“Dobbiamo trovare il coraggio di investire in innovazione, e questa è l’unica strada: dobbiamo essere più competitivi e dobbiamo farlo attraverso l’innovazione e poi da lì viene tutto il resto. Le competenze ci sono perché questo non è un paese in declino ma è una nazione dove c’è tanta intelligenza e capacità umana”. Giorgio Metta, il direttore dell’IIT, l’Istituto Italiano di Tecnologia, che ha sede a Genova, traccia una ricetta semplice per la crescita del nostro paese, puntare sull’innovazione. E questo è ciò che sta facendo l’istituto che, con i suoi laboratori, da 10 anni, è un’eccellenza del nostro paese.
Il neo direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, che ha preso il testimone da Roberto Cingolani, ha fatto il punto sullo stato della ricerca dell’IIT, ma anche sulle sfide strategiche alle quali è chiamato il nostro paese. Ne ha parlato nella puntata di Italia 4.0, la trasmissione condotta da Andrea Cabrini in onda su Class Cnbc (qui la replica in streaming). Una trasmissione da si è aperta con un’intervista al ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli sulle modifiche al Piano Impresa 4.0 e le vicende Alitalia e Ilva.
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Ruolo e numeri dell’Istituto Italiano di Tecnologia
L’IIT, è un centro di ricerca, finanziato dallo stato con circa 91 milioni di euro (l’80% è destinato ad attività tecnico-scientifiche) e sotto la vigilanza dei ministeri dell’Economia e delle Finanze e dell’Istruzione, Università e Ricerca, con l’obiettivo di promuovere l’eccellenza nella ricerca di base e nel trasferimento tecnologico, per favorire lo sviluppo del sistema economico nazionale.
Il quartier generale dell’IIT è a Genova, dove lavorano 1.711 persone, provenienti da 60 paesi del mondo con un’età media di 35 anni. Il 50% dei ricercatori proviene da paesi esteri. L’IIT ha già creato 21 Start up e oltre 30 progetti di startup e business ideas.
“Ho iniziato quando abbiamo aperto i primi i laboratori – ricorda Metta – mi occupavo di robotica e ho seguito la crescita dell’Istituto dalle 50 persone iniziali alle 1.700 di adesso. L’Istituto italiano di tecnologia è un bellissimo luogo con scienziati di altissimo livello. Qui facciamo ricerca e portiamo avanti un piano di trasferimento tecnologico. Per realizzare l’IIT siamo andati a vedere cosa si fa in Europa, nel mondo e l’abbiamo portata in Italia. Per esempio il recruitment dei ricercatori lo facciamo attraverso una call internazionale. Abbiamo un percorso di valutazione che può essere dai 5 ai 7 anni, e solo in quel momento il ricercatore viene stabilizzato, e questa è una cosa un po’ diversa da quello che si faceva prima”.
Dal calcolo computazionale alle neuroscienze la ricerca è sempre più interdisciplinare
Il piano strategico dell’IIT consiste in 16 priorità scientifiche che sono state raggruppate in 4 domini di ricerca: robotica, nanomateriali, scienze della vita, scienze computazionali. “Ma la ricerca sta diventando sempre di più interdisciplinare – sottolinea Metta – e quindi abbiamo, per esempio, un team che studia le reti neurali biologiche con ricercatori che prendono quei risultati e li trasformano in modelli computazionali, mentre altri cercano di capire come queste reti vadano a impattare con il comportamento. Messe insieme tutte queste cose ci consentono di sviluppare, per esempio sia la comprensione delle patologie sia nuovi algoritmi per l’intelligenza artificiale”.
Non solo iCub, il robot diventa anche fisioterapista
Uno dei progetti simbolo dell’IIT di Genova è iCub, il robot bambino che negli anni ha sviluppato sempre maggiori potenzialità (ne sono stati venduti 40 in tutto il mondo) ma a questo si sono affiancati altre 4 piattaforme robotiche molto interessanti, e una startup , Movendo Technology, che ha già immesso sul mercato 40 robot fisioterapisti.
“Abbiamo una robotica che è già praticamente sul mercato, con una startup che sta portando sul mercato robotica per la riabilitazione – spiega Metta – per la quale abbiamo un progetto con l’INAIL. Ma stiamo studiando anche robot che possano dare supporto al lavoratore, per prevenire l’incidente. Se io posso alleviare la fatica, nel corso del tempo avrò meno incidenti. E questo è una delle cose che si possono fare con gli esoscheletri, dove a fare fatica sono i robot, invece delle, persone”.
Intelligenza artificiale e nuovi materiali, ecco le frontiere della robotica
Lo studio della robotica, quindi, si sta muovendo su due direzioni importanti: quella dell’intelligenza artificiale e quella su come realizzare proprio il corpo dei robot anche attraverso la soft robotics. “Mi aspetto un impatto interessante dei nuovi materiali – spiega – nella realizzazione dell’hardware dei robot. Queste sono le aspettative visto che le macchine che abbiamo adesso, anche se sembrano robuste, nella pratica si rompono un po’ troppo spesso. Dovremo immaginare ad esempio, robot soffici, che potremo costruire grazie ai nuovi materiali”.
Per quello che riguarda invece l’intelligenza artificiale Metta rassicura: “Non siamo arrivati a poter sostituire l’uomo con le macchine. Praticamente tutti gli scienziati del mondo pensano che ci sia la possibilità di avere robot autonomi non prima di almeno 50 anni. Io vedo, invece, a breve termine, un sistema in cui l’essere umano mette l’intelligenza è la macchina mette la forza. Questo, in poche parole, è quello che si vorrebbe fare. Quindi l’uomo al centro, perché noi siamo quelli che danno il comando e il robot esegue”.
Verso una robot valley che ruota attorno all’IIT di Genova
Piccole e medie imprese che, in un campo di successo come la robotica, stanno creando un tessuto industriale che ruota attorno all’eccellenza dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Una sorta di “robot valley” genovese. “Questa è una delle azioni che vorrei provare a spingere – sottolinea Metta – perché abbiamo visto che intorno a noi, a Genova, si è cominciato a formare un nucleo di aziende che ha un interesse enorme nel campo della robotica e nel portare queste soluzioni effettivamente sul mercato”.
“Quello che vorremmo fare, quindi, è proprio mettere a sistema queste aziende e portare vicino a noi, magari anche una serie di altri attori che possono aiutare a capire i business plan per l’azienda, ma anche a stimare come l’innovazione andrà a impattare sul modello di business di queste imprese. E poi anche aziende che ci aiutino a fare il design dei nostri prodotti, quindi non solo la tecnologia, che è ciò che sappiamo fare benissimo, ma anche tutto quello che ci ruota intorno”.
Life sciences, tecnologia e digitale per una medicina su misura
Un altro tema sviluppato con successo da IIT è quello della life science, la scienza umana, ovvero quel campo della ricerca che va direttamente a sperimentare, anche con modalità molto innovative, il tema della identificazione dell’origine genetica delle malattie, e poi anche la soluzione.
“Stiamo sperimentando un percorso su Genova, con delle collaborazioni con gli ospedali cittadini”, continua Metta. “Oggi siamo in grado di analizzare il genoma e di farne il sequenziamento, ma abbiamo messo in piedi tutta una parte informatica che consente di trovare in maniera semiautomatica le mutazioni. E poi abbiamo una parte che si occupa di cercare di capire, anche attraverso delle simulazioni, come può essere progettato un farmaco per correggere i problemi derivanti da una certa patologia”.
Si tratta di una disciplina nuova e trasversale. “Abbiamo il biologo, il genetista, l’ingegnere computazionale, e poi abbiamo il fisico che realizza le simulazioni e abbiamo chi si occupa di farmaci. Ci deve essere per forza un mix di competenze. Stiamo parlando di una serie di malattie gravissime. All’IIT tipicamente ci occupiamo di quelle da neurosviluppo. L’idea – prosegue Metta – è quella proprio di completare questo percorso e arrivare finalmente a poter progettare, quasi ad hoc, i farmaci per ogni singola patologia”.
Dalla ricerca all’industria, il ruolo dei Competence Center per supportare le Pmi
Il passo successivo, dopo la ricerca, è quello dell’industrializzazione dei progetti che devono inserirsi in un tessuto produttivo composto, principalmente, da piccole e medie aziende.
“C’è ancora un gap importante da colmare – continua Metta – perché noi riusciamo a fare dei dimostratori ma, per arrivare in produzione, bisogna avere delle macchine che possono essere prodotte su scala più ampia, e questo è difficile. I Competence Center ci daranno la capacità di arrivare alle aziende. E se questa sperimentazione si rivelerà di successo e sarà duratura nel tempo – conclude Metta – avremo forse trovato la strada giusta per il nostro paese”.