Ecco perché (e come) l’innovazione cresce sempre nei periodi di crisi

L’innovazione “non è tecnologia, è trovare nuove opportunità e soluzioni per dare risposte a esigenze e necessità nuove”. Julian Birkinshaw, docente della London Business School, spiega perché e come i momenti di crisi spingono le aziende sulla via dell’innovazione

Pubblicato il 13 Nov 2020

Innovation radar


“Viviamo e lavoriamo abitualmente in un mondo di incertezze radicali. Ci sono attività per mitigare il rischio degli eventi prevedibili, ma ce ne sono altri totalmente imprevedibili, come ad esempio la pandemia di Covid 19 che ha travolto e sconquassato tutto. Il business e le aziende affrontano in modo crescente nuove minacce, anche letali, e nuove opportunità, anche straordinarie”.

Inizia così la ‘lezione’ sul fare innovazione di Julian Birkinshaw, docente di fama mondiale della London Business School, ospite d’onore dell’evento dal titolo ‘Unprecedented Call for Innovation’, organizzato dalla Liuc Business School di Castellanza e da Sew Eurodrive in occasione del lancio del laboratorio congiunto sull’innovazione. “Ancora di più oggi, in una situazione di difficoltà economica e sociale, di frenata della produzione e del Pil, è necessario mettere al centro l’innovazione come motore del cambiamento”, rileva Raffaele Secchi, rettore della Liuc Business School, e “in quest’ottica avviamo all’interno delle nostre strutture il nuovo Industrial Innovation Lab, che nasce su iniziativa e in collaborazione con Sew Eurodrive”.

Julian Birkinshaw

A portare cambiamento sono venti di ‘creazione distruttiva’ e di innovazione, e la Digital transformation in corso è uno di questi. Ma come si realizza l’innovazione? In molti modi diversi, ci sono attività e fattori che la favoriscono, e altri che la rallentano e ostacolano. “Troppi processi e percorsi per arrivare al risultato finale uccidono l’innovazione”, fa notare Birkinshaw, mentre “molte innovazioni di successo arrivano da situazioni ‘outsider’, che prima non sembravano poter essere così straordinarie e dirompenti”. Per esempio, dove nasce, come si è generato il grande successo imprenditoriale e di creazione tecnologica della Silicon Valley californiana? Un caso straordinario e di eccellenza a livello mondiale, che proprio per questo è stato ampiamente studiato e analizzato. Sono decine i libri e gli articoli che hanno raccontato e cercato di spiegare questo distretto dell’innovazione, e alcuni dei principali motivi individuati riguardano ad esempio il fatto che nell’area ristretta della Silicon Valley è scattata una ‘contaminazione’ virtuosa e fruttuosa tra aziende, imprenditori, manager, specialisti di varie tecnologie, idee, investimenti, vari stakeholder.

Lì la disponibilità all’open innovation tra imprese e realtà diverse, il convergere di imprenditori visionari e specialisti tecnologici provenienti da ogni parte del mondo, e anche un serrato turnover di tecnici e talenti tra le varie aziende, che spesso hanno cambiato posto di lavoro nel giro di qualche anno, hanno favorito lo sviluppo di progetti, energie e sinergie. Spesso è proprio questo scambio e questo mix di idee e competenze che genera innovazione di successo. “Le opportunità favoriscono le menti ‘connesse’ e più pronte a sfruttarle”, rileva il docente della London Business School, e, non a caso, lo scienziato francese Louis Pasteur amava ricordare che “la fortuna favorisce le menti predisposte e preparate ad accoglierla”. E un inventore come Pasteur in quanto a scoperte straordinarie e risultati sorprendenti non può certo sbagliarsi.

Insomma, la ‘concentrazione’ di menti, idee, progetti, soldi, favorisce la loro trasformazione e il loro sviluppo in risultati brillanti e creativi. Anche per questo motivo, si è visto che spesso le città più grandi – o i distretti più ‘concentrati’ – sono le maggiori fucine di innovazione, per il maggiore numero di ‘connessioni’ (virtuose) tra persone che possono offrire e sviluppare. Non siamo più ai tempi dell’inventore solitario e isolato che tira fuori una magia dal cilindro, le ‘magie’ del Ventunesimo secolo sono frutto del lavoro di squadra e delle contaminazioni. Uomini di business e imprenditori sviluppano meglio le loro idee attraverso network tra persone diverse e complementari.

“Il brainstorming non è qualcosa di casuale e caotico, ma è un processo strutturato, in modo da fare convergere le idee più creative e anche più pazze insieme ai processi reali, per far sì che diventino non più intuizioni stravaganti ma buone idee”, spiega Birkinshaw. Che osserva: “l’innovazione in un colosso del cambiamento come Google è un mix di libertà e struttura, e un miscuglio di piccoli team di lavoro, spazi aperti e creativi, ma anche procedure ben definite e tempistiche precise”.

I 4 motivi per cui l’innovazione cresce nei periodi di crisi

L’innovazione “non è tecnologia, è trovare nuove opportunità e soluzioni per dare risposte a esigenze e necessità nuove”, spiega il docente inglese, mentre non fare innovazione e mantenere lo Status quo mentre tutti cambiano “significa regredire”. Ma ecco perché, e come, l’innovazione cresce sempre nei periodi di crisi. Per almeno quattro ragioni fondamentali:

1. lo stato di necessità e urgenza, provocato da una crisi, è spesso ‘la madre’, l’origine, il motore delle invenzioni e innovazioni;

2. una situazione di crisi può creare danni, difficoltà e imprevisti, ma spalanca anche nuove prospettive;

3. uno stato di crisi e difficoltà porta alla mobilitazione (generale) attorno a propositi e nuovi obiettivi comuni;

4. per reagire ai periodi più critici e difficili, molti ostacoli pre-esistenti, e magari in precedenza trascurati, vengono rimossi e superati.

Successo e declino delle aziende: in 25 anni cambia tutto

Il ciclo di vita di un’azienda è spesso piuttosto breve, e spesso è direttamente collegato non solo alla capacità del management di gestirla al meglio, di intercettare la domanda del mercato, ma anche al livello e all’intensità dell’innovazione nel corso del tempo. A questo proposito, e giusto per farsi un’idea orientativa, basta guardare alla classifica delle 10 maggiori aziende statunitensi nel 1995, e raffrontarla con quella di oggi: nel giro di 25 anni è cambiato tutto, ma proprio tutto.

Le maggiori aziende Usa nel 1995 e oggi: in 25 anni è cambiato tutto

Nel 1995 in cima alla graduatoria Usa svettava la mitica (all’epoca) e apparentemente ‘inaffondabile’ corazzata della General Electric, seguita da un altro peso massimo dell’industria americana per decenni, la General Motors. Al terzo posto c’era la Ford, e poi Ibm, Exxon, Altria group, Chrysler (poi salvata da Sergio Marchionne), e via dicendo: tutte aziende e brand spariti dalla stessa classifica a distanza di 25 anni (appena).

Oggi nell’Olimpo delle 10 maggiori aziende americane c’è ancora al comando la Apple (orfana di Steve Jobs), incalzata dalla macchina-da-guerra Amazon di Jeff Besos, e poi Microsoft, i big del web Google e Facebook, quindi ai primi posti della graduatoria ci sono imprese che neanche esistevano 25 anni fa.

La prima realtà ‘più vecchia’ di 25 anni è al sesto posto la banca d’affari Jp Morgan Chase, che dopo la crisi finanziaria del 2008 si è rafforzata più di prima, e poi l’altro colosso finanziario Berkshire Hathaway, vale a dire la cassaforte ultra-milionaria di Warren Buffet, che nel settembre scorso ha spento 90 candeline. La super-innovativa Tesla del super-visionario Elon Musk ‘agguanta’ il nono posto assoluto, ma il potenziale delle sue auto elettriche e tecnologiche è ancora tutto da sviluppare. In ogni caso, un periodo di 25 anni è abbastanza per una completa trasformazione.

L’Industrial Innovation Lab presso la Liuc Business School

L’Industrial Innovation Lab è un nuovo laboratorio di sperimentazione, presentato proprio in occasione dell’evento online e della ‘lezione’ sull’innovazione del professor Birkinshaw, nato dalla collaborazione tra Sew Eurodrive e il Centro sul Cambiamento, la leadership e il people management della Liuc Business School di Castellanza, per creare “un ecosistema imprenditoriale sostenibile, rispettoso dell’ambiente e delle persone e favorire l’evoluzione dell’industria manifatturiera e degli attori che coinvolge”, spiega Vittorio D’Amato, direttore del Centro sul Cambiamento, la leadership e il people management della Liuc Business School. Ora è iniziata la fase di adesione per le aziende e i manager interessati a mettere a fattor comune idee, conoscenze e tempo per sviluppare progetti in grado di fare la differenza.

Valuta la qualità di questo articolo

C
Stefano Casini

Giornalista specializzato nei settori dell'Economia, delle imprese, delle tecnologie e dell'innovazione. Dopo il master all'IFG, l'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, in oltre 20 anni di attività, nell'ambito del giornalismo e della Comunicazione, ha lavorato per Panorama Economy, Il Mondo, Italia Oggi, TgCom24, Gruppo Mediolanum, Università Iulm. Attualmente collabora con Innovation Post, Corriere Innovazione, Libero, Giornale di Brescia, La Provincia di Como, casa editrice Tecniche Nuove. Contatti: stefano.stefanocasini@gmail.com

email Seguimi su

Articoli correlati

Articolo 1 di 4