Grande è la confusione sotto il cielo. In pochi giorni il coronavirus ha messo a nudo la fragilità del sistema capitalistico, della globalizzazione e della natura umana. Anche l’innovazione tecnologica non è stata di grande aiuto al contrasto dell’epidemia, dal momento che le piattaforme di Big Data, Intelligenza Artificiale, health IoT sono state limitate da problemi di governance o da speculazioni di parte.
L’Italia ha tutto sommato reagito bene con un sistema sanitario d’eccellenza, seppure indebolito da decenni di tagli e di risorse pubbliche deviate verso la sanità privata (del tutto assente nella gestione della crisi). Stiamo pagando però più di altri Paesi la frammentazione della Politica, lo sciacallaggio di alcuni mezzi di comunicazione, le mosse inopportune di alcuni rappresentanti delle istituzioni.
L’altra partita che si gioca è quella delle conseguenze economiche con lo Stato che sta iniziando a mettere in campo politiche monetarie e fiscali con le poche risorse disponibili, mentre le PMI, ossatura del Paese, mostrano i propri limiti dimensionali nel far fronte comune e nella gestione emergenziale.
Non possiamo poi nascondere la preoccupazione per il montante boicottaggio verso il Made in Italy. Solo dopo pochissimi giorni dallo scoppio dell’epidemia in Italia, alcuni costruttori di macchine lamentano il rinvio di commesse o il respingimento dei tecnici italiani addetti all’avviamento e alla manutenzione. La Grecia ha bloccato l’export del formaggio italiano. Perfino la Cina a inizio febbraio aveva chiuso le frontiere a mele, pere, carni bovine e riso Made in Italy, in risposta al blocco dei voli deciso dal nostro Governo. Gli altri Stati europei prendono tempo, ma potrebbero approfittare della nostra debolezza per tentare di scalzarci in qualche settore produttivo.
Bisognerà vedere con che velocità il virus si propagherà negli altri Stati e se i contagi fuori dall’Italia saranno effettivamente tracciati con le stesse metodologie. A differenza dei servizi per i consumatori (turismo, ristorazione, enogastronomia, intrattenimento), l’industria e i servizi collegati ad essa, fiere di settore comprese, sono potenzialmente in grado di recuperare il terreno che inevitabilmente verrà perso. Un pasto saltato al ristorante o una vacanza annullata non si recuperano. Viceversa macchine, impianti, installazioni, infrastrutture e rinnovamenti tecnologici soggiaciono in genere a logiche anticicliche. Prima o poi si dovranno fare.
Eppure le variabili in gioco sono molte. E se dovessimo restare a lungo gli “appestati” d’Europa, in barba alla solidarietà e alle regole comuni dell’Unione Europea? Giocando sul filo del paradosso, forse un piano B è a portata di mano e potrebbe offrire una certa rassicurazione. Perché non formare un’alleanza sanitaria e strategica con Cina, Giappone e Corea del Sud? Perché non creare piattaforme comuni e intensificare scambi commerciali, industriali e tecnologici con questi Paesi, sostenendo così a vicenda le rispettive economie attualmente nel mirino della speculazione e dell’isolamento?
Sono nazioni infettate dal coronavirus quanto o più della nostra, isolate quanto la nostra, economicamente compatibili e certamente motivate quanto noi a risalire la china. Parliamo rispettivamente della seconda, della terza e della dodicesima economia mondiale. Virtualmente unite all’Italia rappresenterebbero un soggetto capace di esercitare un dominio assoluto sulla manifattura, sull’hi tech e su numerosi settori dell’economia, con una percentuale di PIL mondiale aggregato stimabile tra il 22 e il 28%.
Impraticabile, diranno in molti. Gli equilibri internazionali sono molto complessi. Ci sono alleanze militari, storiche, geopolitiche, accordi commerciali consolidati e affinità socio-culturali più forti con Europa e Stati Uniti. Tutto vero, ma le dinamiche possono cambiare in fretta in una condizione di emergenza mai vissuta prima.
L’attuale momento è imprevedibile ed è paragonabile a quello di un sommovimento globale, dove aiuti, alleanze e cooperazioni vanno ripensati in termini strategici. Ammoniva Sun Tzu nell’Arte della Guerra “Se non stringi alleanze e non rafforzi il tuo dominio, il tuo Stato e le tue città diventeranno vulnerabili”. Sarà il caso di fare nostra l’antica saggezza orientale?