L’avvento delle nuove tecnologie e della digitalizzazione sarà foriero di stipendi più bassi, meno tutele, minore qualità della vita in azienda e, ciliegina sulla torta, del rischio di perdere il posto di lavoro. È l’amara conclusione a cui si giunge leggendo il terzo Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale. Che rileva inoltre come “la tecno-paura dei lavoratori si contrappone al tecno-entusiasmo delle aziende, i cui vertici sono in larghissima maggioranza convinti che la incombente rivoluzione tecnologica finirà per migliorare la qualità della vita e del lavoro per tutti”.
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I numeri della paura
Il 42% dei lavoratori italiani ha paura di perdere il posto a causa dell’innovazione tecnologica. Una cifra che sale al 48,8% – quasi uno su due – se si considerano solo gli operai. E più si scende nella piramide aziendale, più crescono le paure che, secondo l’analisi, “sono fortemente correlate al tipo di lavoro svolto e al ruolo ricoperto in azienda, con gli operai molto più convinti che avranno un peggioramento della qualità del proprio lavoro e addirittura uno su due che sente a rischio il proprio posto di lavoro”. Sono dati, questi, in profonda contrapposizione con quanto era emerso a fine 2018 da un’indagine della Doxa, che aveva mostrato che la paura di robot e intelligenza artificiale, oltre a essere minore nelle aziende che utilizzano queste tecnologie, era minore tra gli operai rispetto ai quadri.
Ben l’85% dei lavoratori esprime una qualche paura o preoccupazione per l’impatto atteso della rivoluzione tecnologica e digitale (il dato supera l’89% tra gli operai). Per il 50% si imporranno ritmi di lavoro più intensi, per il 43% si dilateranno gli orari di lavoro, per il 33% (il 43% tra gli operai) si lavorerà peggio di oggi, per il 28% (il 33% tra gli operai) la sicurezza non migliorerà.
E poi ci sono i salari: per il 58,3% dei lavoratori italiani in futuro si guadagnerà meno di ora e il 50,1% pensa che in futuro si avranno meno tutele, garanzie e protezioni.
I timori principali: salari più bassi e meno tutele
Il 70% dei lavoratori (il 74% degli operai) teme la riduzione di redditi e tutele sociali. Per il 58% (il 63% tra gli operai) in futuro si guadagnerà meno di oggi. E per il 50% si avranno minori tutele, garanzie e protezioni. In questo caso le percentuali restano elevate tra dirigenti e quadri (54%), operai (52%) e impiegati (49%).
Forte è anche il timore di nuovi conflitti in azienda: per il 52% dei lavoratori (il 58% degli operai) sarà più difficile trovare obiettivi comuni tra imprenditori, manager e lavoratori.
Il tecnoentusiasmo delle aziende
Alle tecnopaure dei dipendenti fanno da contraltare le tecnosperanze delle imprese. Per l’86,1% delle 165 aziende interpellate l’impatto di nuove tecnologie, digitale, intelligenza artificiale nel prossimo futuro sarà molto o abbastanza elevato ed è l’88,5% a valutarlo come molto positivo.
Cambiamento tecnologico, digitale e intelligenza artificiale per il 97,6% delle aziende porteranno un plus di produttività, efficienza e competitività grazie all’arrivo delle nuove tecnologie.
Per il 97% delle aziende ci sarà anche un miglioramento delle condizioni di lavoro e della qualità della vita in azienda, per l’85,5% si lavorerà in smart-working, per l’88,5% migliorerà la fruizione dei servizi e delle prestazioni di welfare aziendale, per l’83% migliorerà la comunicazione, ci sarà più scambio di informazioni all’interno dell’azienda, per il 77,6% non ci sarà una sostituzione di lavoratori in molte mansioni, né una perdita di posti di lavoro.
Nelle aziende hi-tech si guadagna di più
Il rapporto evidenzia anche un altro dato: i salari sono sempre più “tecno-polarizzati”: fatto 100 lo stipendio medio italiano, nei settori tecnologici il valore sale a 184,1, mentre negli altri comparti scende a 93,5.
Le aziende inoltre, come rilevato dal recente rapporto Excelsior, ricercano sempre più profili ad elevata competenza tecnica e specializzazione, ossia quelli che richiedono il possesso di competenze in ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico, matematico: profili che faticano a reperire sul mercato. Le previsioni di fabbisogno delle imprese nel periodo 2019-2023 mostrano infatti che, su un fabbisogno occupazionale complessivo di 2,9 milioni di lavoratori, il 47,7% (pari a 1,4 milioni di unità) riguarderà le professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione, professioni tecniche, operai specializzati.
L’importanza del welfare aziendale
Il rapporto, che è dedicato al welfare aziendale, si sofferma naturalmente anche su questo aspetto, sottolineando come per due lavoratori su tre che già ne beneficiano (il 66%) il welfare aziendale sta migliorando la loro qualità della vita. Le percentuali sono elevate tra dirigenti e quadri (89%), lavoratori intermedi (60%), operai (79%).
Guardando al futuro, il 54% dei lavoratori è convinto che gli strumenti di welfare aziendale potranno migliorare il benessere in azienda. E in vista dell’arrivo di robot e intelligenza artificiale, il welfare aziendale viene annoverato tra le cose positive che si possono ottenere in un futuro immaginato con meno lavoro, meno reddito e minori tutele.