Ai metalmeccanici lo smart working piace. Benaglia (Fim Cisl): “Ora usciamo dall’ottica emergenziale”

La grande maggioranza dei lavoratori metalmeccanici che nel 2020 ha sperimentato lo smart working ne dà un giudizio molto positivo, con il 58% che vorrebbe continuare a lavorare da casa per due o tre giorni alla settimana anche ad emergenza finita: sono i risultati della ricerca condotta da Fim Cisl insieme a Adapt e all’Università Cattolica di Milano. Nella metà dei casi l’esperienza di smart working è stata improvvisata. Secondo Benaglia bisogna fare di più per garantire il diritto alla disconnessione e benefit adeguati anche a chi lavora da remoto.

Pubblicato il 27 Lug 2021

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Circa il 55% dei lavoratori metalmeccanici che si sono ritrovati in smart working a causa della pandemia ha vissuto situazioni non conformi alla normativa vigente in materia o in qualche misura problematiche. Nonostante questo, la maggioranza dei lavoratori ha espresso una valutazione positiva sul lavoro da remoto e vorrebbe mantenerlo, in parte, nel futuro: è quanto emerge dalla ricerca svolta dalla Fim Cisl insieme a Adapt e all’Università Cattolica di Milano.

Metalmeccanica, chi sono i lavoratori in modalità smart

La ricerca ha riguardato un campione di circa 5.000 lavoratori (i questionari raccolti finora sono 4.862) prevalentemente di età compresa tra i 45 e i 54 anni (il 35% del totale) e tra i 34 e i 44 anni (31%). Non mancano i giovani, che si attestano al 15%, mentre il 18% del campione ha tra i 55 e i 64 anni.

Non irrilevante la presenza delle donne, soprattutto per un settore a prevalenza maschile come quello metalmeccanico, che compongono il 37% del campione intervistato.

Per quanto concerne la tipologia di azienda, la maggioranza degli intervistati è occupata in imprese di grandi dimensioni – il 62% degli intervistati lavora in aziende con più di 500 dipendenti – e in organizzazioni medio-grandi, con il 18% del campione che lavora in aziende che impiegano tra i 50 e i 249 dipendenti e il 15% impiegato in organizzazioni con un numero di dipendenti compreso tra 250 e 500.

Il 77% degli intervistati svolge la funzione di impiegato, il 18% di quadro e solamente il 5% è impiegato come operaio. Per quanto riguarda i settori, i più rappresentati sono aerospazio e difesa, ICT ed elettronica (entrambi all’11%) e la produzione di software (9%). Seguono autoveicoli e macchine utensili (entrambi al 7%) e il settore Oil e Gas, dove lavora il 5% del campione.

L’analisi della distribuzione geografica dei lavoratori mostra una concentrazione maggiore sulla provincia di Roma  (16%) e nelle province del Nord: il 10% dei lavoratori è residente nella provincia di Milano, l’8% in quella di Torino e il 5% in quella di Trieste. Seguono Genova e Bologna con il 4%, mentre le uniche province del Sud Italia presenti sono Napoli e Catania, dove risiede il 3% degli intervistati.

L’esperienza di smart working dei lavoratori metalmeccanici tra problemi e benefici

Il 68% dei lavoratori intervistati ha lavorato in modalità smart per la maggior parte del 2020, il 17% tra i due e i sei mesi, mentre l’8% ha lavorato da remoto per meno di due mesi e un altro 8% non ha mai lavorato in modalità smart.

Tra coloro che hanno potuto sperimentare il lavoro da remoto, per il 37% si è trattato di tutta la settimana, per il 5% di tre giorni a settimana, per il 14% di due giorni a settimana, per il 12% quattro giorni e per l’8% di un solo giorno a settimana.

A fronte di ciò, solamente il 35% del campione ha ricevuto formazione in materia di salute e sicurezza per i lavoratori da remoto, mentre il 43% dichiara si non aver ricevuto informazioni sullo smart working e su come venisse organizzato dall’azienda e il 38% ha dichiarato di non aver ricevuto l’informativa scritta su salute e sicurezza (che rappresenta un obbligo normativo per le imprese).

Per la maggioranza (53%) si è trattato di svolgere da casa lo stesso tipo di lavoro svolto in ufficio, con gli stessi orari. Il 44% del campione, tuttavia, afferma di aver lavorato alcune volte oltre le ore previste dal contratto e il 15% afferma di aver lavorato in molte occasioni per oltre 10 ore settimanali rispetto a quanto stabilito dal suo contratto.

A fronte di questo, si rileva una scarsa conoscenza da parte dei lavoratori del diritto alla disconnessione e poco interesse delle imprese ad assicurarsi che il lavoratore goda di questo diritto. Soltanto nel 6% dei casi, infatti, sono state adottate misure volte a garantire questo diritto (come lo spegnimento del server o l’adozione di linee guida specifiche), mentre nel 61% dei casi non è stata data alcuna indicazione (nemmeno a carattere informativo) circa questo diritto.

Grande attenzione da parte delle aziende è stata in cambio data ai dispositivi utilizzati: l’86% dei lavoratori ha infatti utilizzato dispositivi aziendali per il lavoro da remoto e solo il 10% ha lavorato con dispositivi propri senza che l’azienda si informasse su quali fossero (domande fatte nel 4% dei casi). Nel 39% dei casi, il lavoratore è consapevole che su tali dispositivi è stato installato da parte dell’azienda un software di controllo, mentre il 30% crede che il suo dispositivo ne sia fornito ma non ha ricevuto alcuna indicazione a riguardo.

Problematica è la situazione per quanto riguarda i benefit aziendali: il 13,77% ha ricevuto buoni pasto, a fronte del 41% dei lavoratori che ha perso questo beneficio. Il 78,3% dei lavoratori non ha ricevuto alcun benefit aggiuntivo da parte dell’azienda con solo il 2,40% che ha ricevuto un bonus per l’acquisto di sedie ergonomiche.

Eppure, per una buona fetta dei lavoratori passare alla modalità da remoto ha comportato una riorganizzazione degli spazi all’interno della casa (23%), con l’acquisto di nuovi mobili (13%) e di nuove attrezzature informatiche (15%).

L’esperienza di lavoro da remoto ha comportato anche la divisione dello spazio lavorativo con altri membri del nucleo famigliare o abitativo: il 29% del campione ha dovuto dividere gli spazi con altri componenti della famiglia che si trovavano anch’essi in smart working, nel 19% dei casi sono state presenti altre persone del nucleo famigliare non impegnate in attività di lavoro da remoto e nel 29% dei casi si è registrata anche la presenza di uno o più figli (solamente nel 7% dei casi questa presenza è stata continuativa per tutto il periodo di lavoro da remoto).

Ai lavoratori lo smart working piace e vorrebbero un modello ibrido

Nonostante queste difficoltà, il giudizio complessivo attribuito all’esperienza di smart working risulta molto positivo: alla richiesta di assegnare un voto da 0 a 10, il 58,17% del campione ha assegnato un voto pari o superiore a 8, con solo il 9,35% che ha assegnato un giudizio insufficiente all’esperienza.

Per il 17% dei lavoratori intervistati l’esperienza di lavoro da remoto è stata vissuta con piacere e ha portato a conseguenze positive: il 21% ha registrato una maggiore concentrazione e il 14% ha particolarmente apprezzato la possibilità di trascorrere più tempo con i figli.

A fronte di questo, sono emerse anche delle difficoltà: per il 7% lo smart working ha comportato stress e il 10% ha risentito dell’isolamento rispetto ai colleghi. Proprio questo aspetto relazionale è stato quello che maggiormente è mancato del lavoro in ufficio (25%), in riferimento anche alla possibilità di prendersi pause con i colleghi (18%) e all’occasione di uscire di casa (16%).

Anche per i lavoratori della metalmeccanica, dunque, il modello ibrido è quello preferito, con il 58% dei lavoratori che vorrebbe mantenere la possibilità di lavorare da remoto per due o tre giorni alla settimana, mentre il 28% vorrebbe lavorare sempre da remoto. Soltanto il 3% del campione vorrebbe tornare a lavorare sempre in presenza.

“La pandemia ha profondamente cambiato le condizioni di lavoro e il numero delle persone coinvolte. Sappiamo come Fim che indietro non si torna, ma serve uscire dalla gestione di emergenza con nuove regole equilibrate che garantiscano produttività ma nel contempo una prestazione lavorativa veramente sostenibile per ciascuno. L’indagine ci servirà per continuare a negoziare con Federmeccanica un protocollo giusto e dignitoso sul lavoro agile”, commenta Roberto Benaglia, Segretario generale della Fim Cisl.

I risultati definitivi della ricerca verranno presentati in autunno, a seguito di un’analisi più approfondita e incrociata delle risposte.

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Michelle Crisantemi

Giornalista bilingue laureata presso la Kingston University di Londra. Da sempre appassionata di politica internazionale, ho vissuto, lavorato e studiato in Spagna, Regno Unito e Belgio, dove ho avuto diverse esperienze nella gestione di redazioni multimediali e nella correzione di contenuti per il Web. Nel 2018 ho lavorato come addetta stampa presso il Parlamento europeo, occupandomi di diritti umani e affari esteri. Rientrata in Italia nel 2019, ora scrivo prevalentemente di tecnologia e innovazione.

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