Efficienza energetica nell’industria: tecnologie abilitanti e metodi per migliorarla

Le industrie del nostro Paese, da diversi decenni a questa parte, hanno investito in soluzioni capaci di abbattere i consumi energetici. Ma esiste ancora spazio per ridurre i consumi, attraverso l’introduzione di una serie di tecnologie efficienti

Pubblicato il 15 Ott 2021

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Fare efficienza energetica industriale non è in fondo tanto diverso da qualsiasi altro ambito: si tratta sempre di utilizzare una quantità minore di energia per svolgere lo stesso compito o attività, evitando così le inefficienze, limitando l’impatto ambientale e riducendo i costi delle bollette energetiche. Ad esempio, un’impresa manifatturiera può rendersi più efficiente da un punto di vista energetico attraverso l’introduzione di un motore elettrico di nuova generazione, che per svolgere il suo compito impiega una quantità di elettricità inferiore rispetto all’impianto presente sino a quel momento.

Una formula che non suona certo nuova per il settore industriale che, specialmente nel nostro Paese, è stato fin dagli anni Settanta caratterizzato da una notevole attenzione all’efficienza energetica, in quanto ritenuta fondamentale per assicurare la competitività delle imprese sui mercati internazionali.

Più di recente, invece, l’efficienza energetica nel settore è stata spinta anche dalla necessità di ottemperare alle normative (italiane ed europee) in vigore, che vedono nella diminuzione dei consumi una chiave fondamentale per spingere la decarbonizzazione del settore.

Gli obiettivi di efficientamento energetico attribuiti al sistema industriale sono chiaramente definiti nel PNIEC (Piano nazionale integrato energia e clima) del 2020: ipotizzando un obiettivo minimo di riduzione dei consumi nazionali pari a 50,98 Mtep (i Mtep sono milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) nel periodo 2021-2030 (corrispondente a circa 9,25 Mtep di risparmio annuale al 2030), al settore industriale è stato assegnato un target di riduzione dei consumi di circa 1,0 Mtep annui: a dimostrazione di come sia possibile efficientare ulteriormente questo comparto cruciale per l’economia nazionale, facendo ricorso alle migliori tecnologie disponibili e assicurando anche importanti riduzioni delle emissioni di CO2.

Le tipologie di investimenti in efficienza energetica

Ma come può essere realizzata l’efficienza energetica in ambito industriale? Secondo la classificazione dell’Energy & Strategy Group è possibile distinguere tra tre diversi tipi di investimento:

  • Gli investimenti in soluzioni hardware, ovvero in impianti che permettono di ridurre il consumo di energia (cogenerazione, pompe di calore, ecc.).
  • Gli investimenti in soluzioni software, ovvero le soluzioni che tramite il monitoraggio e la gestione delle prestazioni dei macchinari (sensori, MES, ERP, ecc.) consentono di ottenere sia un’ottimizzazione del sistema produttivo sia un risparmio dei consumi di energia.
  • Gli investimenti in soluzioni che consentono di offrire flessibilità alla rete.

Secondo il Digital Energy Efficiency Report 2021, redatto dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2020 gli investimenti effettuati in efficienza energetica nel comparto industriale sono ammontati a quasi 2,1 miliardi di euro. Di questi, oltre il 90% sono riferiti ad investimenti in tecnologie hardware, mentre circa l’8% degli investimenti è stato effettuato in tecnologie software per il controllo ed il monitoraggio delle prestazioni dei cicli produttivi. Di scarsa rilevanza gli investimenti in infrastrutture per offrire flessibilità tramite i progetti pilota UVAM (pari solamente allo 0,1% del totale).

Il ruolo dei motori elettrici industriali per l’efficienza energetica

Concentrandoci sull’aspetto hardware, l’arma principale per diminuire i consumi in ambito industriale è costituita dall’efficientamento dei motori elettrici: questi ultimi sono una macchina elettrica che, data una potenza in ingresso di tipo elettrico, restituisce in uscita una potenza di tipo meccanico, il cui funzionamento si basa sul principio del campo magnetico rotante.

I motori elettrici sono presenti in tutti gli impianti industriali e produttivi. Secondo la IEA, l’industria rappresenta il 37% del fabbisogno energetico globale e il 24% delle emissioni totali di CO2, mentre gli edifici assorbono circa il 30% dei consumi energetici e generano il 28% di emissioni di CO2.

Una quota rilevante di questa attività è associata proprio ai motori elettrici. Secondo le stime, circa il 70% dei consumi di elettricità nell’industria è legato a motori elettrici. Negli edifici commerciali, invece, la quota di energia elettrica destinata ai motori è del 38%.

Dietro l’efficienza dei motori elettrici c’è l’importante ruolo giocato dagli inverter, un dispositivo che permette di modulare la frequenza di alimentazione di un motore elettrico (e quindi la sua velocità) in funzione delle effettive esigenze di carico. Attualmente circa il 23% dei motori industriali installati in tutto il mondo è abbinato a un drive: la previsione è che questa percentuale aumenterà al 26% entro i prossimi cinque anni.

Ovviamente sono sempre possibili interventi sui motori elettrici, che possono essere più o meno efficienti a seconda della classe energetica a cui appartengono. Occorre poi considerare che motori e pompe, come altri impianti energetici industriali, risultano spesso sovradimensionati rispetto al loro reale livello di utilizzo: una situazione che comporta inevitabilmente maggiori costi energetici e anche spese superiori in termini di manutenzione. Anche il cattivo allineamento dell’abbinata pompa-motore può essere fonte di inefficienza energetica, portando anche a guasti prematuri nelle apparecchiature. La buona notizia è che circa il 75% dei motori industriali attualmente installati viene utilizzato per azionare pompe, ventilatori e compressori, apparecchiature che offrono ampi margini di efficientamento energetico.

Ma, oltre a questi aspetti, è un dato di fatto che in commercio esistono già in partenza motori elettrici più o meno efficienti da un punto di vista del rendimento energetico. Che, dunque, per effettuare la medesima operazione consumano più o meno energia. In particolare, i motori elettrici sono classificati secondo diverse classi di rendimento energetico IE, stabilite dalla norma internazionale IEC 60034-30:2008.

Chiaramente, i motori elettrici caratterizzati da consumi elettrici inferiori sono equipaggiati con tecnologie più moderne e tendono ad avere un costo iniziale più elevato rispetto a quelli di vecchia generazione. D’altra parte, però, il costo di funzionamento di un motore elettrico nel corso della sua vita è notevolmente superiore al suo prezzo iniziale di acquisto.

Dunque scegliere dei motori efficienti in ambito industriale ha sempre dei ritorni importanti e rapidi, sia da un punto di vista energetico che economico, logica che è stata pienamente sposata da tutte le normative europee in materia. La stima è che sostituendo l’80% dei motori industriali con nuovi modelli in Classe IE5 si risparmierebbe una quantità di energia superiore al consumo annuo totale della Polonia.

L’importanza della direttiva Ecodesign

Da un punto di vista normativo le classi dei motori elettrici sono una conseguenza dell’applicazione della direttiva europea Energy-related-Products – ErP, nota anche come Ecodesign, che promuove un quadro per l’integrazione degli aspetti ambientali nella progettazione delle apparecchiature. L’obiettivo è garantire una ottimizzazione delle prestazioni ambientali dei prodotti mantenendone contemporaneamente le qualità funzionali.

Per quello che ci interessa in questa sede, la direttiva Ecodesign allarga il concetto di progettazione ecocompatibile anche ai prodotti connessi all’energia, fissando un quadro per l’elaborazione di specifiche comunitarie nell’intento di garantire la libera circolazione di tali prodotti nel mercato comunitario. Il campo d’applicazione attualmente comprende sia prodotti che consumano energia (Energy using Products) come televisioni, microonde e lavatrici, sia prodotti che influiscono sul consumo energetico (Energy related Products) e che possono contribuire significativamente al risparmio energetico attraverso il loro utilizzo, come, ad esempio, i motori elettrici industriali.

Da notare, che la direttiva si presenta come una direttiva quadro, che lascia a specifici regolamenti della Commissione (Misure di Esecuzione – MdE) il trattare le singole categorie di prodotto. Le MdE specificano i requisiti di ecodesign, i contenuti della documentazione tecnica, i parametri di riferimento (benchmark), le procedure di valutazione della conformità e la procedura di verifica ai fini della sorveglianza sul mercato.

La disciplina dei motori elettrici secondo la direttiva Ecodesign

Le MdE emanati a seguito della Direttiva Ecodesign, come abbiamo scritto in precedenza, disciplinano notevolmente le caratteristiche dei motori elettrici industriali immessi sul mercato. Contare infatti su motori elettrici caratterizzati da rendimenti energetici più efficaci, dunque, può fare la differenza da un punto di vista dell’efficientamento. Nell’ultimo decennio si è assistito a una rapida evoluzione dei motori elettrici, con l’introduzione di nuove tecnologie ad alta efficienza, eppure il parco installato resta costituito prevalentemente da motori di vecchia generazione, caratterizzati dunque da un’efficienza molto bassa.

A livello europeo, comunque, sono previste delle precise scadenze temporali per le quali possono essere immessi sul mercato motori elettrici aventi classe di efficienza almeno pari a quella prevista dalla normativa. Il Parlamento Europeo con la Direttiva Ecodesign ha istituito un quadro per l’elaborazione di specifiche in materia di progettazione eco-compatibile applicabile ai prodotti che consumano energia, specificando nel tempo i livelli di rendimento che le macchine vendute sul mercato europeo devono raggiungere.

Ad esempio i motori elettrici sono stati tenuti a rispettare la classe IE2 a partire dal 16 giugno 2011, mentre quella IE3 (o IE2 con variatore di velocità) è stata obbligatoria a partire dal 1 gennaio 2015 per motori con potenza da 7.5 a 375 kW. La classe IE3 (o IE2 con variatore di velocità) è stata estesa a partire dal 1 gennaio 2017 per motori con potenza da 0,75 a 375 kW.

Più recentemente, il regolamento sulla progettazione ecocompatibile (UE) 2019/1781 – entrato in vigore il primo luglio 2021 – fissa livelli minimi di efficienza sia per motori a bassa tensione nominali diretti on line (DOL) sia per gli azionamenti a velocità variabile. In particolare, il nuovo regolamento prescrive che un’ampia gamma di motori debba rispettare la classe di efficienza IE3 e che gli azionamenti destinati al controllo della velocità e della coppia dei motori debbano essere conformi alla classe IE2. Il nuovo regolamento favorirà la riduzione dei consumi energetici in milioni di applicazioni motorizzate. Tuttavia, si tratta solo del primo passo in un processo di transizione verso una maggiore efficienza: nel luglio 2023 il regolamento Ecodesign verrà ulteriormente ampliato, portando il livello minimo per alcuni motori alla classe di efficienza IE4.

Attenzione al payback

I tempi di payback sono ovviamente importanti per spingere le imprese a sostituire i propri motori elettrici. E, fortunatamente, l’evoluzione tecnologica spinge a un taglio dei tempi di ritorno dall’investimento.

In generale il maggior costo dei motori ad alta efficienza viene ammortizzato in un anno o poco più per le taglie superiori. Ad esempio, un motore IE3 da 15 kW che funzione per 4.500 ore all’anno al 71% di carico può consumare circa 44.091 kWh/anno. Supponendo un costo del kWh di circa 0.20 euro, si parla di una spesa di circa 8.818 euro in un anno, che moltiplicata per i 12 anni di vita utile (e ipotizzando un prezzo del kWh bloccato) si tradurrebbero in circa 105.000 euro di spese di elettricità. Cifre che sono decisamente superiori rispetto ai circa 1.000 euro di spesa iniziale per un motore industriale di quella stessa taglia.

Il ruolo della diagnosi energetica

In che modo un’impresa industriale può rendersi conto delle sue inefficienze in ambito energetico, comprese quelle sui motori elettrici? Lo strumento deputato è la diagnosi energetica, ovvero un audit che consente di comprendere come un’azienda consumi energia e dove occorra intervenire per migliorarne l’utilizzo.

L’aspetto significativo è che in Italia la grande maggioranza delle aziende industriali sono obbligate dalla normativa ad affrontare un percorso di questo tipo, così da ridurre i consumi e accrescere la propria competitività sui mercati internazionali. Infatti, il decreto legislativo 102/2014 ha reso l’audit energetico obbligatorio per le grandi aziende: si tratta di imprese che occupano più di 250 persone, il cui fatturato annuo supera i 50 milioni di euro.

La diagnosi energetica, a prescindere da questi parametri, deve essere sempre effettuata anche dalle imprese energetiche, ossia da quelle che utilizzano almeno 2,4 GWh di energia elettrica, siano caratterizzate da un rapporto tra costo effettivo dell’energia elettrica e fatturato pari almeno al 2% e abbiano un codice Ateco prevalente riferito alla attività manifatturiera.

L’incentivazione per l’efficienza energetica industriale: i Certificati Bianchi

Per risolvere le inefficienze energetiche segnalate dalle diagnosi energetiche e da altri tipi di analisi sono in vigore nel nostro Paese tutta una serie di strumenti di incentivazione, il più importante dei quali in ambito industriale è senza dubbio quello dei Certificati bianchi, entrato in vigore nel 2005. I Certificati bianchi sono titoli negoziabili che certificano il conseguimento di risparmi negli usi finali di energia attraverso interventi e progetti di incremento dell’efficienza energetica.

Il Gestore dei servizi energetici (GSE) riconosce un certificato per ogni tonnellata equivalente di petrolio di risparmio conseguito grazie alla realizzazione dell’intervento di efficienza energetica. Su indicazione del GSE, i certificati vengono poi emessi dal Gestore dei Mercati Energetici (GME) su appositi conti. I Certificati bianchi possono poi essere scambiati e valorizzati sulla piattaforma di mercato gestita dal GME o attraverso contrattazioni bilaterali. A tal fine, tutti i soggetti ammessi al meccanismo sono inseriti nel Registro Elettronico dei Titoli di Efficienza Energetica del GME.

Secondo il Digital Innovation Report dell’Energy & strategy Group il sistema dei Certificati Bianchi non vive uno dei suoi momenti migliori: infatti nel 2020, infatti, si è assistito a un calo del numero dei Certificati bianchi riconosciuti (-41%), che si aggiunge a una ulteriore diminuzione di oltre il 20% a cui si era assistito tra 2018 e 2019. Tanto che il numero dei Certificati bianchi si è più che dimezzato in appena anni.

Una possibile causa di questa riduzione riguarda l’esito dei procedimenti riconosciuti dal GSE. Infatti, di tutti i procedimenti conclusi nel 2020, ben il 90% si è concluso con un esito negativo in seguito alle attività di controllo. La conseguenza è che non poche imprese manifatturiere hanno rinunciato a presentare progetti di efficienza energetica finalizzati all’ottenimento dei Certificati Bianchi.

Oltre ai Certificati Bianchi, esistono altre misure di supporto: tra queste, il Fondo per la transizione energetica del settore industriale, dedicato al sostegno della transizione energetica di settori o di sottosettori considerati a rischio elevato di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio a causa dei costi connessi alle emissioni di gas a effetto serra trasferiti sui prezzi dell’energia elettrica. Il fondo è alimentato dalla quota annua dei proventi derivanti dalle aste di allocazione delle quote EU ETS , prevede 150 milioni di euro di finanziamenti per il 2021, è destinata a finanziare interventi di decarbonizzazione e di efficientamento energetico del settore industriale.

ABB: motori elettrici di efficienza superiore

Tra i principali attori protagonisti nel campo dell’efficienza energetica industriale c’è la multinazionale ABB, che può vantare importanti competenze proprio nel settore dei motori elettrici.

In particolare, la tecnologia fornita attualmente da ABB eccede i requisiti normativi presenti e quelli che entreranno in vigore fra due anni. Il fiore all’occhiello è il motore sincrono a riluttanza (SynRM), che raggiunge una classe di efficienza IE5. Esternamente, un motore SynRM è molto simile a un normale motore a induzione. Anche lo statore al suo interno è del tipo tradizionale. L’innovazione risiede nel rotore, costituito da strati di lamine di ferro che formano una struttura leggera ma robusta attraverso la quale fluisce il flusso magnetico.

Da un punto di vista energetico, i motori IE5 hanno perdite inferiori del 20% rispetto a un motore IE4, mentre rispetto a quelli in classe IE3, le dispersioni energetiche sono addirittura del 40% inferiori. Un ulteriore efficientamento può arrivare grazie all’abbinamento con gli azionamenti a velocità variabile (drive o VSD). Infatti, aggiungendo un azionamento a un’applicazione motorizzata standard di taglia media, tipicamente si possono ridurre i consumi del 25%.

Tutto questo garantisce tempi di payback sicuramente sostenibili, dal momento che la differenza di costo iniziale fra un motore SynRM IE5 e un motore IE3 è trascurabile rispetto al risparmio annuale sui costi energetici. Basti pensare che un pacchetto motore IE5, costituito da motore e azionamento a velocità variabile, è in grado di produrre un risparmio di energia e costi non appena entra in funzione, ripagando la differenza di costo rispetto a un pacchetto IE3 in circa 13 mesi.

Nel 2020 il parco installato di motori e azionamenti ad alta efficienza di ABB ha consentito un risparmio di elettricità pari a 198 TWh (tre volte il fabbisogno annuo totale della Svizzera). Entro il 2023 si stima che l’ampliamento del parco installato di motori e azionamenti di ABB consentirà ai clienti di risparmiare ulteriori 78 TWh di elettricità all’anno, poco più del consumo annuo totale del Cile.

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Gianluigi Torchiani
Gianluigi Torchiani

Giornalista, si occupa da tredici anni di tecnologia per le imprese ed energia. Scrive per le testate del gruppo Digital360.

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