delle attività commerciali in tutto il mondo ha causato una riduzione significativa delle importazioni e delle esportazioni. Anche l’approvvigionamento di materie prime è stato interrotto, creando ulteriori problemi. Tutto questo ha messo in luce la necessità di rivedere le catene di fornitura globali e di renderle più resilienti.

Molte aziende hanno iniziato a riesaminare le loro catene di fornitura, ricercando fonti alternative di materie prime e componenti, cercando di ridurre la dipendenza da un solo mercato e valutando l’ipotesi di fare re-shoring o near-shoring.

Tuttavia, spiegano i ricercatori, “la deglobalizzazione non è ancora pienamente visibile nei dati”: questo perché, nonostante tutto, le importazioni mondiali hanno registrato un’importante ripresa nel 2021 dopo il calo del 2020.

Quello che emerge, piuttosto, è che il peso delle importazioni in rapporto al prodotto interno lordo è leggermente diminuito. Per questo, piuttosto che di deglobalizzazione, gli analisti preferiscono parlare di “slowbalisation”, cioè di un rallentamento della globalizzazione.

Il fattore geopolitico e la deglobalizzazione

Successivamente l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha sollevato nuove preoccupazioni sulla sicurezza nazionale e sull’esposizione delle catene di approvvigionamento al rischio geopolitico. Questo ha fatto emergere l’esigenza di diversificare i mercati di approvvigionamento (non solo in relazione all’energia) anche in base a criteri geopolitici, riducendo la dipendenza dai cosiddetti Paesi “non amici”.

Sono inoltre state avviate, sia in Europa che negli USA, politiche volte a contrastare la dipendenza dalla Cina.

“Il quadro – scrivono i ricercatori – è cambiato radicalmente nel 2018, quando gli Stati Uniti hanno annunciato una prima serie di aumenti tariffari rivolti a diversi Paesi, ma soprattutto alla Cina. Alla fine questi aumenti tariffari hanno portato a una guerra tariffaria tra Stati Uniti e Cina, le due maggiori economie mondiali nel 2018 e nel 2019. Gli Stati Uniti hanno inoltre imposto aumenti tariffari sulle importazioni di acciaio e alluminio da quasi tutti i Paesi. Nonostante il cambiamento dell’amministrazione statunitense, la maggior parte di queste tariffe è tuttora in vigore. Gli Stati Uniti continuano a sostenere che queste tariffe sono necessarie per la sicurezza nazionale”.

A questo hanno fatto seguito la “Strategia di sicurezza nazionale”, poi il Chips Act e l’Inflation Reduction Act. In sintesi, scrivono gli autori, “il ripiegamento degli Stati Uniti verso l’interno può avere importanti implicazioni per il futuro della globalizzazione”.

Le conseguenze

Il futuro della globalizzazione – scrivono Goldberg e Reed – “è incerto, ma una cosa è sicura: non c’è più un sostegno diffuso alla globalizzazione sfrenata e guidata dal mercato”.

Quali sono le possibili conseguenze? “Nel breve e medio periodo non si prevedono effetti drammatici, poiché l’economia mondiale sta lentamente passando a un nuovo stato. Occorre inoltre distinguere tra livello e direzione del cambiamento. Il livello di globalizzazione rimane estremamente elevato rispetto agli standard storici, anche se la direzione del cambiamento è verso la deglobalizzazione”, scrivono gli autori.

Con la riorganizzazione delle catene di approvvigionamento globali in tutto il mondo, potrebbe emergere un nuovo sistema economico internazionale, che si basa maggiormente su accordi bilaterali e regionali e su partnership tra “paesi amici”.

Ma anche se il commercio probabilmente sopravviverà alle nuove tensioni geopolitiche, “le conseguenze del nuovo sistema economico emergente sull’economia globale potrebbero rivelarsi più gravi nel lungo periodo”, avvertono gli autori: il crescente nazionalismo, il rallentamento della crescita dell’economia globale e l’aumento del debito pubblico rallenteranno, se non addirittura impediranno, un ritorno alla globalizzazione.

Priorità alla resilienza

Un altro punto è la difficoltà di valutare i trend in atto. Se infatti in passato il “driver” della globalizzazione era principalmente l’efficienza economica che aveva dei precisi indicatori di riferimento, oggi la priorità è la resilienza, un parametro che è difficile anche da misurare per i ricercatori.

Nelle conclusioni i ricercatori rimarcano che, indipendentemente dalla forma che la globalizzazione assumerà in futuro, occorrerà prestare molta attenzione ai suoi potenziali effetti sulle disuguaglianze all’interno delle economie dei Paesi avanzati e tra i Paesi, ai rischi associati a un’elevata concentrazione di importazioni di prodotti critici e alle preoccupazioni per la sicurezza nazionale.

“Resta da vedere – concludono Goldberg e Reed – se la politica industriale e le restrizioni commerciali volte a contenere lo sviluppo tecnologico della Cina riusciranno a raggiungere questo obiettivo”.

Valuta la qualità di questo articolo

Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

email Seguimi su

Articoli correlati

Articolo 1 di 3