La crisi in Ucraina e le conseguenze di medio e lungo termine sull’economia italiana: perché è indispensabile un’Europa ancora più unita

Il conflitto tra Russia e Ucraina subito dopo la lunga crisi pandemica sta disegnando uno scenario che non ha precedenti. Se è difficile capire oggi quali saranno gli effetti di medio e lungo periodo sull’economia italiana, è chiaro che occorre lavorare subito a una politica europea forte e coesa: solo così il Vecchio Continente potrà tentare di giocarsi le sue carte ed evitare la condanna all’irrilevanza geopolitica ed economica.

Pubblicato il 22 Mar 2022

Europa


Il conflitto tra Russia e Ucraina arrivato subito dopo la lunga crisi pandemica sta disegnando uno scenario geopolitico ed economico che non ha precedenti: la crisi energetica del 1973 e del 1979, così come quella valutaria del 1992 e poi quella finanziaria del 2008, avevano infatti alcuni, ma non tutti gli elementi che stanno caratterizzando l’attuale momento storico. È difficile, se non impossibile, capire oggi quali saranno gli effetti di breve, medio e lungo periodo, ma alcune considerazioni si impongono da subito.

Lo scenario

A inizio 2022 le economie europee stavano recuperando – se pur a velocità diverse – lo shock del biennio 2020-2021. La forte iniezione di liquidità garantita dai bassi tassi di interesse e dalle politiche di bilancio espansive, di cui il piano Next Generation EU è uno degli elementi principali, hanno restituito vitalità alla domanda. Sul finire del 2021 la fiducia di consumatori e imprese era ai massimi livelli e, se pur con problemi legati agli approvvigionamenti di semiconduttori e alcune materie prime, l’economia europea poteva stimare un pronto recupero e, in molti casi, un superamento dei valori raggiunti nel 2019.

Lo scoppio delle ostilità in Ucraina ha però comportato un forte innalzamento dei prezzi dell’energia a cui si è sommata l’improvvisa scarsità di altre materie prime, dalla ghisa al nickel.

I settori energivori si trovano oggi in una situazione in cui i costi rendono economicamente non conveniente produrre. Altri settori semplicemente non ricevono materie prime e semilavorati e non possono evadere gli ordini. Altri ancora, come quello dei costruttori di beni strumentali, si trovano invece davanti al paradosso di avere i portafogli pieni di ordini, ma dei costi di produzione triplicati (ma in alcuni ambiti anche decuplicati) che mettono a repentaglio la marginalità.

Di fronte a questi problemi lo Stato ha la possibilità di mettere in campo subito interventi di urgenza per ridurre alcuni fattori fortemente impattanti – per esempio il costo dell’energia – e sostenere il momento difficile di chi – imprese e lavoratori – si trova nell’impossibilità di proseguire la produzione.

L’intervento messo in atto con il decreto legge n. 21 del 21 marzo (cosiddetto decreto accise) è indubbiamente un primo passo un po’ troppo timido.

Lo scenario di medio termine e la questione della sostenibilità

Nel medio termine il sostegno dello Stato non può che inserirsi all’interno di un’azione comune europea, mirando a ridurre gli ostacoli alla diversificazione dei mercati e delle fonti di approvvigionamento e a mettere in moto meccanismi di sostegno dell’offerta.

Tuttavia occorre rassegnarsi all’idea che un nuovo maxi piano europeo, come il Next Generation EU, non rientra nel novero delle cose possibili, almeno non nell’intensità e nelle modalità che abbiamo visto in risposta alla crisi pandemica.

Aggiungiamo che pensare che il costo di questa crisi “non lo devono pagare né le imprese né i cittadini”, come ha sostenuto di recente una parlamentare italiana, è pura miopia. Un prezzo da pagare ci sarà, e lo pagheremo tutti.

Le politiche più efficaci che mirano a una riduzione della dipendenza dalla Russia senza rinunciare agli obiettivi di sostenibilità non sono evidentemente di immediata attuazione. Per l’Italia, che è tradizionalmente un Paese importatore sia di materie prime sia di energia, la situazione è più difficile rispetto a Francia e Germania. Questo è soltanto uno dei motivi per cui occorre insistere su azioni congiunte a livello europeo.

Se le politiche per la sostenibilità non vanno messe in discussione – anche perché per esempio l’efficientamento energetico giova sia all’ambiente sia ai costi di produzione e l’aumento di produzione da fonti rinnovabili consente di ridurre costi e dipendenze dall’estero – occorre però fare dei ragionamenti diversificati, settore per settore. La crisi del settore della ceramica, per esempio, dipende dai costi energetici e dalla ridotta disponibilità di argilla, proveniente per circa un quarto dell’import dall’Ucraina. Il settore dell’auto, invece, soffre una crisi congiunturale che si somma all'”incubo” della transizione all’elettrico con la tagliola del 2030. Nel caso dell’elettronica, l’Europa può accelerare, sulla scia del Chips Act, un percorso che punti, se non all’autonomia, almeno a una minore dipendenza già nel medio termine.

Oltre l’orizzonte

Discorso evidentemente diverso va fatto volgendo lo sguardo oltre l’orizzonte.

Qui entrano in scena variabili geopolitiche che non si possono trascurare. Come e quando finirà questa guerra? Quali strascichi lascerà sulle relazioni internazionali? La Cina prenderà esempio dalla Russia volgendo la sua mano militare sull’isola di Taiwan? In tal caso saremo in grado di applicare a Pechino la stessa risposta sanzionatoria che stiamo offrendo a Mosca? Ma soprattutto l’Europa saprà far leva sulla sua storia e sulla sua unità per invertire quel sentiero decadente che la sta rendendo sempre più irrilevante e schiacciata tra Est e Ovest?

Dalla risposta a questi quesiti dipende il nostro futuro. Ci sono purtroppo molte probabilità che l’era del commercio internazionale relativamente libero, che ha permesso anche all’Europa di vivere sospesa in una bolla di benessere e nell’illusione di poter contare sui partner d’oltre oceano o al di là degli Urali, sia ormai finita. Purtroppo i segnali arrivati nella seconda metà degli anni Dieci, dalla Crimea all’America First di Trump, non sono stati colti.

Sappiamo che America e Asia sono chiaramente meglio attrezzate a uno scenario di questo tipo; l’Europa, al contrario, rischia di trovarsi parecchio indietro, ma il vero pericolo è che le difficoltà emergenti potrebbero finire con l’innescare forze centrifughe come quelle che hanno portato alla Brexit. E questo sarebbe il peggiore dei mali perché se i paesi europei hanno una chance di sopravvivenza, questa è indissolubilmente legata al fatto che l’Europa resti saldamente unita.

Valuta la qualità di questo articolo

Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

email Seguimi su

Articoli correlati

Articolo 1 di 2