La fabbrica flessibile per la nuova era del Manufacturing

Le fabbriche stanno cambiando rapidamente pelle, rimettendo in discussione prassi e metodi consolidati in decenni di pratica. L’intervento del professor Bruno Siciliano all’Industry 4.0 360 Summit e il dialogo con Paolo Cavallanti di Omron, Leonardo Leani di ABB e Paolo Celentano di HP 3D Printing.

Pubblicato il 27 Mar 2023

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Le fabbriche stanno cambiando rapidamente pelle, rimettendo in discussione prassi e metodi consolidati in decenni di pratica. Se n’è discusso nel corso dell’Industry 4.0 360 Summit in una tavola rotonda moderata dal Direttore di Innovation Post, Franco Canna, e che ha visto gli interventi del professor Bruno Siciliano dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, uno dei ricercatori italiani più apprezzati al mondo sulla robotica, Paolo Cavallanti di Omron, Leonardo Leani di ABB e Paolo Celentano di HP 3D Printing.

La robotica al servizio della flessibilità

L’Italia è una grande ‘consumatrice’ di robot: sesta al mondo e seconda in Europa come numero di installazioni. Ma oltre ad utilizzare tante soluzioni robotizzate nelle fabbriche, è anche una produttrice di know how scientifico e applicativo in ambito robotico, grazie al lavoro di strutture come l’IIT e laboratori universitari come il Prisma Lab del quale Bruno Siciliano è il coordinatore.

Il professor Siciliano richiama però l’attenzione sul fatto che esiste sia un “fertile ‘sottobosco’, spesso poco visibile, che comprende sia le piccole e medie imprese, a volte nate da spin-off di gruppi universitari di successo, sia chi va a integrare sistemi robotici nelle applicazioni più disparate in quello che in qualche modo è un tratto della nostra creatività. Ritengo anzi che l’essere in grado di agire nel ruolo di integratore di diverse tecnologie è un plus verso il successo in campo industriale. Queste persone danno ai laboratori universitari di ricerca l’opportunità di collaborare con le aziende più piccole e medie”.

La robotica oggi può essere considerata una tecnologia più che matura, ma continua a evolversi, a interessare gli ambiti applicativi più vari, come è accaduto, per esempio, nel caso della medicina, e a incrociare sempre più frequentemente discipline diverse, come sta accadendo oggi con l’intelligenza artificiale.

Secondo Siciliano “le tecnologie robotiche possono essere il mezzo per dar corpo all’intelligenza artificiale in una definizione che assegna alla robotica il ruolo di connessione fra la percezione, aka l’intelligenza artificiale, e l’azione”.

Non è un caso che l’Istituto Italiano di Robotica e Macchine Intelligenti (I-RIM) abbia proposto il neologismo InterAction Technology (IAT), dove la ‘A’ è volutamente maiuscola per sottolineare l’importanza dell’azione fisica. “Affrontando il problema dell’apprendimento dell’interazione, la robotica e l’IA produrranno una nuova generazione di dispositivi intelligenti in grado di collaborare con le persone e interagire con l’ambiente, fornendo così l’anello mancante tra il mondo digitale e quello fisico in cui viviamo. In questo senso, la IAT rappresenta la naturale evoluzione dell’Information Technology (IT) verso una reale simbiosi tra uomo e macchina”.

È possibile tratteggiare un percorso dall’Internet of Things all’Internet of Skills e cioè la possibilità di avere un’intelligenza applicata a un’intelligenza attuativa e la potenzialità di avere una Internet che sia in grado di sostenere la comunicazione e la trasmissione remota di dati tattili oltreché numerici. Questo permetterebbe la transizione dal cosiddetto gemello digitale al gemello fisico, esemplificato dal neologismo gemello Phygital o “figitale”.

A questo proposito è interessante ricordare il merge, che risale al 2021, che ha visto l’associazione di robotica europea unirsi con le comunità della AI e con quella dei  Big data, dando vita alla AI, Data and Robotics Association – ADRA. Siciliano osserva che “noi robotici abbiamo fatto di tutto affinché avvenisse quella che è una forte contaminazione e fertilizzazione nello stesso tempo”.

Riguardo al delicato tema di come riuscire a conciliare la crescita di robotica, intelligenza artificiale e tecnologie dell’automazione in generale con una visione umanocentrica, Siciliano suggerisce di partire dal superamento dello stereotipo della ‘disoccupazione tecnologica’ che si verrebbe a creare per la robotica e l’automazione. “In realtà il robot si pone come un assistente in diversi contesti antropici: dal cobot dell’Industria 4.0 noi stiamo passando a un robot che farà parte di contesti non solo lavorativi ma anche quotidiani: nelle scuole, negli ospedali, a fare da receptionist e così via”.

La nuova robotica vede il robot compagno delle azioni umane e impegnato a svincolarci dai lavori che possono essere faticosi, frustranti e a volte pericolosi, liberando del tempo per esprimere la nostra creatività, una dote che distingue l’uomo dalla macchina.

Secondo Siciliano “abbiamo percorso un circolo virtuoso: siamo partiti con l’obiettivo di creare macchine intelligenti per emulare le nostre caratteristiche umane e ora siamo sulla soglia di una nuova fase nella quale abbiamo capito che queste macchine possono non solo sostituire ma anche convivere con gli esseri umani, sgravandoli dalle problematiche e dandoci la la possibilità di liberare la nostra creatività. Si tratta di una sorta di umanesimo tecnologico che a mio avviso caratterizzerà i prossimi 10-15 anni dello sviluppo di questo settore”.

La fabbrica, le persone e i robot

Questi nuovi ruoli dei robot e il concetto di umanesimo tecnologico sono molto interessanti e, riferendosi al contesto della fabbrica, il pensiero va sia alla fabbrica intelligente sia alle persone che la popolano.

In questo senso Omron preferisce parlare di armonizzazione uomo-macchina e di un’automazione industriale non più vista come un sostituto della manodopera ma come strumento di collaborazione. Il tutto inquadrato, come spiegato da Paolo Cavallanti, in “una contingenza competitiva e molto volatile a causa delle tensioni internazionali che impattano direttamente sulle produzioni. Questo non deve però far dimenticare le esigenze della società, come la spinta verso la carbon neutrality e l’aspettativa di un miglioramento della vita”.

Oggi, prosegue Cavallanti, “possiamo parlare non solo di produzioni numericamente sostenute e veloci ma di produzioni sempre più ad hoc e personalizzate, con lotti più piccoli e di una grande varietà di prodotti. Sono quindi in primo piano sostenibilità, efficienza e controllo dei costi. Le tecnologie Omron sollevano l’uomo da funzioni a basso valore aggiunto, come la pallettizzazione, ed evitano che pratichi zone ad alto rischio”.

Fra le stelle polari della fabbrica flessibile ci sono i cobot e i mobile manipulator, esponenti di una robotica collaborativa che sta a sua volta cambiando, per esempio con sistemi che si muovono in maniera autonoma.

Secondo Cavallanti “l’azienda che vuole ottimizzare la produttività dei processi deve curare la cooperazione tra l’uomo e le macchine: non dobbiamo più pensare a progettare un’area a sé stante ma occorre concepire l’ottimizzazione del processo in termini di collaborazione con la macchina. Può accadere che un operatore debba modificare i suoi percorsi in nome di questa collaborazione ma alla fine la sua operatività sarà migliore”.

Verso una robotica ‘facile’

I nuovi robot che sono usciti dalle ‘gabbie’ e lavorano fianco a fianco con gli uomini sono un segno evidente e tangibile dell’evoluzione della robotica. Altre tappe fondamentali di questa trasformazione sono meno appariscenti ma in ogni caso estremamente importanti, come l’applicazione RobotStudio di ABB che permette la programmazione offline dei robot.

In effetti stiamo assistendo sia alla diversificazione dei robot, con l’arrivo dei cobot e dei robot mobili, sia alla convergenza di tecnologie quali l’AI, il cloud e l’edge computing. Questa convergenza permette la personalizzazione dei prodotti e la produzione di piccoli lotti, il tutto con cambi frequenti: si tratta di trend che richiedono flessibilità dei sistemi produttivi insiema alla gestione di tecnologie complesse da integrare tra loro.

Secondo Leonardo Leani “è responsabilità del costruttore rendere semplice l’integrazione di queste tecnologie agli occhi dell’utilizzatore finale. Uno degli strumenti più potenti è RobotStudio, tecnologia proprietaria di ABB che si è evoluta nell’arco di più di vent’anni ed è l’applicazione delle tecnologie Digital Twin alla robotica ABB”.

Questo software – spiega Leani – “consente di simulare i sistemi robotici, la loro programmazione fuori linea e, nelle versioni più recenti, anche in ambienti virtual e augmented reality, anche sul cloud per collaborazioni a distanza. Anche il linguaggio di programmazione sta andando verso la semplicità: l’Easy Wizard Programming è un layer che sta sopra il Rapid (è il linguaggio proprietario di ABB comune a tutti i robot) e che usa dei ‘blocchi’ che sono delle delle macro utility, quali ‘apri la pinza’ o ‘chiudi la pinza’: anche chi non ha dimestichezza con la programmazione robot è in grado di costruire una piccola sequenza di azioni”.

Senza dimenticare i robot che si programmano in modo autonomo: l’operatore dice, per esempio, ‘esegui una pallettizzazione’ e la macchina, grazie ad algoritmi di Machine learning e Reiforcement Learning, va nel cloud e scarica delle librerie i programmi che poi customizza per eseguire il task richiesto.

Quanto ai robot mobili, sono in grado di spostarsi poi in modo autonomo grazie alle tecnologie SLAM e la visione 3D, il tutto evitando ostacoli e trovando il modo più efficiente per eseguire i loro task. La semplicità è anche sviluppare un’applicazione dall’osservazione della persona che poi dovrà operare nella cella. “Nel caso di una saldatura collaborativa – spiega Leani – siamo partiti dall’osservazione di un operatore umano e abbiamo ottenuto una cella nella quale l’operatore fa esattamente quello che sa fare, senza dover mai accedere a una tastiera o a al touch del robot”.

Dalle celle alle isole

Molte linee di produzione sono ancora rigide, ossia organizzate con le classiche celle, ma oggi si cerca il più possibile di passare da un layout sequenziale a uno organizzato per stazioni, a isole.

Un esempio concreto di riorganizzazione di una fabbrica concepita in modo statico è stato riportato da Paolo Cavallanti, che si è riferito a “un impianto per la produzione di cosmetici situato nei pressi di Crema. L’attraversamento delle linee di produzione era completamente ‘fisico’, con tanto di cancelli e scale, e il layout modificato ha previsto lo smantellamento di queste linee e la trasformazione con ‘isole’ centrate sugli operatori umani. Abbiamo poi pensato anche a robot a guida autonoma che collaborassero tra di loro: uno fisso che manipolava, un altro lavorava sugli oggetti e un collaborativo mobile che andava in giro. Si è in pratica ‘tagliata’ una fabbrica preesistente per renderla ampliabile e molto più efficiente grazie anche a una riduzione dei consumi e all’ottimizzazione dei futuri interventi di manutenzione, cose molto utili in questo clima di rialzo dei prezzi e difficoltà di approvvigionamento. L’impianto è diventato più resiliente, backuppabile con facilità in caso di malfunzionamenti e capace di lavorare su lotti sia grandi sia piccoli e personalizzati”.

Robotica e automazione, una convergenza efficace

Il tema dell’integrazione tra la robotica e automazione non è solo relativo ai già citati linguaggi di programmazione ma in realtà si estende anche a livello funzionale.

Omron è partita dal mondo dell’automazione arrivando alla robotica, mentre ABB ha sviluppato entrambi i rami, potenziando l’automazione con l’acquisizione di B&R.

Questa tecnologie sono utili ed efficaci ma occorre valutarne la fattibilità economica. Paolo Cavallanti ha spiegato che “le aziende puntano a soluzioni veloci ma il fornitore deve anche garantire l’interoperabilità tra una macchina nuova e un componente di qualche anno, considerato che il parco macchine italiano è abbastanza ‘anziano’. Il tutto si deve però combinare con la flessibilità che viene chiesta per programmazione, diagrammi di flusso ed esigenze produttive: la formazione dell’operatore dovrebbe essere il più veloce possibile e senza tastiere o pulsanti aggiuntivi. Questo va verso un software plug and play ma è soprattutto da considerare che si è ormai oltre il product-as-a-service e si è arrivati all’ecoystem-as-a-service, con la robotica che è parte dell’industria 4.0 ed è presente nel passaggio verso la Society 5.0, nella quale la servitizzazione entra a gamba tesa”.

Occorre quindi – conclude Cavallanti – “considerare non più solo il prodotto a sé stante ma i servizi per il robot nell’ottica di proporre quello che servirà al cliente nei cicli produttivi”. Si può quasi dire che i robot saranno una sorta di commodity e la differenza sarà data dall’applicazione.

L’importanza di proporre una gamma completa

Flessibilità implica il riuscire a proporre un ventaglio competo di soluzioni, che vanno dalle unità più piccole ai classici robot da saldatura fino agli AGV e ai carrelli elevatori autonomi.

Leani ricorda che “ABB ha introdotto i cobot in occasione dell’Expo 2015 e ancora più di recente ha acquisito un’azienda focalizzata sui robot mobili, azioni che hanno completato un parco di tecnologie per l’automazione già ampliato dall’acquisizione di B&R. Le recenti soluzioni meccatroniche, quali i sistemi di movimentazione flessibili a levitazione magnetica Acopos 6D, sono elementi per offrire la flessibilità che è sempre più richiesta”.

Inoltre per eliminare le barriere finanziarie agli investimenti ABB ha recentemente introdotto “un vero e proprio renting in cui il cliente noleggia un cobot con tutti i servizi inclusi nel canone. Si possono ipotizzare esigenze specifiche e magari limitate nel tempo, quali una customizzazione, una prototipazione o una produzione limitata, così come una piccola o media impresa che si vuole avvicinare alla robotica. Il renting elimina la preoccupazione dell’obsolescenza e la nostra proposta è flessibile sia nella durata sia nei meccanismi di uscita: di fatto con 500/600 euro al mese un’azienda può disporre di un cobot ABB. Proponiamo anche un Pay per hour, possibile grazie alla connessione al cloud che ne monitora il funzionamento: è una formula che dà una flessibilità massima”.

La manifattura additiva per la flessibilità produttiva

Stampa 3D è una locuzione quasi desueta, visti i grandi progressi compiuti dalle macchine per la manifattura additiva. Le stampanti a filamento sono ormai considerate quasi primordiali al confronto con le macchine di oggi, che si sono evolute e sono oggi adatte anche a produzioni industriali ripetibili e certificate.

Paolo Celentano ha infatti spiegato che le macchine di HP 3D Printing permettono sia la prototipazione sia la stampa in volume: si seleziona uno fra i prototipi creati e si va direttamente in produzione, per grandi flessibilità e abbassamento di tempi e costi di produzione”.

Un esempio è il caso della “produzione sia di piccoli lotti sia di pezzi dello stesso tipo ma diversi fra di loro, quali montature per occhiali o allineatori dentali: casi in cui lo stampaggio tradizionale con stampi ad hoc ottenuti via fresatura CNC è un processo lungo e costoso”, spiega Cenentano.

Una tecnologia matura

La stampa 3D è una tecnologia relativamente nuova, ma non per questo spesso deve essere considerata ‘immatura’, anzi il ventaglio di applicazioni è in continua crescita.

Ma quali gli usi in ambito manifatturiero? Celentano rileva che uno dei campi di applicazione principale è senza dubbio la creazione “di pezzi con geometria complessa quali componenti dentro i quali devono passare condotti di raffreddamento ma un altro grande vantaggio è la riduzione degli scarti: si utilizza soltanto il materiale richiesto per creare la parte. I rinforzi sono creati esattamente come servono lì dove servono e quindi i manufatti sono più leggeri, cosa molto importante nella robotica perché riduce le dimensioni e il peso dei robot, che così consumano meno e occupano uno spazio minore”.

La stampa 3D inoltre è anche “un fattore abilitante per il Reshoring, consentendo così di riportare attività che erano state delocalizzate fuori dell’Italia, e anche la sostenibilità viene migliorata perché alcuni materiali sono riciclabili e nascono da materie prime vegetali”.

Si tratta quindi di una tecnologia matura che ha anche aiutato il Paese nelle fasi drammatiche della pandemia: “Molti gripper e hand effector sono stampati in 3D e durante la pandemia chi aveva la manifattura additiva ha potuto riconvertire i suoi robot per produrre gel e mascherine. Altri campi interessanti sono i ricambi per marchi che non esistono più e la stampa 3D di pezzi destinati anche alle… stampanti 3D!”.

Competenze nuove e il sostegno alle scuole

Una delle linee guida della robotica moderna è la semplicità, con i cobot che hanno probabilmente il primato dell’immediatezza e della scioltezza d’uso. Leonardo Leani riporta però che “alcuni clienti ci hanno segnalato che avrebbero gradito avere un supporto ulteriore, per esempio sulle certificazioni di sicurezza. È per questo che ABB ha introdotto figure freelance che vengono formate su programmazione, progettazione e certificazione di un’isola collaborativa. Le esperienze di questi freelance sono raccolte in un database e i clienti possono accedere ai dati e chiamare chi ha l’esperienza più adatta. Un impegno del quale siamo orgogliosi è quello nell’educational, che è molto attinente a un altro dei nostri pillar, la promozione del progresso sociale. L’Istruzione è strategica e ormai da più di 5 anni siamo a fianco delle scuole per guidarle nella transizione digitale, anche perché un nostro sondaggio a livello globale attesta che circa l’80% dei professionisti dell’Istruzione vede la necessità di maggiore competenze sui robot”.

Si stima che solo una scuola su quattro abbia a disposizione tecnologie ed è da questa informazione che è stato sviluppato un ecosistema che comprende materiali didattici, libri, percorsi teorico-pratici, compresa l’alternanza scuola lavoro, e tutorial pensati sia per gli insegnanti sia per gli studenti, uniti “ai nostri software e tecnologie come Robotstudio e i nostri robot a disposizione delle scuole”.

Anche Paolo Cavallanti ha segnalato la necessità non soltanto di avvicinarsi agli studenti ma anche di curare “upskilling e reskilling: l’industria corre più più della scuola e quindi Omron si è sempre impegnata a fornire supporto anche dopo il completamento degli studi. Noi siamo impegnati dal 2004 e la nostra attività è estesa dagli IT, ITIS, Licei Tecnologici IPSIA e CFP fino alle Università e ai Politecnici”.

L’audio in podcast

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Nicodemo Angì

Metà etrusco e metà magno-greco, interessato alle onde (sonore, elettriche, luminose e… del mare) e di ingranaggi, motori e circuiti. Da sempre appassionato di auto e moto, nasco con i veicoli “analogici” a carburatore e mi interesso delle automobili connesse, elettriche e digitali.

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