Distanziamento fisico, digitalizzazione dei processi produttivi, riorganizzazione degli ambienti di lavoro, smart working diffuso ed esteso: sono tanti i temi che l’emergenza Covid-19 ha reso più che attuali per le imprese, poste di fronte a cali di fatturato e di produzione che mettono a rischio interi settori. Situazioni e problematiche a cui la robotica può e potrà fornire soluzioni ideali per ottimizzare il lavoro nell’industria e aiutare le aziende ad innovare i processi produttivi, superando i limiti imposti dalle accortezze richieste durante l’emergenza epidemiologica.
Si è parlato proprio di questo nel convegno “Arrivano i nostri…Robot”, organizzato da I-Ras (l’Italian Chapter della IEEE Robotics & Automation Society) e da i-Rim, l’Istituto di Robotica e Macchine Intelligenti, e coordinato da Andrea Maria Zanchettin (Politecnico di Milano e Presidente di I-Ras), Federica Pascucci (Università degli Studi Roma Tre) e Gianluca Antonelli (Università di Cassino e del Lazio Meridionale). Un vero e proprio luogo di incontro per condividere best practices e soluzioni disponibili per le imprese che intendono affrontare un percorso di innovazione anche alla luce della situazione attuale, in cui solo chi saprà reagire prontamente alle nuove sfide poste dall’emergenza Covid-19 potrà affrontare la ripresa con gli strumenti adeguati.
La digitalizzazione è infatti uno dei temi fondamentali a cui è chiamata l’industria manifatturiera nei prossimi anni. Ne è una dimostrazione l’attenzione posta dalla stessa Commissione Europea, che su questo indirizzo ha deciso di puntare con numerose risorse nella proposta per il budget 2021-2027.
Indice degli argomenti
Bruno Siciliano: “La crisi sanitaria possibile acceleratore tecnologico per le imprese”
I primi dati che interessano la robotica, alla luce della crisi connessa all’emergenza Covid-19, autorizzano un cauto ottimismo circa la tenuta del settore all’epidemia. Il valore del mercato dei robot nel manifatturiero passerà infatti dagli attuali 45 miliardi dollari ai 73 miliardi del 2025, con un incremento annuo del 10,4%: lo conferma Bruno Siciliano, professore della Università di Napoli Federico II.
“Si tratta di un dato non molto difforme dalle previsioni pre Covid”, spiega. “Il punto interessante è che in questa crescita del mercato dei robot è previsto un incremento riguardante i robot Scara, quelli dedicati fondamentalmente alla manipolazione di oggetti su piani orizzontali. Non è un dato casuale perché nell’industria alimentare e nell’elettronica, filiere che hanno resistito maggiormente alla crisi, sono richiesti standard molto elevati in quanto a igiene e accuratezza: è quindi evidente che lo Scara si ponga come robot ideale per un boost di questi 2 settori”.
Come dice Siciliano, proprio la crisi da Covid-19 può trasformarsi in una grossa opportunità “che potrebbe portare alla profonda riconversione della produzione per le nuove esigenze di sicurezza e per l’utilizzo di nuove tecnologie”. Resilienza e innovazione saranno il binomio vincente per chi vuole affrontare in posizione di vantaggio la fase 3, quella della ripresa post emergenza. “Vi è l’opportunità di mettere in campo investimenti strategici proprio per questo grosso acceleratore che è l’emergenza pandemica”, continua Siciliano, che elenca quelle che individua come le principali sfide per il futuro della manifattura e della robotica applicata.
Si va dalla digitalizzazione del settore (con Industria 4.0 e l’avvento dei robot collaborativi) al sistema “cyberfisico” che, per mezzo del gemello digitale, permette di integrare l’Intelligenza Artificiale con la realtà fisica. Un secondo piano su cui dovranno confrontarsi le aziende è la revisione della filiera della produzione, partendo proprio dall’avvento dei cobot che permettono di replicare professionalità che altrimenti potrebbero andare perse, come l’artigianato. “Penso anche al reshoring di produzioni delocalizzate”, spiega Siciliano. “Si tratta di un’opportunità strategica per il post Covid-19: si possono riportare in Italia attività trasferite all’estero, come è avvenuto per le mascherine con la riconversione delle aziende italiane”. L’ultima sfida è quella della sicurezza nei luoghi di lavoro, dal distanziamento fisico allo smart working “esteso”, in cui sia possibile effettuare operazioni fisiche “a distanza” per alcuni fasi di produzione. Ma non solo: “la robotica offre anche ai lavoratori soluzioni sicure dal punto di vista ergonomico con l’utilizzo di esoscheletri e supporti”, spiega Siciliano.
Il professore dell’Università di Napoli coordina, su nomina del Ministero dell’Università e della Ricerca, il gruppo di lavoro incaricato di articolare il piano dedicato alla Robotica all’interno del Piano Nazionale della Ricerca 2021-2027, sulla falsa riga di quanto prevederà a livello europeo il piano Horizon Europe. Il gruppo sta lavorando su temi innovativi e fondamentali per il Paese, come l’ispezione e manutenzione delle infrastrutture (viadotti strade, ponti), Industria 4.0 (robotica collaborativa e logistica) e l’ambiente ostile (applicazioni in ambiti critici come ospedali, calamità naturali, sicurezza). Il PNR Robotica tratta infine anche il tema dell’agroalimentare e della salute.
Marco Bentivogli (Fim Cisl): “Nuova organizzazione del lavoro e reskilling”
Sarà il “lavoro importante di accompagnamento delle imprese” a fare la differenza nella “fortissima selezione in cui saranno coinvolte da qui al prossimo autunno”: ne è certo Marco Bentivogli, Segretario Generale della Fim Cisl, consapevole che il tema fondamentale è “come realizzare aziende meno vulnerabili di fronte allo shock del Covid-19”. A fianco delle grandi imprese, che possono contare su consulenti e specialisti su questi temi, “la gran parte del tessuto produttivo italiano ha meno di 15 dipendenti e non possiede fattori e soggetti di accompagnamento all’innovazione tecnologica, da attuare di pari passo con il cambiamento dell’organizzazione del lavoro e con il reskilling delle competenze, su cui siamo molto indietro”.
Per Bentivogli “le grandi assenti” di questa fase sono state le tecnologie di Blockchain. “Le imprese hanno scoperto di avere nella propria sub-sub-fornitura la Cina: si sono accorte a febbraio (prima dell’inizio dell’epidemia in Italia) di un’interruzione nelle forniture e di non sapere di avere nella filiera elementi in Cina”, continua. Proprio su questo problema può intervenire la Blockchain, per ottenere una più attenta modalità di governo della filiera e in tempo reale, rendendola meno vulnerabile. “È un dibattito su cui non si può rispondere con il solo accorciamento della filiera a livello regionale”, spiega Bentivogli. “Sui settori strategici è giusto avere elementi di prossimità, ma su altre filiere poter contare su supply chain globali garantisce una forza e una competitività sicuramente decisiva”.
Infine, per garantire che l’automazione non comporti un aumento della disoccupazione (punto su cui Bentivogli è pienamente convinto), servono delle condizioni. “Un piano di reskilling che riguardi tutto il Paese è necessario”, dice il Segretario Generale della Fim Cisl. “Serve anche ridisegnare gli spazi aziendali. Sostengo una libertà degli orari di lavoro che favorisca processi di smart working, compreso l’industrial smart working attraverso l’IoT. Bisogna ripensare gli spazi aziendali: siamo in uno straordinario momento per chi si occupa di robotica: si possono costruire dei laboratori di progettazione del lavoro del futuro. Non si può lasciare questo lavoro né esclusivamente agli economisti né ai tecnologi. Dobbiamo lavorare insieme per creare spazi per liberare il lavoro e non liberarsi dal lavoro: un cobot a fianco del lavoratore specializzato fa guadagnare un contributo cognitivo maggiore”. Ecco perché serve “contrastare con forza la cultura tecnofoba, che è molto più diffusa di quanto si creda”, conclude Bentivogli.
Il lavoro sul territorio: il Digital Innovation Hub di Bergamo
La sfida dell’innovazione si gioca anche nei territori, nelle comunità locali dove la spinta alla digitalizzazione è catalizzata in centri altamente specializzati. È il caso del Digital Innovation Hub di Bergamo, rappresentato da Guido Guadalupi, Vicepresidente di Confindustria Bergamo. Qui si è creato un vero e proprio ecosistema (dal nome “Innovazione Presente”) in cui sono state messe in comunicazione realtà come il “Kilometro Rosso” (il parco scientifico ad alta innovazione di Bergamo), Ubi Banca, l’Università di Bergamo e la Commissione Innovazione di Confindustria Bergamo.
“Abbiamo lavorato insieme per fare un assessment e analizzare le necessità delle aziende del territorio sulla digitalizzazione”, spiega Guadalupi. “Non siamo partiti dalla robotica, che è un punto di arrivo successivo. Avvalendoci della collaborazione del consorzio Intellimech e dell’azienda ABB abbiamo realizzato gli assessment di filiera per identificare le aziende interessate ad essere monitorate e poter implementare progetti di miglioramento digitale su tutta la supply chain”. Dalla misurazione del Digital Readiness Level si passa infatti alla creazione di una roadmap in cui, con il successivo aiuto dei Competence Center nazionali (realtà predisposte ad accompagnare l’azienda nell’operatività dell’implementazione tecnologica), si possano gestire e affrontare le necessità di innovazione dell’impresa.
“Ognuno ha le proprie peculiarità e questo lavoro ci ha permesso di capire come l’imprenditore spesso fatichi a capire di cosa necessita, in una situazione di dubbio sulle proprie attività primarie”, continua Guadalupi. “Questa attività ci restituisce una visione di cosa stia succedendo nelle imprese, di quali siano le necessità: nel 2020 sono partiti sette progetti in cui abbiamo accompagnato le aziende nella partecipazione a bandi per l’aumento del livello di digitalizzazione”. L’analisi del Digital Innovation Hub di Bergamo ha permesso di evidenziare come, su una scala da zero a cinque, il livello dei parametri legati a Ricerca & Sviluppo, qualità e produzione superi il valore “3” in tutto il territorio nazionale e in ambito locale. Al contrario, restano inferiori gli indici legati alle aree manutenzione, logistica, supply chain e HR.
Per risolvere questi deficit e i problemi legati all’emergenza Covid-19 il Digital Innovation Hub di Bergamo ha creato un tavolo di lavoro per focalizzarsi sulle principali iniziative messe in campo dalle aziende per rispondere alle esigenze legate alla situazione attuale. Sistemi intelligenti di sorveglianza per prevenire assembramenti o verificare il regolare utilizzo di mascherine, oppure un sistema wireless e portabile per realizzare ecografie immediate: sono solo alcuni esempi di soluzioni che le aziende possono utilizzare per gestire al meglio la nuova organizzazione a cui sono chiamati gli ambienti di lavoro.
“Sono esempi dell’inventiva che gli imprenditori continuano ad avere, nonostante il calo di fatturato”, continua Guadalupi che, per quanto riguarda la robotica, annuncia l’imminente apertura di un Centro ad essa interamente dedicato. “A breve sveleremo un progetto molto interessate e annunceremo un centro dedicato alla robotica al Kilometro Rosso, nel territorio bergamasco”, conclude. “Ciò permetterà di incrementare la competenza in tema di robotica degli enti come il nostro, permettendoci di rispondere alle esigenze delle aziende non solo con gli assessment o l’accompagnamento all’innovazione ma anche con un contributo alla formazione strutturata dei tecnici specializzati, elemento che manca un po’ in tutta Italia”.
Robotica e salute nella lotta al Covid-19
Ma i robot sono stati fondamentali sopratutto nel campo della salute con una corsa che, in occasione dell’emergenza Covid-19, ha dato frutti a volte anche inaspettati portando soluzioni rapide, veloci da applicare e con bassi costi. Il difficile compito di portare le tecnologie innovative all’interno di una realtà ospedaliera è stato di Alberto Tozzi, Chief Innovation Officiar dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, che ha avuto il ruolo di mediatore, cioè di colui che porta a bordo soluzioni già disponibili. “Le tecnologie robotiche permettono di arrivare dove l’uomo non può andare, per non esporsi al rischio di contagio”, ha spiegato Tozzi che ha sottolineato come, in attesa di capire con una maggiore precisione quanto la contaminazione ambientale abbia un ruolo nei meccanismi di trasmissione del virus, si possano utilizzare le macchine per compiti come quelli legati alla sanificazione degli ambienti, ma anche alla gestione dei pazienti in isolamento. Un ragionamento che ha visto una forte accelerazione in questa emergenza, e che può racchiudere anche altri temi, dallo sviluppo della nanorobotica alla telechirurgia, fino al trasporto di medicinali e campioni biologici con i droni o all’automazione di laboratorio. “Serve una riflessione profonda – ha concluso – per capire i processi che ancora non hanno beneficiato dell’automazione”.
Temi che, in alcuni casi, sono diventati buone pratiche, quando dalla teoria si è passati a dover affrontare il virus in prima persona, come nel caso dell’Università Campus Biomedico di Roma, che ha visto trasformarsi il pronto soccorso in uno dei centri Covid della Capitale, con 40 posti dedicati dei quali 23 di terapia intensiva. “Questo centro si è dotato di sistemi di tecnologia avanzata – ha sottolineato il Prorettore, Eugenio Guglielmelli – come quelli di intelligenza artificiale nell’analisi delle immagini, per l’identificazione dei casi patologici, che ha avuto un successo sopra il 96%. A questo si sono aggiunti presidi innovativi come l’allestimento, in meno di una settimana, di un sistema robotico mobile per trasportare i campioni biologici fuori dal perimetro della zona rossa”.
A chiudere la sessione il prof Antonio Bicchi, dell’Università di Pisa e dell’IIT, Presidente di I-Rim, che ha ricordato il grande impegno svolto da tutta la comunità scientifica nella ricerca di soluzioni. Uno sforzo che è stato concentrato all’interno del progetto TechForCare e che è partito, nella “fase uno”, con la raccolta dei bisogni degli operatori della sanità ai quali studiosi e maker hanno dato risposte mettendo a punto soluzioni innovative legate al mondo della robotica e della bioingegneria. “Per me è stato un punto di orgoglio essere presidente di una associazione così sensibile – ha concluso Bicchi – e sono sicuro che andrà tutto bene se continueremo a fare del nostro meglio”.
Robot in azione: i progetti pilota
Durante il convegno sono stati presentati alcuni progetti pilota che hanno mostrato il “lato pratico” delle possibili applicazioni della robotica in ambienti diversi come, appunto, l’industria e la sanità.
Si parte dal lavoro dell’Università di Pisa, presentato da Lucia Pallottino, che ha mostrato il progetto Iliad in cui si combina intralogistica e Integrated Automatic Deployment per un’azienda facilmente riconfigurabile e che sopporti la dinamicità. Il progetto ha realizzato dei veicoli autonomi intelligenti che permettano anche la manipolazione avanzata (parte su cui è direttamente responsabile l’Università toscana). Il robot manipola e preleva oggetti di forme e pesi diversi a seconda dei casi, basandosi proprio sul comportamento dell’uomo. Sono due vere e proprie “mani meccaniche” a svolgere le operazioni: una che fa da supporto e l’altra che procede nella presa. Il tutto coordinato da un sistema di visione che analizza la posizione dell’oggetto e il suo collocamento, dati in base ai quali si pianifica la tipologia di presa e il movimento dei bracci.
Anche l’Università di Modena e Reggio Emilia, rappresentata da Cristian Secchi, ha presentato il proprio progetto, pensato per dividere i compiti tra operaio e cobot. In celle di lavoro operative in ambiente industriale si possono integrare le conoscenze del robot collaborativo con l’esperienza dell’artigiano. Il robot infatti può imparare un compito che poi eseguirà autonomamente. Una soluzione che permette di organizzare l’attività degli operai in modo diverso, insegnando più task ai robot che eseguiranno il lavoro e rispondendo così alle esigenze di distanziamento fisico necessarie durante l’emergenza epidemiologica.
Allo stesso obiettivo concorrono gli altri progetti dell’Università emiliana: dal robot che anticipa e prepara parte del lavoro quando “si accorge” che non è presente l’umano con cui collabora (rendendo più agile il compito dell’operatore) alla robotica collaborativa mobile in cui l’aiutante meccanico assiste l’operatore nel montaggio e smontaggio delle ruote dei veicoli attraverso una gestione autonoma del trasporto azionabile con semplici gesti.
Anche l’IIT di Genova, attraverso le parole di Arash Ajoudani, ha presentato il proprio progetto ERC Ergo-Lean su sistemi produttivi avanzati che recepiscono la presenza dell’uomo e rispondono in maniera flessibile. La persona può infatti chiamare il robot, il quale si collega con un’interfaccia meccanica per sollevare oggetti pesanti o compiere lavori rischiosi. Usando il gesto si può infatti modificare la mobilità da base mobile a braccio e viceversa.
Il progetto Sophia invece realizza sistemi intelligenti per aumentare la flessibilità di produzione. L’uomo, tramite la realtà aumentata, può vedere cosa fa il robot e lo stato attuale del task. C’è anche il cobot che partecipa alla produzione in modo autonomo e cerca di capire come ottimizzare la locazione del prodotto su, ad esempio, un muletto. Uomo e macchina si aiutano reciprocamente nel sollevare l’oggetto particolarmente pesante.
A questi si sono aggiunti i progetti che la comunità scientifica ha messo in campo con grande attenzione mettendo a disposizione laboratori, tecnologie, comunità di ricercatori, per rendere disponibili soluzioni che potevano essere realizzate in tempi molto brevi e con costi decisamente bassi. Tra questi ne sono stai presentati alcuni particolarmente interessanti.
Manuel Catalano dell’Università di Pisa e dell’IIT ha raccontato la nascita del robot low cost LHF connect, realizzato attraverso il motore del Roomba sul quale è stato montato un tablet. Robot che poteva essere replicato in maniera molto semplice ed essere subito disponibile per venire incontro al forte bisogno di comunicazione delle persone in isolamento.
Remote Touch è un progetto che va in una direzione analoga ed è uno di quelli presentati da Domenico Prattichizzo dell’Università di Siena e dell’IIT. Il progetto riguarda la possibilità di trasmettere una sensazione tattile a distanza: un’iniziativa a cui si lavorava già da una decina di anni ma che è stato portato avanti in questo periodo. “Questo permette di dare ai parenti Covid un contatto – spiega – con i parenti lontani attraverso la sensazione. Una carezza, una stretta di mano, la sensazione di sfiorarsi la pelle che è una delle cose che mancano di più”.
No face touch è invece un progetto che, attraverso l’uso di sensori, come il giroscopio e il magnete dei comuni smartwatch, riesce a individuare e a prevenire il gesto istintivo di mettere le mani sul volto, che sono uno dei maggiori veicoli di contagio. “Attraverso le tecnologie tattili che troviamo sugli smartwatch più comuni – spiega Prattichizzo – possiamo intervenire attraverso segnali e vibrazioni che possano impedire questo movimento”.
Altra soluzione messa a punto dal team è Active social physical distance e riguarda il distanziamento tra le persone e, sopratutto, la possibilità di creare percorsi sicuri per evitare di avvicinarsi a una distanza maggiore di un metro da altre persone che sono nella stessa stanza. “Attraverso i dispositivi indossabili – continua Prattichizzo – possiamo avere una guida attiva che permette di mantenere una distanza fisica adeguata anche se siamo distratti”.
IFeel-You invece è una smartband, un braccialetto elettronico che permette di misurare la temperatura corporea e segnalare quando, a distanza inferiore a un metro, se ne presenta uno analogo. A metterlo a punto il team dell’IIT guidato da Daniele Pucci, che ha sviluppato in un mese e mezzo. “Questo progetto nasce da un progetto europeo Handy – ha spiegato Pucci – legato alla tecnologia indossabile”. Partendo da questo punto si è riusciti a sviluppare un prodotto che può essere realizzato in brevissimo tempo è che può essere utilizzato in tutti quei contesti, come villaggi vacanze o centri benessere, dove il telefonino sarebbe inopportuno.
Cobot per Lab automation è il progetto presentato da Andrea Maria Zanchettin del Politecnico di Milano che riguarda il processamento robotizzato dei test diagnostici, come ad esempio quelli sierologici. In questo caso l’operatore può essere coadiuvato da un robot collaborativo nelle operazioni più ripetitive. In questo modo si raggiungono due obiettivi importanti: aumentare il numero dei test e limitare i rischi per l’operatore, che spesso è soggetto a patologie specifiche legate al rischio ergonomico. “Si tratta di un robot che va ad automatizzare parzialmente le operazioni di laboratorio – spiega Zanchettin – senza sostituire completamente l’operatore. Il robot, infatti, si occupa principalmente delle numerose fasi di lavaggio delle piastre mentre all’operatore resta il posizionamento della proteina, la deposizione del siero e la lettura dei risultati. A regime con questo progetto si può arrivare a circa 4 mila test sierologici al giorno”.
Potete rivedere il seminario qui