Perché ci sono poche donne tra i data scientist?

Perché ci sono poche data scientist? Se ne è occupato uno studio di Boston Consulting Group che, analizzando il fenomeno, assegna parte della responsabilità a un’informazione scarsa e a un’immagine spesso distorta di questa professione.

Pubblicato il 06 Mar 2020

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Sono solo 35 donne su 100 le giovani che scelgono di intraprendere studi nelle facoltà scientifiche; tra loro ci sono matematiche, ingegnere e scienziate.  Ma poi solo il 15% di loro lavora in quest’ambito. È quanto emerge dallo studio di Boston Consulting Group “What’s Keeping Women Out of Data Science” che ha analizzato il fenomeno: alla base di questi risultati c’è un’informazione scarsa e spesso distorta.

Il data scientist è una nuova figura professionale che utilizza metodi scientifici, processi, algoritmi e sistemi per estrarre valore dai dati. Ma come emerge dallo studio di BCG sembra non essere un lavoro per tutti, per ora e almeno nella percezione. Sono infatti molti gli uomini presenti in questo campo e poche le donne.

“Nonostante la scienza dei dati sia uno dei settori più caldi e in rapida crescita del mercato del lavoro, rimane tuttavia un campo fortemente dominato dagli uomini e poco aperto alle donne” afferma Laura Alice Villani, Managing Director e Partner di Boston Consulting Group. “Lo dicono i numeri. A livello globale, le donne rappresentano solo il 15% dei professionisti della data science, uno squilibrio di genere che rende monocolore un ambito come quello dell’Intelligenza Artificiale, dove l’elemento umano, e la diversità che porta con sé, restano fondamentali. Perché l’AI, che affonda le sue radici proprio nell’uso dei dati, diventi una risorsa preziosa per l’economia, è necessario che sia prima di tutto diffusa tra la pluralità della popolazione. Donne comprese”.

Il report

Il report BCG ha analizzato un campione di 9.000 tra studenti e neo laureati, under-35, di 10 paesi (Australia, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Giappone, Spagna, Stati Uniti, Regno Unito) con l’obiettivo di trovare le ragioni per cui 48 studentesse su 100 hanno una percezione negativa della scienza dei dati. La data science, infatti, è stata definita molto teorica e poco pratica, troppo competitiva e scarsamente pubblicizzata dalle università.

Nonostante la scienza dei dati sia uno dei settori più caldi e in ascesa dell’economia, rimane un campo composto prevalentemente da uomini, generando così squilibrio e una significativa minaccia alla crescita sostenibile della società ma anche all’analisi oggettiva dei dati su cui si basa l’intelligenza artificiale.

Ma la colpa arriva dalle scuole, dalle università e dal mondo del business. Il lavoro del data scientist, ad oggi, è stato enfatizzato solo dal lato tecnico senza affrontare le questioni pratiche e di rilevanza culturale, portando quindi a un disinteresse nelle donne che invece sono più propense a seguire carriere socialmente utili.

È infatti emerso che tra i laureati in campo scientifico, il 67% delle ragazze e il 61% dei ragazzi preferisce un lavoro più pratico e più utile alla società. Per questo motivo, il numero di talenti che si dirige nel campo scientifico è molto ristretto, e i numeri minori si riscontrano ovviamente dalle donne impiegate nella scienza dei dati.

Una conoscenza inesatta della materia, un giudizio basato su falsi miti e un problema d’immagine. Circa la metà delle ragazze iscritte alle facoltà scientifiche, informatica compresa, non sa cosa faccia nella quotidianità un data scientist. È un lavoro percepito come molto teorico e poco utile nella vita di tutti i giorni. Ma anche sempre troppo da “nerd” del computer oppure troppo competitivo.

Se il 55% di ragazze che si laurea, solo il 35% sceglie un indirizzo scientifico-informatico, solo il 25% lavora nel mondo scientifico attinente al titolo di laurea e solo il 15% diventano una data scientist. Troppa competizione e troppa poca collaborazione, peculiarità di una cultura del lavoro che fa paura a 81 ragazze su 100 e che viene percepita come poco impattante sulla società (48%). Questo trend negativo potrà interrompersi solo se anche lo stereotipo lavorativo si adeguerà agli interessi e alle attitudini femminili.

“Per vincere con l’intelligenza artificiale – continua Villani citando i dati di un precedente report del MIT Sloan e BCG – le aziende devono puntare sulla trasparenza. L’AI presenta anche dei rischi, e lo studio e monitoraggio dei dati divengono opportunità concrete di crescita volta al miglioramento della vita delle persone”.

Ma c’è anche chi nel mondo dà il buon esempio. Come il circolo virtuoso di paesi, Australia, Francia e Spagna, in cui la popolazione femminile si considera ben informata sulle varie possibilità di carriera. Qui già molte donne sono impiegate nel mondo dei dati e di conseguenza, hanno fatto da “apri pista” per le nuove generazioni di scienziate. Hanno seguito un’equazione semplice: se i dati da trattare aumentano, il bacino di talenti per analizzarli si deve ampliare e per questo è fondamentale il contributo dei talenti femminili.

Per sconfiggere le discriminazioni, come quelle di genere, esiste già una regola generale: meno credenze, più fatti. Per studiarli, poi, ci sono i data scientist.

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Valentina Repetto

Appassionata di tecnologia ma con un amore incondizionato verso la natura, si dedica alla fotografia e al video editing. Curiosa e esploratrice verso tutto ciò che la circonda. Laureata in Scienze e Tecnologie Multimediali, indirizzo comunicazione.

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