È stato nominato ministro per la Transizione ecologica nel governo guidato da Mario Draghi. E, in conseguenza del nuovo incarico, Roberto Cingolani ha sospeso la sua rubrica nella sezione ‘Green&Blue’ che avrebbe continuato a curare sulle pagine di La Repubblica, pubblicando così in un colpo solo tutti gli articoli che aveva già preparato.
Alla luce proprio del nuovo e importante incarico – importante e cruciale innanzitutto per il Paese e le sue imprese – quegli scritti possono rappresentare quindi una sorta di ‘percorso programmatico’, una specie di Manifesto del Cingolani-pensiero in tema di ambiente, innovazione e sviluppo sostenibile.
Secondo Cingolani, bisogna innanzitutto valutare in anticipo gli effetti collaterali dell’innovazione: le nuove tecnologie e la crescita industriale, ad esempio, possono migliorare il modo di lavorare, produrre, spostarsi, vivere; ma al tempo stesso hanno anche effetti e conseguenze – come la produzione di inquinamento, rifiuti di ogni genere, o la rottura di sistemi ed equilibri precedenti – che non si possono e non si devono ignorare.
Non si può pensare di migliorare certi aspetti delle attività umane e produttive peggiorandone altri, e voltando la testa dall’altra parte per fare finta di non vederli. Anzi, questi effetti collaterali vanno valutati e gestiti in anticipo: finora, invece, molto spesso l’Uomo prima inquina, dissesta e crea vari danni al Pianeta e a se stesso, e poi ‘rincorre’ le conseguenze di quanto fatto per metterci una pezza.
Secondo il neo ministro per la Transizione ecologica, ciò di cui abbiamo bisogno è un risk assessment ragionato del progresso, a livello politico e aziendale, che tenga conto dei problemi di lungo periodo generati dallo sviluppo, e sappia valutare attentamente il rapporto tra costi e opportunità di ogni tecnologia. In sostanza, “ogni tecnologia va usata con intelligenza”, rimarca Cingolani, milanese, classe 1961, per 15 anni direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) a Genova, prima di diventare chief technology officer di Leonardo Finmeccanica.
Il mondo della mobilità elettrica è un esempio molto concreto e significativo: si fa presto a esaltare le qualità positive e le virtù delle auto elettriche – che senz’altro ci sono, o meglio, ci potranno essere – ma attualmente a ben guardare presentano costi sociali e ambientali ancora insostenibili. Il litio e il cobalto, materiali necessari per la produzione delle batterie, sono difficili da trovare e da smaltire: se anche volessimo sostituire l’intero parco veicoli globale immediatamente, le riserve di questi due metalli oggi non basterebbero a soddisfare la domanda, cosi come non basterebbe l’intera produzione elettrica oggi disponibile per garantire le ricariche. A cui si aggiungono i problemi di smaltimento per le batterie esauste e i relativi metalli inquinanti.
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Si fa presto a dire ‘Green’, difficile è farlo davvero
Stesso discorso per quanto riguarda l’idrogeno come vettore energetico per i trasporti: solo l’idrogeno ‘blue’ e quello ‘green’ sono a basse o zero emissioni inquinanti, che però oggi rappresentano solo lo 0,2% dell’idrogeno totale prodotto nel mondo. In pratica, quasi nulla. Tutto il resto, o meglio, tutto, è invece idrogeno cosiddetto ‘grigio’, per produrre il quale le relative emissioni di CO2 sono altamente inquinanti: così non si inquina per usare l’auto elettrica, ma si inquina a monte per produrre ciò che la fa funzionare. E gli esempi potrebbero continuare a oltranza. Per questo Cingolani rileva che “dobbiamo ripartire da una metodologia di risk assessment che valuti il costo degli effetti collaterali dell’innovazione. Tanto la politica, quanto l’ingegneria, devono capire che ogni sviluppo tecnologico comporta sempre delle conseguenze, dal punto di vista economico-sociale e ambientale. Invece di inseguire modelli di business spregiudicati e plasmati dalle esigenze di un marketing di corto respiro, dobbiamo lavorare sulla nostra capacità di prevenzione, introducendo una visione di sostenibilità di lungo periodo”.
Volontà di sviluppo economico versus sostenibilità
Allo stesso tempo, c’è l’urgenza di una decisa transizione verso le fonti energetiche rinnovabili. Guardando alla domanda globale di energia, la stragrande maggioranza, circa l’85%, viene ancora prodotta da combustibili fossili (petrolio, carbone, gas naturale), mentre le energie rinnovabili rappresentano solamente l’11% e il nucleare il 4%. Per mitigare i danni del riscaldamento globale, occorre procedere con decisione sulla strada della decarbonizzazione, riducendo drasticamente l’emissione di gas serra nell’atmosfera.
Per fare ciò, fa notare Cingolani “sono necessari la volontà politica e dei meccanismi di cooperazione per garantire che tutti i Paesi svolgano il proprio ruolo. E qui viene il difficile, perché la lotta al riscaldamento globale rappresenta il più classico dei problemi di azione collettiva, in cui la volontà di sviluppo economico, soprattutto nei Paesi emergenti, si scontra con la necessità di ridurre le emissioni inquinanti”.
La difficoltà di stare (tutti) al passo dell’innovazione
E un’altra considerazione, su presente e futuro, va nella direzione dello sviluppo sempre più accelerato dell’innovazione, della conoscenza, e della disponibilità di questa conoscenza.
Cingolani fa notare “il rischio di un overload informativo” perché “il ritmo del progresso continuerà a crescere. La vera domanda è se sapremo stare al passo con questi sviluppi: diventa sempre più difficile, per la società, metabolizzare gli shock di un futuro che incalza, mentre la stabilità del nostro ecosistema è compromessa dalle risorse sempre più ingenti richieste dallo sviluppo”. E ancora: “oggi l’Uomo comunica molto più rapidamente, ma è esposto anche a un flusso tale di dati che è diventato incapace di metabolizzarli”.