Finanza alternativa, in un anno destinati alle PMI 3 miliardi di euro

Da luglio 2018 a giugno 2019 in Italia le risorse che la finanza alternativa al credito bancario ha veicolato verso le PMI ammontano 3 miliardi di euro. L’analisi nell’osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano

Pubblicato il 21 Nov 2019

Il Politecnico di Milano


Da luglio 2018 a giugno 2019 in Italia le risorse che la finanza alternativa al credito bancario ha veicolato verso le PMI sono state pari a circa 3 miliardi di euro, contro i 2,3 miliardi del periodo precedente. È quanto emerge dal Quaderno di ricerca sulla Finanza alternativa per le PMI in Italia, redatto dagli Osservatori Entrepreneurship & Finance della School of Management del Politecnico di Milano e presentato oggi al primo Alt-Finance Day, organizzato dalla Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi.

I dati

Il private equity e il venture capital, dopo alcuni mesi di difficoltà, hanno ripreso a svolgere un ruolo prioritario nell’industria, l’invoice trading ha continuato ad aumentare al contrario della raccolta per i minibond, che si è contratta ma potrebbe ancora essere spinta in futuro dai basket bond, il crowdfunding ha mantenuto buoni tassi di crescita, pur rimanendo ancora comparativamente piccolo. L’offerta di token digitali, spinta dalla tecnologia blockchain, è invece in attesa di una probabile regolamentazione.

L’indagine annuale del Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI), che misura la facilità di accesso al capitale per le PMI nell’Unione Europea, vede l’Italia scendere nel 2018 dal 17° al 19° posto, scavalcata dall’Estonia e dal Portogallo. Secondo la Banca Centrale Europea, in Italia la percentuale di PMI potenzialmente vulnerabili in termini finanziari (cioè con ricavi e profitti in diminuzione mentre debito e pagamento di interessi aumentano) è superiore al 7%, mentre la media continentale è 3%. Inoltre, le PMI italiane sono diventate relativamente più pessimiste rispetto all’accesso al credito bancario: solo il 12% (erano il 17%) dichiarano una maggiore disponibilità delle banche rispetto all’anno precedente. Le incertezze politiche sembrano influire anche sul costo del capitale: il 27% riporta un peggioramento del tasso di interesse pagato, mentre nel periodo precedente erano la metà.

Nel report sono stati analizzati sei ambiti specifici, cercando di individuare il contributo che hanno dato alla raccolta di risorse finanziarie per le PMI italiane rispetto al tessuto imprenditoriale nel suo complesso: si tratta dei minibond (ricorso al mercato mobiliare per il collocamento di titoli di debito come obbligazioni e cambiali finanziarie), del crowdfunding (opportunità di raccogliere capitale su portali Internet nelle varie forme ammesse, come reward, lending, equity), dell’invoice trading (smobilizzo di fatture commerciali attraverso piattaforme web); del direct lending (credito fornito da soggetti non bancari attraverso prestiti diretti), dell’Initial Coin Offering, ICOs, (collocamento di token digitali su Internet grazie alla tecnologia emergente della blockchain), del private equity e del venture capital (finanziamento con capitale di rischio fornito da investitori professionali, a volte prodromico alla quotazione in Borsa).

I minibond

L’industria dei minibond cresce progressivamente in Italia dal 2013. Le PMI italiane emittenti di minibond fino al 30 giugno 2019 sono state 279, 19 delle quali affacciatesi sul mercato per la prima volta nel primo semestre 2019. Il controvalore collocato nei 12 mesi coperti dalla ricerca è stato di 756 milioni di euro, in contrazione rispetto agli 1,13 miliardi dell’anno precedente. Si tratta di un mercato importante che continuerà a crescere nel medio termine, soprattutto grazie alle operazioni di sistema dei ‘basket bond’.

Il crowdfunding

Partito in sordina contemporaneamente ai minibond, l’equity crowdfunding ha visto un ottimo tasso di crescita negli ultimi mesi, anche grazie all’estensione a tutte le PMI di questa opportunità, inizialmente riservata a startup e PMI innovative. Sono 369 le aziende italiane che fino al 30 giugno 2019 hanno provato a raccogliere capitale di rischio sulle piattaforme Internet autorizzate, assicurandosi attraverso 261 campagne chiuse con successo un funding pari a 82,27 milioni di euro. Si tratta in gran parte di piccole startup, ma si ci attende un buon tasso di crescita con le operazioni in ambito real estate. Nei 12 mesi analizzati la raccolta è stata pari a 49 milioni di euro, più del doppio del periodo precedente.

Le piattaforme di lending hanno erogato a titolo di prestito 156,3 milioni di euro fino al 30 giugno 2019, supportando circa 350 PMI italiane. Anche questo mercato è destinato a crescere, grazie all’afflusso di capitali annunciato da investitori professionali che si affiancheranno ai piccoli risparmiatori di Internet e all’apertura di nuovi portali. La raccolta nell’anno preso in esame è stata di 84,2 milioni di euro, in aumento dell’88% su quello precedente. Completa il quadro il reward-based crowdfunding, campagne di piccolo importo (soprattutto su portali USA come Kickstarter e Indiegogo) che imprese italiane hanno condotto offrendo in cambio prodotti e ricompense non monetarie: la raccolta effettuata ogni anno è stimata in 1,5 milioni di euro, senza prospettive di crescita rilevante per il futuro.

Invoice trading

Le piattaforme di invoice trading italiane hanno mobilitato fino al 30 giugno 2019 più di 1,5 miliardi di euro, di cui 939,3 milioni nei 12 mesi considerati (+91% rispetto all’anno prima). Va però notato che il ciclo di investimento in questo ambito è molto più corto, trattandosi della cessione a investitori professionali di fatture commerciali a scadenza mediamente 3-4 mesi, spesso utilizzate come sottostante per operazioni di cartolarizzazione. Molte delle risorse conteggiate sono quindi state reinvestite più volte nell’arco del periodo, e le stesse imprese hanno ceduto più fatture nel tempo. Si tratta dello strumento relativamente più utilizzato fra tutti quelli considerati e le prospettive per il futuro sono positive; si tratta di uno dei comparti che sta crescendo di più e l’unico preso in esame dove l’Italia regge il confronto in Europa.

Direct lending

Si tratta del segmento meno sviluppato al momento, perché ha toccato solo marginalmente le PMI, e in cui è più difficile raccogliere informazioni esaustive, non pubblicamente disponibili. Ad oggi sono poche le piccole e medie imprese italiane che hanno ottenuto un prestito diretto da fondi specializzati, per un importo intorno a 30 milioni di euro, di cui 8 nel periodo preso in esame (il doppio rispetto al precedente). Vi è però spazio per una crescita futura, poiché sono stati annunciati diversi fondi di investimento dedicati.

ICO e token offerings

Attraverso le Initial Coin Offerings (ICO) è possibile raccogliere capitale su Internet offrendo in sottoscrizione token digitali e disintermediando completamente piattaforme terze e circuiti di pagamento tradizionali. Grazie alla tecnologia blockchain, i token consentono ai sottoscrittori di accedere a prodotti e servizi, a volte di partecipare attivamente al progetto imprenditoriale; sono spesso scambiati su piattaforme specializzate e questo rende labile il confine fra le ICO e la sottoscrizione di investimenti finanziari. La novità del 2019 è la consultazione avviata da Consob per studiare una possibile definizione e regolamentazione del collocamento di ‘cripto-attività’. Rispetto alla stima dell’anno scorso (80 milioni di euro raccolti) e considerando le ICO promosse da team costituiti per più del 50% da italiani, questo segmento ha raccolto nei 12 mesi esaminati solo 5 milioni di euro. Il flusso di offerte a livello mondiale è stato infatti decisamente condizionato dalla volatilità dei prezzi delle criptovalute e dagli interventi delle autorità di mercato, soprattutto negli USA.

Private equity e venture capital

Completano il quadro gli investimenti effettuati da soggetti professionali nel campo del private equity e del venture capital, i quali sottoscrivono capitale di rischio di imprese non quotate con l’ambizione di contribuire attivamente alla loro crescita per poi ottenere una plusvalenza al momento dell’exit.  Questi investitori negoziano contratti e patti complessi con gli imprenditori, cosa che non accade ad esempio nell’equity crowdfunding, dove il potere contrattuale dei sottoscrittori è molto basso.

Benché attivo da tempo, il mercato italiano del private equity e del venture capital è ancora sotto-dimensionato rispetto alla situazione di Regno Unito, Germania, Francia. Si considerino le statistiche periodiche pubblicate dall’associazione di riferimento AIFI: prendendo in esame solo le operazioni di early stage ed expansion (dove tipicamente l’investimento viene effettuato con un aumento di capitale e con l’apporto quindi di nuove risorse) e ipotizzando, cosa non scontata, che tutte le operazioni nei due sotto-comparti riguardino PMI, da luglio 2018 a giugno 2019 si è avuto un flusso di 331 milioni di euro per l’early stage (su 164 deal) e di 857 milioni per l’expansion (per 47 aziende), per un totale di 1,19 miliardi.

Il commento

“Il mercato della finanza alternativa, o per meglio dire complementare, al credito bancario per le PMI continua a crescere in Italia, come nel resto d’Europa: nuovi attori si affacciano sulla scena e c’è attenzione anche dal mondo della politica, interessata a far affluire risorse verso l’economia reale”, commenta Giancarlo Giudici, estensore della ricerca e professore associato di Finanza aziendale. “Ciò ha facilitato l’accesso al capitale e ha consentito a tante piccole e medie imprese italiane di incrementare la propria competitività e di ottenere vantaggi in termini di accresciute competenze manageriali, visibilità sul mercato, opportunità di investimento”.

“Un trend che ci pare interessante – prosegue Giudici – è la sempre maggiore integrazione fra i diversi segmenti della finanza alternativa. I player specializzati in singole filiere, ora – anche in risposta a evoluzioni graduali della normativa, che mirano a incrementare la competitività dell’ecosistema con nuovi canali di finanziamento – si propongono come attori globali, con soluzioni diversificate e mirate: piattaforme di equity crowdfunding collocano minibond, portali di invoice trading fanno anche operazioni di lending, business angel sono attivi nell’equity crowdfunding. Accanto al modello della ‘banca universale’ sta dunque emergendo un ecosistema a rete che ambisce a diventare partner delle imprese in tutto l’arco della loro vita”.

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Nicoletta Pisanu

Giornalista, collabora da anni con testate nazionali e locali. Laureata in Linguaggi dei Media e in Scienze sociali applicate all'Università Cattolica di Milano, è specializzata in cronaca.

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