Al giorno d’oggi si sente molto parlare di quarta rivoluzione industriale. Ma di cosa stiamo parlando? Di sicuro di qualcosa che ha un enorme potenziale. Numerosi studi hanno tentato di quantificarlo e tutti parlano di grandi numeri, sia in termini di numero di dispositivi connessi che di connessioni globali o di impatto economico. Per esempio Gartner prevede che entro il 2029 oltre 15 miliardi di dispositivi IoT si collegheranno all’infrastruttura aziendale; il rapporto sulla mobilità di Ericsson prevede 26,9 miliardi di connessioni IoT entro il 2026 (erano 12,6 nel 2020); McKinsey ha valutato un potenziale impatto economico globale fino a 3,7 trilioni di dollari entro il 2025 per il settore manifatturiero, su un totale di 11,1.
Ma la quarta rivoluzione industriale, per parafrasare una serie TV di successo, è un “game of technologies”? Sicuramente, abbiamo davanti a noi una lunga lista di tecnologie rivoluzionarie, come mai prima nella storia dell’umanità. Per citarne alcuni: IoT, Cloud, Big Data, Intelligenza Artificiale, Machine Learning, Realtà Aumentata e Realtà Virtuale, Stampa 3D, 5G e molti altri. Ma no, non è (solo) un gioco di tecnologie!
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Perché lanciare iniziative di trasformazione digitale?
Sono molteplici i fattori che guidano la trasformazione dei settori industriali (la famosa Industria 4.0). Tra questi, due fattori sono di fondamentale importanza: fare soldi e risparmiare denaro.
Sono questi due fattori che stanno spingendo le aziende all’adozione dell’innovazione digitale. Le aziende stanno intraprendendo iniziative di Industria 4.0 principalmente per risparmiare denaro ed essere più competitive, producendo prodotti migliori e più personalizzati, in modo più veloce e più economico. Altri fattori importanti, oltre alla necessità di generare nuovi ricavi e risparmiare sui costi, sono: essere conformi alle normative, far fronte alle preoccupazioni ambientali, ottenere una maggiore intimità con il cliente, gestire più relazioni con molteplici partner, e molti altri.
Le sfide per avere successo
Tutte le aziende dichiarano che “diventare un business digitale” è uno dei loro primi 10 obiettivi (cfr sondaggio annuale dei Ceo di Gartner), e IDG ha scoperto che 9 aziende su 10 hanno già adottato – o intendono farlo a breve – una strategia digitale. Eppure, ancora molte aziende ritengono di non essere pronte per questa trasformazione. Solo il 29% si sente preparato, secondo un recente sondaggio di The Economist.
Inoltre, 1 società su 2 trascorre almeno 1-2 anni nella fase di prototipazione, il 20% delle quali anche di più, secondo il World Economic Forum. Cosa impedisce la trasformazione necessaria?
Qui abbiamo un elenco (parziale) delle principali sfide per avere successo nella trasformazione digitale:
- Limitazioni nelle risorse e nelle abilità
- Esperienza di trasformazione limitata
- Enormi investimenti iniziali (con difficoltà nel calcolo del ROI)
- Limitazioni culturali
- Rapporti complessi con molti partner
L’open innovation può contribuire a trovare potenziali soluzioni per (alcune) delle sfide
Open Innovation (“Innovazione aperta”) è un’espressione coniata da Henry Chesbrough nel 2003, in opposizione alla tradizionale innovazione “chiusa” guidata dalla R&S. Il termine originariamente si riferiva a “un paradigma che presuppone che le aziende possano e debbano utilizzare idee esterne, idee interne e percorsi interni ed esterni al mercato, affinché possano far progredire la loro tecnologia”.
Più recentemente, si definisce Open Innovation quel “processo di innovazione distribuito, basato su flussi di conoscenza gestiti intenzionalmente attraverso i confini organizzativi, utilizzando meccanismi pecuniari e non pecuniari, in linea con il modello di business dell’organizzazione”.
Quest’ultima definizione riconosce che l’Innovazione Aperta non è solo incentrata all’interno dei confini dell’impresa: include anche clienti e consumatori, comunità di utenti innovatori, e le innovazioni possono facilmente trasferirsi all’interno e all’esterno tra imprese e altre imprese, così come tra imprese e clienti o consumatori.
Si potrebbe obiettare: “2003… ma siamo nel 2021!” Sì, è vero: il concetto è piuttosto vecchio, ma finora non è stato ancora ampiamente adottato. Ad esempio: solo 1 impresa italiana su 3 ha adottato un approccio di Open Innovation, e solo 1 su 10 da più di 3 anni (Fonte PoliMi, 2019).
Creare e gestire un ecosistema
Poiché l’innovazione è cruciale per il successo futuro, è importante avviare collaborazioni aperte con una rete estesa di partner esterni. Per fare ciò, è necessario creare e gestire un ampio set di relazioni, anche al di là della propria tradizionale catena del valore. Tali relazioni possono includere non solo Fornitori e Partner, ma anche Università, Incubatori, ecc. Ecco dunque emergere un’altra “parola d’ordine”: ecosistema.
Non si tratta solo di coinvolgere Start-up, ma anche altri player. Ad ogni modo, lo scouting di start-up è fondamentale: il 54% delle aziende Fortune 500 ha collaborazioni con StartUp.
Gli ingredienti ricorrenti della open innovation
Non esiste un’unica ricetta per una strategia di Open Innovation di successo, ma di sicuro esiste un elenco di ingredienti che devono essere miscelati con coerenza.
Ecco alcune azioni che possono essere fatte per realizzare un programma di Open Innovation:
- Indire Contest aziendali
- Avviare M&A di Start-up
- Promuovere Partnership con incubatori e acceleratori
- Effettuare Spin-off / Spin-out aziendale
- Operare come Corporate Venture Capital
- Indire Call for ideas
- Lanciare progetti di ricerca con le Università
- Fondare un Acceleratore aziendale
- Sponsorizzare Hackathon
- Rivolgersi al Crowdsourcing
- Fare scouting di start-up
- Fondare Laboratori congiunti
- Acquisire IP
- Fare Partnership con start-up
Tre fasi per l’open innovation
Prima di tutto, bisogna evitare due rischi ricorrenti:
- Il “Teatrino dell’Innovazione”, ovvero quando un’azienda definisce una struttura organizzativa Digitale tanto per poter dire al mondo “anche noi stiamo diventando digitali” senza però fornire un budget sufficiente; e
- Il “Salto Nel Buio”, ovvero il contrario, quando l’azienda allocare un budget senza però avere ancora in casa persone con le giuste competenze.
A questo punto possiamo identificare tre fasi, che richiedono un livello crescente sia di investimenti che di competenze digitali.
Nella prima fase (“inbound open innovation”) gli obiettivi principali sono:
- trovare idee innovative e potenziali partner (ad esempio Start-up per nuove tecnologie / soluzioni e Università per nuove invenzioni, brevetti, ecc.), e
- diffondere all’interno dell’Azienda una cultura dell’Innovazione Digitale, un’attitudine ad agire come innovatori / imprenditori. Molto utili per ottenere idee sono gli Hackathon (ma anche Datathon e AppThons), Call for Ideas, Corporate Contest.
Nella seconda fase (“outbound open innovation”) l’Azienda inizia davvero ad innovare, stabilendo i processi adeguati per la gestione dell’ecosistema. Sono necessarie più competenze interne e più partner entrano in gioco (ad es. Incubatori, acceleratori). Qui l’Azienda può decidere di co-investire con Venture Capital in modo da poter acquisire dall’esterno aziende, IP, know-how o altri asset. È anche possibile stabilire Joint Labs o firmare Partnership con Start-up o altre Società (accordi industriali o commerciali, dove le parti concordano di sviluppare un progetto comune).
Nella terza fase (“imprenditoria aziendale”) un’Azienda è diventata pienamente in grado di gestire e ampliare l’ecosistema di Open Innovation e può decidere di avviare M&A, o di lanciare iniziative di Corporate VC e Corporate Accelerator.