Tra marzo e aprile perdite di fatturato per oltre il 70% delle imprese, il 40% ha un nuovo debito

Secondo un’analisi condotta dall’Istat, nel bimestre marzo-aprile 2020 oltre il 70% delle imprese ha registrato una perdita di fatturato rispetto allo stesso periodo del 2019. Il 41,4% delle imprese hanno registrato diminuzioni superiori al 50%. Inoltre, il 70,2% del campione ha fatto ricorso alla Cassa Integrazione o a strumenti analoghi, mentre il 42,6% ha dovuto chiedere un nuovo debito bancario.

Pubblicato il 15 Giu 2020

fatturato


Nel bimestre marzo-aprile 2020 (periodo quasi integralmente coinvolto dal lockdown) oltre il 70% delle imprese ha registrato una perdita di fatturato rispetto allo stesso periodo del 2019,  con una abbondante quota (il 41,4%) di imprese che lo ha visto più che dimezzarsi.

È quanto emerge da un’analisi condotta dall’Istat tra l’8 e il 29 maggio 2020 per raccogliere da un campione di circa 90.000 imprese con 3 e più addetti le valutazioni sugli effetti dell’emergenza sanitaria e della crisi economica sulla loro attività.

Un’indagine a tutto campo sulle principali situazioni che le aziende hanno dovuto affrontare dalla comparsa del Covid-19 in Italia e nel mondo. Emerge per esempio che il 45% di esse ha dovuto sospendere la propria attività fino al 4 maggio (la quota di quelle rimaste sempre attive è pari al 32,5%), di cui quasi la metà (il 48,7%) è composta da microimprese. Inoltre, la quota di imprese dell’industria sospese (il 36%) risulta minore rispetto a quelle di costruzioni (58,9%) e servizi (53,3%).

Ulteriori dati si riferiscono alle misure adottate dalle aziende per far fronte alla crisi di liquidità: il 70,2% del campione ha fatto ricorso alla Cassa Integrazione o a strumenti analoghi, il 42,6% ha dovuto chiedere un nuovo debito bancario. Inoltre, le imprese che dichiarano che non riusciranno a riprendere la propria attività appartengono soprattutto al settore delle costruzioni (circa 1.600 aziende per 6.600 occupati, il 2,4%) e a quello degli altri servizi (più di 8.000 aziende per circa 57.000 addetti, il 3,4%).

Fatturato dimezzato per quasi la metà delle imprese

Come si diceva, nel periodo marzo-aprile 2020 si è registrata una perdita di fatturato per oltre il 70% delle aziende. Ricavi più che dimezzati per il 41,4% dei casi, nel 27,1% si è ridotto tra il 10% e il 50% e nel 3% dei casi meno del 10%. Nell’8,9% delle imprese il valore del fatturato è invece rimasto stabile. Solo il 5% del campione comunica un aumento di fatturato (tra queste, quelle dell’industria farmaceutica con vendite in crescita sono il 28%).

Sempre nello stesso periodo, ci sono aziende che non hanno registrato nessun fatturato (il 14,6%), con alcuni settori maggiormente colpito. È il caso, tra gli altri, dei servizi di alloggio (50,9%), delle attività creative e artistiche (42,5%), della ristorazione (35,4%).

È soprattutto l’industria dei beni di consumo (in particolare mobili, tessile, articoli in pelle e beni investimento) a registrare una maggiore perdita, con quasi la metà delle imprese che ha registrato un calo di oltre il 50%.

A livello regionale, i territori con la maggiore quantità di imprese che non hanno fatturato o lo hanno visto ridursi di oltre il 50% sono Valle d’Aosta (64,1%) e la provincia di Trento (60,2%). Seguono Marche (59,4%), Abruzzo (58,9%), Sardegna (58,8%), Toscana (58,5%) e Calabria (58,4%).

Le misure di contrasto del contagio nelle attività

Solo il 2,9% delle imprese non ha predisposto alcuna misura di precauzione e contrasto all’epidemia Covid-19 nelle proprie attività produttive, mentre è quasi la metà (49,1%) la quota di chi ha messo in atto strategie integrate di precauzione. Nell’industria è pari al 59,6% il numero di ditte che hanno previsto almeno una misura di precauzione (settore in cui la quota è più alta). Copre quasi la totalità del campione la percentuale delle aziende che hanno sanificato gli ambienti di lavoro e fornito ai dipendenti i dispositivi di protezione individuale (96,7%).

Nonostante non fosse obbligatorio ma solamente raccomandato, il rilevamento della temperatura corporea all’ingresso dei luoghi di lavoro è stato adottato dal 59,9% delle imprese: delle restanti, il 14% è in attesa di acquisire le strumentazioni o definire le procedure.

Anche per quanto riguarda l’adeguamento degli spazi di lavoro per assicurare il distanziamento fisico, più della metà delle aziende (il 56,3%) ha già adottato questa misura (con il 29,3% che non l’ha ancora fatto ma afferma di poterlo fare). Le difficoltà maggiori ad adeguare gli spazi coinvolgono le micro (con il 15,3% di esse che si dichiara impossibilitato) e le piccole imprese (11,6% del totale di esse).

Cassa Integrazione scelta da 7 imprese su 10

Come si diceva in apertura, la Cassa Integrazione ed il Fondo Integrazione Salariale sono state le misure principali adottate per gestire il personale: sette imprese su dieci (il 70,2%) ne ha fatto utilizzo. Tra le altre soluzioni scelte vi è l’obbligo delle ferie (35,9%) o dei turni di lavoro (34,4%). Quasi un quarto delle attività ha fatto ricorso allo smart working (con quote via via più importanti in base alla dimensione dell’azienda: il 90% delle grandi imprese ricorre al lavoro agile), mentre il 10% circa di esse ha dovuto rinviare le assunzioni previste, rimodulare i giorni di lavoro e la formazione aggiuntiva dei lavoratori.

Analizzando nel dettaglio la diffusione della soluzione dello smart working (la vera e più immediata “innovazione” portata dal Covid-19, soprattutto se si pensa che a gennaio-febbraio era solo l’1,2% il personale impiegato in lavoro a distanza), si nota che essa varia a seconda del settore delle attività, per il legame stretto tra questa pratica e la modalità organizzativa del lavoro. Per alcuni settori della manifattura oltre l’80% dei lavoratori ha funzioni da svolgere nel luogo di lavoro: è il caso dell’alimentare, abbigliamento, legno, prodotti da minerali non metalliferi. Percentuale che, ad esempio, scende al solo 6% nella farmaceutica o a meno del 25% nel comparto ICT.

Crisi di liquidità per la metà delle imprese

Ma è la liquidità il vero grande problema che le aziende si sono trovate a dover affrontare con l’emergenza Covid-19. Il 51,5% di esse prevede una mancanza di liquidità per far fronte alle spese che si presenteranno fino alla fine del 2020, mentre il 38% segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività.

In riferimento alla dimensione delle aziende, più esse sono piccole più hanno problemi di liquidità, mentre per quanto riguarda i settori, le più colpite sono le micro imprese dell’industria (56%). Nella manifattura a soffrire di più sono ancora una volta i mobili (64,5%), il legno (64,2%) e l’abbigliamento (62,6%). Tra le ragioni principali di questa difficoltà vi è la riduzione del fatturato dovuta al calo della domanda locale e nazionale (trend atteso per i prossimi mesi da un’impresa su tre).

Per far fronte alla crisi di liquidità, il 42,6% del campione ha scelto di accendere un nuovo debito bancario: si tratta soprattutto delle micro (42,6%) e piccole (43,6%) imprese, con una quota maggiore tra le produttrici di beni alimentari e di consumo. Il 15,5% delle aziende ha dovuto differire i rimborsi dei debiti, mentre il 25,3% di esse ha modificato le condizioni o differito i termini di pagamento con i fornitori, e il 9% ha rinegoziato i contratti di locazione.

Quasi la metà del campione (il 42,8%) ha fatto richiesta di almeno una delle misure di sostegno contenute nei decreti Liquidità (come i micro prestiti garantiti) e Rilancio. Nonostante ciò, la lentezza dei tempi di risposta si è rivelata uno dei punti deboli principali di questi provvedimenti: tra l’8 ed il 28 maggio il 57,4% dei richiedenti era ancora in attesa dell’esito della domanda. Soprattutto i tempi di risposta delle banche hanno provocato le difficoltà maggiori (per il 23,6% delle imprese). Seguono quelle legate alla fase di istruttoria (15,5%) e alla produzione della documentazione necessaria all’avvio della richiesta (9%).

Nonostante l’emergenza abbia profondamente “sconvolto i piani” delle varie attività, una azienda su tre (36,5%) non mette in pratica azioni di carattere strategico (il 39,2% delle micro ed il 27,4% delle piccole imprese). Chi invece ha dovuto fare delle scelte ha deciso di puntare su riorganizzazione di spazi e processi (23,2%), modifica o ampliamento dei canali di vendita o dei metodi di fornitura/consegna dei prodotti/servizi (13,6%), riduzione sostanziale del numero dei dipendenti (11,8%), accelerazione della transizione digitale e maggiore utilizzo di connessioni virtuali verso l’interno e l’esterno (9,4%), differimento o annullamento dei piani di investimento. Quest’ultima opzione è stata selezionata soprattutto da medie (26,7%) e grandi (22,2%) imprese, con punte nella fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semi rimorchi (28,4%), nella fabbricazione di altri mezzi di trasporto (25,9%) e nella fabbricazione di macchinari e apparecchiature (24,7%).

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Francesco Bruno

Giornalista professionista, laureato in Lettere all'Università Cattolica di Milano, dove ha completato gli studi con un master in giornalismo. Appassionato di sport e tecnologia, compie i primi passi presso AdnKronos e Mediaset. Oggi collabora con Dazn e Innovation Post.

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