Decreto Rilancio, i ristori a fondo perduto per PMI e autonomi dal 10% al 20% della perdita subita

Nel Decreto Rilancio in via di approvazione sarà inclusa la misura che prevede contributi a fondo perduto per PMI, artigiani, commercianti e autonomi. Ecco tutti i dettagli su beneficiari, importi e modalità di richiesta.

Pubblicato il 11 Mag 2020

PMI

Nel Decreto Rilancio, di cui si attende ancora la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, sarà inclusa una misura richiesta a più riprese dal mondo dell’imprenditoria e più volte promessa dal Governo: si tratta dei contributi a fondo perduto per PMI, artigiani, commercianti e autonomi.

L’ultima bozza del DL Rilancio prevede infatti un “contributo a fondo perduto” per sostenere “i soggetti colpiti dall’emergenza epidemiologica Covid-19”. L’importo di questo aiuto da parte dello Stato sarebbe legato a due parametri: il calo di fatturato registrato nel mese di aprile 2020 (rispetto a quello di aprile 2019) e il volume dei ricavi del beneficiario nell’intero 2019. Il primo requisito, poi, non sarebbe una condizione necessaria per le imprese e gli autonomi che hanno iniziato l’attività dal primo gennaio 2019 in poi.

I ristori potranno essere richiesti a partire dal 15 giugno 2020. Clicca qui per scoprire come fare richiesta.

L’importo del contributo a fondo perduto

Innanzitutto, i beneficiari della misura sono le imprese e le partite Iva con ricavi fino a 5 milioni di euro. Inoltre, restano esclusi i soggetti la cui attività risulti cessata alla data del 31 marzo 2020, gli intermediari finanziari, i professionisti (anche quelli iscritti alle Casse private), Co.Co.Co. e lavoratori dello spettacolo beneficiari del bonus da 600 euro istituito dal Decreto Cura Italia.

C’è una prima condizione per essere ammessi al contributo a fondo perduto: il fatturato o i corrispettivi del mese di aprile 2020 devono essere inferiori ai due terzi di quelli di aprile 2019 (facendo riferimento alla “data di effettuazione dell’operazione di cessione di beni o di prestazione dei servizi”). La perdita quindi deve essere superiore al 33%. Come già anticipato, questo parametro non vale per chi ha avviato l’attività a partire dall’1 gennaio 2019.

L’importo del contributo a fondo perduto viene calcolato in percentuale rispetto alla differenza tra il fatturato o i corrispettivi di aprile 2020 e quelli di aprile 2019, a seconda del volume di ricavi relativi all’intero 2019 del beneficiario. In particolare:

  • Per chi ha ricavi o compensi fino a 400.000 euro, il contributo è del 20% (rispetto alla differenza tra il fatturato di aprile 2020 e quello di aprile 2019)
  • Per chi ha ricavi o compensi superiori a 400.000 euro e fino a 1 milione di euro, il contributo è del 15%
  • Per chi ha ricavi o compensi superiori a 1 milione di euro e fino a 5 milioni di euro il contributo è del 10%

Ci sono però degli importi minimi del contributo (qualora non vengano raggiunti tramite il calcolo appena descritto), che sono pari a 1.000 euro per le persone fisiche e 2.000 euro per gli altri soggetti.

Come si farà richiesta

Per ottenere il contributo a fondo perduto, stando al testo dell’ultima bozza del Decreto Rilancio, bisognerà farne richiesta (indicando di essere in possesso dei requisiti) per via esclusivamente telematica all’Agenzia delle Entrate, entro 60 giorni dall’avvio della procedura da parte di quest’ultima, che verrà definita con un apposito provvedimento. Il contributo sarà corrisposto con accreditamento diretto sul conto corrente bancario o postale.

La richiesta dovrà contenere anche l’autocertificazione di regolarità antimafia, su cui la Guardia di Finanza farà i controlli successivamente all’erogazione del contributo. Chi, avendo presentato questa autocertificazione, non superasse la verifica antimafia verrebbe punito con “la reclusione da due a sei anni”. In questo caso (e negli altri casi in cui risultasse che l’importo non era dovuto) l’Agenzia dell’Entrate recupererebbe il contributo non spettante, oltre alle relative sanzioni e agli interessi. La “percezione del contributo in tutto o in parte non spettante” è punita con l’applicazione dell’articolo 316-ter del codice penale, che prevede la reclusione da sei mesi a tre anni.

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Francesco Bruno

Giornalista professionista, laureato in Lettere all'Università Cattolica di Milano, dove ha completato gli studi con un master in giornalismo. Appassionato di sport e tecnologia, compie i primi passi presso AdnKronos e Mediaset. Oggi collabora con Dazn e Innovation Post.

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