L’influenza del caro energia sulla performance delle aziende è rilevante, con il dato italiano in linea con quello di Francia, Portogallo e Spagna: molte aziende hanno visto la loro spesa per l’energia arrivare al 10% di quella totale, con alcuni picchi al 20%.
È quanto emerge dalla survey “Energy 4 Europe”, condotta dalle camere di commercio tedesche estere dei quattro Paesi.
Obiettivo del sondaggio era quello di rilevare le previsioni delle imprese circa l’andamento dei prezzi dell’energia, l’impatto sul fatturato e le strategie di decarbonizzazione, così come le soluzioni messe in campo e le misure auspicate a livello politico a fronte dell’attuale scenario energetico.
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Un contesto internazionale complesso e imprevedibile
La survey si inserisce in un contesto internazionale complesso e imprevedibile. Allo scoppio del conflitto in Ucraina, i mercati energetici europei si trovavano già in una fase di profonda crisi, con prezzi ai massimi storici e scorte ridotte al minimo.
Il caro-energia ha significativamente impattato le prestazioni della maggior parte delle aziende coinvolte (circa il 70% del campione) e la maggioranza degli imprenditori segnala proprio i prezzi di energia e materie prime come principali rischi per lo sviluppo della propria azienda nei prossimi 12 mesi.
L’indagine, evidenzia anche come meno del 15% delle aziende in Italia e meno del 10% delle aziende in Europa si attenda un calo dei prezzi nei prossimi mesi.
Correttamente, le aziende vedono questa crisi energetica come un cambiamento strutturale nelle condizioni di mercato.
Infatti, sebbene sia esplosa nel 2021 per fattori contingenti, legati alla solida ripresa post-pandemia e alla grave scarsità di materie prime, questa crisi ha radici profonde ed è stata alimentata da una serie di fattori:
- globalizzazione del mercato di gas naturale liquefatto (LNG), che ha rafforzato la correlazione positiva tra quotazioni asiatiche ed europee
- cambiamento climatico ed eccezionali condizioni meteorologiche
- obiettivi politici e geopolitici contrastanti
In Europa, i prezzi sono stati particolarmente volatili e i sistemi energetici sono stati più pesantemente colpiti a causa di una serie di fattori strettamente domestici: una forte erosione delle scorte di gas nel continente; una maggiore dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili; diminuzione strutturale della produzione di gas a livello domestico; progressivo abbandono della generazione di energia da centrali nucleari in Germania; processo di transizione verde e un mercato del trading dei diritti di emissione di anidride carbonica più efficiente.
Nel 2022, la crisi si è ulteriormente aggravata dalle crescenti tensioni geopolitiche, poi sfociate nell’invasione russa dell’Ucraina.
I prezzi del gas naturale hanno toccato nuovi massimi un tempo impensabili a causa dei timori che i flussi russi verso l’Europa potessero improvvisamente interrompersi prima della fine della stagione invernale 2021/22, a fronte di livelli di riempimento degli stoccaggi estremamente bassi.
L’importanza della Russia sui mercati europei del gas non può essere sottovalutata: secondo i dati pubblicati dall’IEA, la Russia è il secondo produttore di gas a livello mondiale dopo gli Stati Uniti, con 761 miliardi di metri cubi (mmc) prodotti nel 2021, pari al 18% del totale mondiale, ma è il primo esportatore di gas al mondo, con circa 250 mmc esportati lo scorso anno.
Di questi, soltanto 40 mmc sono trasportati come LNG. La maggior parte delle spedizioni russe viene
effettuata attraverso gasdotti e l’Europa riceve circa 155 mmc, pari al 40% circa del consumo di gas del Vecchio Continente.
Anche se negli ultimi anni la percentuale delle forniture russe via gasdotto attraverso l’Ucraina è diminuita, grazie allo sviluppo di percorsi alternativi, come il Nord Stream 1 e il TurkStream, nel 2021 questo canale rappresentava ancora il 25% circa dei flussi russi verso l’Europa.
Il 24 febbraio, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, i depositi europei di gas erano pieni soltanto al 29,9%, il livello più basso mai raggiunto in questo periodo dell’anno, secondo i dati forniti da Gas Infrastructure Europe.
Grazie a temperature più miti del solito e alla corsa degli importatori europei per assicurarsi forniture, il minimo da inizio anno in termini di riempimento è stato toccato il 18 marzo.
In quella data le scorte europee si attestavano al 25,5%, un livello pressoché in linea con quello del 2017 (26,3%) e superiore a quello del 2018, il peggiore anno mai registrato in termini di stoccaggio del gas.
In quell’anno, le scorte si attestarono appena al 20,7% il 18 marzo e poi raggiunsero il minimo storico al 17,8% il 30 marzo.
Dipendenza energetica, le previsioni nel breve e nel medio termine
Dati che sottolineano l’evidenza che, nel breve termine, l’Europa è fortemente dipendente dalle importazioni di gas russo e vulnerabile a condizioni meteorologiche avverse.
Un eventuale blocco dei flussi russi, sottolinea l’analisi, non potrebbe essere compensato in tempi rapidi e lo stoccaggio potrebbe raggiungere i minimi livelli operativi in poche settimane.
Più a lungo termine, l’Europa potrebbe ridurre la sua dipendenza dal gas russo, come previsto dal piano REPowerEU presentato dalla Commissione Europea (CE) l’8 marzo.
Secondo le stime della CE, la dipendenza europea dai combustibili fossili russi potrebbe essere eliminata entro il 2030 e ridotta dell’80% circa già quest’anno.
Secondo l’indagine, le quotazioni resteranno molto elevate anche nei prossimi trimestri ma dovrebbero iniziare a diminuire nel secondo semestre di quest’anno, complici l’azione delle forze di mercato e una serie di interventi politici.
Le opportunità che si celano dietro la crisi: le imprese italiane sono più ottimiste
Nel contesto dei timori segnalati dalle imprese, l’Italia è però leggermente più ottimista rispetto al campione generale per quanto riguarda la percezione delle opportunità portate dalla transizione: a segnalarlo è oltre il 75% delle imprese italiane.
Per molte aziende, infatti, il momento attuale può essere decisivo per la rimodulazione delle catene di fornitura energetica, così come per gli investimenti nelle rinnovabili e nell’aumento dell’efficienza
energetica.
Molto interesse, inoltre, viene mostrato per l’introduzione di misure europee di tutela della competitività e degli obiettivi ambientali, come quelle contro il carbon leakage.
“La survey condotta dalle quattro camere di commercio tedesche all’estero ci restituisce un segnale chiaro: nonostante le preoccupazioni date dal momento, le aziende non vogliono sacrificare il percorso fatto finora per la transizione ecologica, e anzi vogliono accelerare sull’efficienza energetica e su misure europee a tutela della loro competitività”, commenta Monica Poggio, Presidente AHK Italien e AD Bayer Italia.
“È un dato molto forte, su cui Italia e Germania, i Paesi più esposti alla dipendenza da Mosca, possono costruire un ulteriore tassello della loro partnership, spingendo anche a livello europeo per un piano energetico che vada in direzione di un’autonomia strategica sempre maggiore”, aggiunge.