Durante il lockdown cittadini e imprese hanno avuto l’opportunità di scoprire di prima mano quanto le tecnologie digitali possono fare per trasformare la nostra esperienza quotidiana di vita e di lavoro.
Vale per il lavoro da remoto, più o meno smart, che non sarebbe stato pensabile senza infrastrutture e tecnologie che si sono rivelate assai più flessibili e immediate di come molti se le figuravano e che hanno consentito e ancora consentono a moltissime persone di lavorare limitando spostamenti e assembramenti. Vale per il commercio elettronico, che non è stato ovviamente scoperto con il lockdown, ma che durante la pandemia ha raggiunto tassi di utilizzo e pervasività tali da fare immaginare che si sia raggiunto un nuovo plateau di sviluppo, denso di prospettive e opportunità molto interessanti anche per il nostro sistema economico.
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Quanto vale l’e-commerce nel mondo, e da noi
Sulla base delle stime dell’Unctad recentemente pubblicate nel 2018 il valore dell’e-commerce che comprende quello tra imprese (B2B) e quello dei consumatori finali (B2C) – ha raggiunto il 30,2% del PIL mondiale.
In Italia si calcola un valore dell’e-commerce totale di 334 miliardi di euro, pari al 19% del PIL. Di questo importo il 91,9% si riferisce a scambi tra imprese (B2B) mentre il restante 8,1% si riferisce all’e-commerce dei consumatori finali (B2C).
La crescita delle vendite on line B2C tra lockdown e riapertura (a dispetto del PIL che crolla)
Sulla base dell’andamento delle vendite al dettaglio per forma distributiva si stima che nel trimestre marzo-maggio 2020, che comprende i due mesi di lockdown e il successivo mese di progressiva riapertura, il valore delle vendite via e-commerce sia salito del 31,2% rispetto allo spesso periodo dell’anno precedente, pari ad un incremento di vendite nel trimestre di 1.937 milioni di euro. Tale andamento è particolarmente significativo nel difficile contesto del secondo trimestre 2020, il periodo più buio della crisi Covid-19, in cui il PIL in Italia, secondo le previsioni della Commissione europea pubblicate il 7 luglio, crolla del 15,8% rispetto al primo trimestre dell’anno.
I territori e i prodotti maggiormente acquistati on line
La distribuzione della propensione ad acquistare on line degli utenti internet ha una forma ad ‘U’: è più elevata (37,8%) nei comuni fino a 2.000 abitanti – dove però l’accesso alla Rete è penalizzato dalla minore disponibilità di connettività – scende su valori attorno al 35% nei comuni sopra 2 mila abitanti e risale al 38,2% nei comuni centro delle aree metropolitane.
In chiave merceologica, nel 2019 i prodotti maggiormente acquistati on line sono abiti, articoli sportivi con una quota di e-shoppers pari al 43,8%, articoli per la casa con 38,7%, libri ed e-book con 25,0%, attrezzature elettroniche con 21,7% e prodotti alimentari con 12,9%. Tra i servizi si osserva una maggiore propensione all’acquisto per pernottamenti per vacanze con 29,4%, altre spese di viaggio per vacanze con 26,7%, biglietti per spettacoli con 20,4%, film e musica con 11,0% e servizi di telecomunicazione con 10,9%.
Tra i prodotti maggiormente acquistati on line vi sono alcune marcate differenze di genere. La quota di donne e-shoppers è significativamente più elevata rispetto a quella degli uomini per abbigliamento (49,1% vs. 39,5%), libri ed e-book (29,5% vs. 21,2%); all’opposto, si osserva una propensione più elevata all’acquisto in Rete per gli uomini per attrezzature elettroniche (28,2% vs 13,8% delle donne), videogiochi (11,3% vs. 3,2%), hardware (11,90% vs 1,9%) e software (8,3% vs. 2,2%).
Digitale, e-commerce e MPI nella crisi Covid-19
Nel corso dell’emergenza sanitaria le micro e piccole imprese hanno significativamente aumentato l’utilizzo del canale digitale per relazionarsi con clienti e fornitori. Secondo l’ultima survey di Confartigianato su oltre 3 mila micro e piccole imprese (MPI), a cui ha collaborato Licia Redolfi dell’Osservatorio MPI di Confartigianato Lombardia, contenuta nel 6° rapporto Covid-19 di Confartigianato La tortuosa ‘Fase 3’, il 56,7% delle imprese intervistate ha implementato l’utilizzo di una o più tecnologie digitali, tra le quali sito web, social network, piattaforme di videoconferenze, formazione on-line ed e-commerce. In particolare, il 71,5% di queste imprese ha incrementato l’utilizzo di uno o più strumenti digitali, il 36,2% ne ha ampliato le funzionalità e il 29,6% ha introdotto uno o più strumenti digitali non presenti in azienda prima della crisi da coronavirus.
Nella crisi raddoppia il tasso di crescita delle MPI attive nell’e-commerce
Recenti analisi di Confartigianato hanno evidenziato che nel corso della crisi Covid-19 il tasso di crescita delle MPI attive nell’e-commerce è raddoppiato, salendo, al 19,8%, un ritmo doppio del tasso di trend del 10,9% medio annuo, con 122 mila micro e piccole imprese in più attivate dell’emergenza coronavirus nell’utilizzo del commercio elettronico.
Si tratta di indicazioni assai rilevanti. Il recente rapporto DESI (Digital Economy and Society Index) della Commissione europea sull’indice di digitalizzazione colloca l’Italia al 25° posto tra i 28 paesi UE. A fronte di una buona offerta di servizi digitali e di una connettività certamente migliorabile, ma in media europea, e di un costo della connessione internet fra i più bassi al mondo, l’Italia vede ancora tassi di utilizzo delle tecnologie digitali troppo bassi, principalmente a causa di una dotazione di competenze digitali che colloca il Paese all’ultimo posto in Europa.
In attesa di riequilibrare questo gap, che ci vede perdenti a livello di sistema su tutte le partite dell’innovazione (pur a fronte di indubbie eccellenze distribuite fra tutte le dimensioni di impresa, che dimostrano come la questione dimensionale non sia dirimente), registrare un aumento così rilevante su una delle dimensioni del digitale che ci vedeva assai penalizzati è certamente un dato importante.
Un potenziale da non disperdere per uscire dalla crisi
La nostra lettura delle motivazioni di un incremento così rilevante del tasso di utilizzo delle tecnologie digitali è che l’accelerazione causata dalla crisi ha permesso a molti imprenditori di superare resistenze e a mettere l’attenzione al digitale e più in generale all’innovazione nel business in cima alle priorità.
Non si tratta ovviamente di una questione di pigrizia mentale: nelle micro e piccole imprese molto spesso l’imprenditore, privo di una spiccata propensione per l’innovazione, relega le attività non core nelle rimanenze di tempo, spesso pressoché inesistenti. Per questa ragione il lockdown, avendo aumentato esponenzialmente tempo a disposizione e incertezza sul futuro, ha modificato violentemente le agende delle imprese, che hanno sperimentato anche l’innovazione digitale. Nel passaggio, che ci auguriamo rapido e lineare, dall’emergenza alla nuova normalità, sarà fondamentale lavorare per ridurre al massimo i costi di transazione della trasformazione digitale delle imprese, in particolare delle micro e piccole. Da qui, ne siamo certi, passerà molta della possibilità di fare ripartire la nostra economia contenendo le perdite.
Come? Lavorando sulle persone e accettando che la tecnologia nei servizi è spesso una commodity. Come ha potuto constatare chiunque abbia dovuto utilizzare soluzioni di e-commerce o di lavoro remoto durante il lockdown, i costi della tecnologia, già da tempo contenuti, sono in costante discesa. A meno di esigenze particolari, oggi è possibile costruire il proprio negozio virtuale ed essere presenti sulle principali piattaforme a costi irrisori, ampiamente ripagabili dalle prime vendite on line.
Se la tecnologia è una commodity, cosa fa la differenza? Da un lato le competenze per guidare la scelta delle soluzioni e il processo di onboarding, dall’altro lato le competenze e l’organizzazione per gestire l’e-commerce per quello che è, un canale di vendita che deve essere presidiato come gli altri e proporzionalmente alle dimensioni del mercato.
I punti deboli del sistema oggi, come segnalato dal rapporto DESI, riguardano dunque le competenze e la loro organizzazione perché siano messe al servizio di micro e piccole imprese in modalità economicamente e strutturalmente sostenibile. Servono persone competenti e motivate, che affianchino le imprese con metodo ed empatia, aiutandole a individuare le soluzioni più adatte, i percorsi evolutivi, le strategie (a partire dalla scelta di cosa internalizzare e come e di cosa tenere fuori, affidandola a un mercato di servizi alle micro e piccole imprese oggi ancora in gran parte inesistente).
Indirizzare queste lacune del mercato sarà una priorità delle politiche pubbliche. Se, come è lecito immaginare, nei prossimi mesi le risorse pubbliche e le politiche che le orienteranno avranno un ruolo fondamentale nel garantire le condizioni per una ripartenza dell’economia, è auspicabile che venga prestata attenzione a quanto illustrato in precedenza per informarvi le scelte di policy. Nel concreto, accanto agli incentivi all’acquisto di soluzioni tecnologiche e/o all’onboarding sulle piattaforme di commercio elettronico, è necessario prevedere forme di sostegno all’acquisto e alla formazione di competenze necessarie al business dell’impresa in rete. I Digital Innovation Hub, i PID, gli ITS, l’istruzione tecnico professionale, le università locali in cerca di un ruolo, gli artigiani del digitale, i tanti professionisti che a causa della crisi hanno perso il lavoro possono collaborare per costruire un sistema di accompagnamento alle imprese riconosciuto, garantito e sostenuto dalla PA nell’ambito delle azioni per sostenere la ripartenza.
In questo modo sarà possibile non disperdere una delle rarissime indicazioni positive emerse dalla crisi e traghettare le nostre imprese verso una nuova normalità che le veda più solide e innovative, ma ancora in grado di produrre qualità, personalizzazione e valore artigiano.