Le tendenze che più stanno trasformando le aziende, le tecnologie utilizzate, e anche il mondo della Cyber security, sono la convergenza e l’integrazione dei sistemi. Fino a qualche tempo fa l’innovazione, e anche le minacce informatiche, potevano riguardare singole applicazioni o strumenti, oggi non più.
“La convergenza è ormai una realtà ‘sistemica’, tutto è connesso, come in un unico, grande organismo. Per questo l’approccio alla Cyber-sicurezza deve essere olistico, globale, e altrettanto sistemico”, taglia corto Giulio Iucci, presidente di Anie Sicurezza, intervenendo al convegno milanese dedicato a questi temi e scenari organizzato da IMQ, associazione che da 70 anni si occupa di qualità e sicurezza delle tecnologie per le imprese, e da Anie (la Federazione nazionale imprese elettrotecniche ed elettroniche), che raccoglie e rappresenta sia aziende che subiscono questi pericoli e attacchi, sia anche diverse che ne offrono le soluzioni.
E il presidente di Anie Sicurezza rimarca: “in passato c’erano le infrastrutture critiche. Oggi, invece, tutto è diventato critico, dal punto di vista della sicurezza H-tech. Per cui, la logica di azione e intervento cambia completamente. Non esiste più la ‘periferia’ della rete, il marginale e il secondario del sistema. È tutto centrale e primario, e ciò porta una nuova logica della vulnerabilità. Il punto fondamentale, su cui costruire sicurezza, è quindi l’intera architettura di sistema, e la visione olistica del tutto”.
In questo scenario, anticipano gli specialisti che hanno preso parte al convegno, il prossimo grande e importante banco di prova per la Cyber-sicurezza saranno Smart home, Smart building e Smart city, ovvero l’innovazione dei luoghi di vita e lavoro quotidiani, con la digitalizzazione e l’interconnessione di case, uffici, interi edifici e, in scala ancora più grande e allargata, le città, sempre più tecnologiche.
Gli edifici e le città Smart sono già e saranno ancora di più un ‘concentrato’ di tecnologie, soluzioni e servizi interconnessi, che hanno tutte le carte in regola per diventare uno dei bersagli preferiti di hacker e pirati informatici.
Un nuovo bersaglio da colpire, che si va ad aggiungere alla già grande varietà attuale: istituzioni, governi, organizzazioni internazionali, aziende, banche, e ogni ‘contenitore’ digitale che può contenere dati e informazioni delicate e di valore.
I Cyber attacchi gravi a livello mondiale, tra quelli resi noti da parte di chi li ha subiti, sono passati da una media nel 2017 di 90 al mese a 120 l’anno scorso. In pratica, quattro al giorno. Ma le cifre reali sono sconosciute e sicuramente di molto superiori perché molti, moltissimi attacchi e intrusioni non vengono dichiarati, e rimangono nell’ombra, fuori da dati e statistiche ufficiali.
I maggiori rischi per le aziende sono spesso legati a vulnerabilità di sistemi non aggiornati, e agli attacchi, ad esempio quelli di raggiro e di tipo Phishing, a persone interne all’azienda, poco attente o non formate in maniera adeguata per contrastarli. Le principali procedure di difesa restano quindi l’aggiornamento dei sistemi, Security assessment, penetration test, formazione del personale.
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Parola d’ordine: allarme rapido
“La sicurezza fisica, di un’azienda o una fabbrica, è anche sicurezza cyber”, fa notare Iucci, “e il flusso di comando e controllo, in questo campo, è cambiato in questo modo: prima, c’era solo azione e reazione: a un attacco hacker si rispondeva con le armi a disposizione. Oggi occorre innanzitutto prevedere e prevenire, monitorare i sistemi, intercettare i dati, correlarli tra loro, analizzarli”.
Poi, gli interventi successivi a un attacco o una minaccia “vanno dal ripristinare le condizioni di funzionamento ottimale all’apprendere, dato che si imparano nuove tecniche di difesa. La parola d’ordine è diventata ‘Early warning’, allarme rapido, in una rete di interconnessioni molto più articolata rispetto al passato”.
Far crescere la spesa in difese Hi-tech
Tutti i settori economici stanno investendo in Digitale, con una crescita rilevante nel settore della Manifattura, anche per effetto dei piani governativi per l’Industria 4.0 avviati a partire dal 2016. Ma “il mercato della Cyber-security in Italia vale circa un miliardo di euro, pari soltanto all’1% dell’intera spesa Hi-tech aziendale, quando un livello adeguato sarebbe attorno al 10% del totale”, sottolinea Andrea Bianchi, direttore area Politiche industriali di Confindustria.
Che osserva: “dobbiamo quindi ri-bilanciare la situazione e far crescere la spesa in sicurezza tecnologica, per evitare che la crescita del Digitale nelle imprese e nell’economia significhi allo stesso tempo crescita di vulnerabilità”.
In più, fa notare il manager di Confindustria, l’approccio alla Cyber-security “non può essere solo un approccio nazionale, ma europeo”, dove, a livello continentale, “per l’innovazione si stanno portando avanti progetti strategici e di primaria importanza, innanzitutto attraverso programmi come Horizon Europe e Digital Europe”.
Secondo Stefano Mele, avvocato specializzato in Cyber security, la sicurezza “deve essere ‘trasparente’ e più facile da gestire per l’utente finale. Non deve essere necessario essere degli ingegneri informatici per poter maneggiare quanto serve le funzioni di sicurezza”. Invece oggi cosa succede: “quando un software o un’applicazione tecnologica ha un disservizio o una falla, arriva il suo ‘Patch’, la sua toppa, senza alcuna conseguenza per l’azienda fornitrice di qualcosa di fallato, e questo non va bene. Non può essere il modo di procedere, sempre a danno degli utenti finali”.
Evoluzione lenta e sovranità dei dati
Non ci sono ricette semplici o sbrigative per affrontare questi scenari, rileva Stefano Zanero, docente nel campo delle tecnologie innovative al Politecnico di Milano, ma una delle questioni essenziali “è quella di arrivare a proteggere anche chi non ha il budget adeguato per proteggersi da solo, come le piccole e le micro imprese, le realtà meno strutturate e i privati cittadini”, e un altro nodo consiste nel fatto che “gli sforzi che si stanno facendo sono lontani dalla velocità della trasformazione in corso”.
C’è poi chi pone la massima attenzione sulla necessità e l’urgenza di una ‘sovranità dei dati’, e di “portare in Europa i dati che ci riguardano e di cui siamo proprietari”, come sottolinea Valerio Pastore, fondatore e Chief technology officer di Boole Box, azienda che applica soluzioni di sicurezza militare alla protezione dei dati aziendali.
Una delle strategie proposte da Booble Box è questa: i documenti elettronici non vengono più spediti al destinatario, non c’è più l’invio di documenti, ma il destinatario accede alla Data room dedicata per consultare documenti protetti e crittografati, con modalità di accesso che prevedono anche sistemi di identificazione biometrica.
E Pastore rileva: “se i nostri dati strategici sono collocati su server in altri Paesi, in America, in Cina, in caso di conflitto commerciale o di altro genere potrebbero essere copiati o bloccati, portando a conseguenze pericolose e gravi, fino al blocco delle istituzioni, della produzione, dei servizi essenziali. Per questo è importante non lasciare ai colossi tecnologici di Stati Uniti e Cina il predominio dell’economia digitale; ci sono tante realtà europee molto valide in ogni ambito di attività Hi-tech, e dobbiamo farle crescere per non lasciare ad altri il controllo dei dati e di tutto ciò che a essi è collegato”.