Summit, il supercomputer di IBM, al lavoro per trovare la cura per il Coronavirus

Summit, il supercomputer di IBM in dotazione alla Oak Ridge National Lab del Tennessee, sta lavorando per trovare una cura contro l’epidemia causata dal Coronavirus. Con una capacità di effettuare 200 milioni di miliardi di calcoli al secondo, Summit ha già permesso di trovare in pochi giorni 77 composti con il potenziale di compromettere le capacità del Covid-19 di attaccare e infettare le cellule ospiti. 

Pubblicato il 10 Mar 2020

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Si chiama Summit ed è il supercomputer di IBM che sta lottando, proprio come gli esseri umani, per trovare una cura contro l’epidemia causata dal Coronavirus.

Con una capacità di effettuare 200 milioni di miliardi di calcoli al secondo (la sua potenza computazionale è pari a 200 petaflop di picco), Summit è infatti in grado di simulare molto rapidamente i composti biologici che, messi a contatto col virus, potrebbero provocarne una reazione.

Trovati 77 composti in grado di attaccare il Coronavirus

Quando si cerca una cura per una malattia virale, i ricercatori fanno crescere il virus in laboratorio, osservando come reagisce all’introduzione di nuovi composti biologici.

Il processo di simulazione presenta numerose variabili, le quali a loro volta possono essere composte da milioni di dati unici. Summit, in forza all’Oak Ridge National Lab del Tennessee, negli Stati Uniti, ha già permesso ai ricercatori di simulare 8.000 composti nel giro di pochi giorni, invece che mesi. Un ritmo di lavoro davvero incoraggiante per tutto il mondo della scienza, alle prese in questi giorni con la ricerca di una soluzione all’emergenza Coronavirus, il quale si è diffuso ormai in 84 Paesi.

In particolare, tra i risultati ottenuti grazie al super cervello di Summit, sono stati identificati 77 composti (come farmaci o composti naturali) con il potenziale di compromettere le capacità del Covid-19 di attaccare e infettare le cellule ospiti.

“Summit doveva fornirci rapidamente i risultati necessari delle simulazioni”, spiega Jeremy Smith, Rettore dell’Università del Tennessee e Direttore dell’UT/ORNL Center for Molecular Biophysics, nonché ricercatore principale dello studio. “Ci sono voluti un giorno o due per fare questo, mente su un normale computer ci sarebbero voluti mesi. Ovviamente questo non significa che abbiamo trovato una cura o un trattamento per il Coronavirus, ma siamo molto fiduciosi che le nostre scoperte computazionali serviranno ai futuri studi e forniranno un quadro di riferimento che gli scienziati utilizzeranno per indagare ulteriormente su questi composti: solo allora sapremo se qualcuno di essi presenta le caratteristiche necessarie per mitigare questo virus”.

Il composto (in grigio) calcolato per legarsi alla proteina del Coronavirus (in azzurro), per evitare che si agganci all’enzima umano di conversione dell’ACE2, recettore (in viola)

Un super cervello al servizio della ricerca

Dotato di una capacità di elaborazione dei dati elevatissima, abilitata da 4.608 nodi server IBM Power Systems AC922 (ciascuno dotato di due CPU IBM Power 9 e sei GPU Nvidia Tensorcore V100), Summit ha la potenza di un milione di laptop di fascia alta. Per fare un esempio, se ogni abitante della Terra facesse un calcolo al secondo, servirebbero 305 giorni per fare ciò che Summit fa in un solo secondo: tutte caratteristiche che gli sono valse il titolo di “supercomputer più potente del mondo” dal 2018.

Con una superficie di oltre 520 mq, Summit è grande quanto due campi da tennis

Tra i numeri a cui si deve il primato di Summit, una capacità di memoria di 250 petabyte, con una velocità di trasmissione tra i nodi di 25 giga al secondo. Tra gli ambiti in cui è stato sfruttato il super cervello di Summit vi è la comprensione delle origini dell’universo, le missioni spaziali o la crisi degli oppiacei negli Stati Uniti.

Oggi, per Summit si apre una nuova sfida: aiutare gli scienziati a trovare una cura per il Coronavirus nel minor tempo possibile. Un compito in cui la tecnologia, con le elevate capacità di calcolo dei computer come quello dell’Oak Ridge National Lab, può essere d’aiuto, soprattutto in termini di risparmio di tempo. Un elemento che nelle emergenze sanitarie è – letteralmente – di vitale importanza.

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Francesco Bruno

Giornalista professionista, laureato in Lettere all'Università Cattolica di Milano, dove ha completato gli studi con un master in giornalismo. Appassionato di sport e tecnologia, compie i primi passi presso AdnKronos e Mediaset. Oggi collabora con Dazn e Innovation Post.

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