Le tecnologie innovano e trasformano i modelli di business, e la grande svolta della servitizzazione cambierà anche il mondo dell’industria: dal tradizionale mercato e dall’offerta di prodotti, in molti casi si passerà sempre più alla vendita di efficienza e servizi. Perché? Perché spesso conviene, a tutte le parti in gioco: produttore di tecnologie e soluzioni, da una parte; e utente dei loro servizi (quindi non più semplice acquirente delle macchine), dall’altra.
Delle prospettive di sviluppo della servitizzazione all’interno della manifattura, nel contesto della quarta rivoluzione industriale – Industria 4.0, sono state tracciate nel corso del convegno ‘Nuovi modelli di business per l’impresa che evolve. Acquisto o Pay per use?’ organizzato a Milano dall’Aidam, l’Associazione italiana di automazione e meccatronica che quest’anno celebra il suo ventennale.
“Produrre e offrire solo macchine non basta più, anche perché la forte concorrenza internazionale, in primis della Germania, rende i margini di profitto sulla vendita sempre più limitati”, spiega il presidente di Aidam, Michele Viscardi. Che rimarca: “Occorre fornire servizi, con strumenti a noleggio, in molti casi bisogna ormai cambiare completamente il modello di business, in un percorso verso la servitizzazione”.
Il principio, e il modello di business, è già evidente in settori completamente diversi, come dimostrano gli ormai noti esempi di Uber, il colosso mondiale della mobilità privata senza possedere neppure un’automobile; o Airbnb, il più grande protagonista dell’ospitalità a livello globale, senza possedere neanche una camera.
È il passaggio epocale dal possesso di un bene o strumento all’accesso a quel bene o servizio, fatto crescere dalla Sharing economy. Niente di particolarmente nuovo rispetto a prima, l’affitto di un bene è sempre esistito. La novità eclatante è che le nuove tecnologie rendono il meccanismo molto più profittevole, gestibile e a portata di mano.
E oggi, in pratica, quello che già vale in settori di attività più ‘tradizionali’, apre le porte del cambiamento anche nel mondo dell’automazione, meccatronica, tecnologie industriali.
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Cambiano i modelli di business
“Con il modello di business della servitizzazione, cambia anche la relazione del produttore con il cliente, perché non si vende più il prodotto, ma l’uso del prodotto. Cambia il modo di ottenere valore”, sottolinea Sergio Terzi, direttore dell’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano. Che rileva: “Tutto questo è possibile perché c’è un mercato che cambia il modo e il profilo di consumo, c’è un mercato che accetta una proposta diversa rispetto a prima”.
Ci sono già molti esempi di servitizzazione di successo in settori molto diversi tra loro, come nel caso di Rolls Royce, Xerox, Caterpillar, che hanno saputo intercettare per tempo una tendenza. Mentre chi non capisce come cambia il proprio business rischia di uscire dal mercato. L’esempio più eclatante è quello di Blockbuster: i film dalle cassette e Dvd sono diventati digitali, e l’azienda è rimasta con il cerino in mano.
Produttori al centro dell’economia circolare
Oltre alla servitizzazione nella manifattura, un’altra tendenza in forte espansione è quella dell’economia circolare, che recupera e ‘spreme’ ogni risorsa, riducendo gli sprechi e ottimizzando i guadagni.
“L’economia circolare diventa profittevole se recupera non tanto i materiali ma le funzioni già utilizzate”, rileva Tullio Tolio, docente di Tecnologie e sistemi di lavorazione al Politecnico milanese. Che anticipa: “i costruttori di beni strumentali possono essere al centro dell’economia circolare perché possiedono, più di chiunque altro, la conoscenza approfondita di quel bene o strumento. Il produttore sa come è stato progettato, costruito, utilizzato. Ha tutta la conoscenza storica di quella macchina o tecnologia”.
In più, con la servitizzazione, il produttore resta proprietario non solo della macchina, ma anche di tutti i suoi dati, di tutti i dati generati dal suo funzionamento. “E chi detiene la conoscenza della produzione sarà l’attore principale dell’economia circolare”, prevede il docente del Politecnico di Milano, guardando al futuro con una suggestione: “l’Italia è uno dei maggiori produttori al mondo di beni strumentali, quindi, in questo modo, controllando la conoscenza delle macchine, e i dati che producono, potrebbe arrivare a controllare la produttività mondiale”.
I vantaggi della servitizzazione
Nello scenario della servitizzazione e dell’approccio ‘circolare’ alle attività di business, per il produttore e fornitore di macchinari, sistemi e servizi, i vantaggi possono essere diversi:
– il mercato cresce con il noleggio di strumenti e servizi: diventa accessibile anche alla platea molto più vasta che non potrebbe permettersi l’acquisto. È lo stesso principio che vale per soggiornare in una villa con piscina di Airbnb
– c’è un effetto fidelizzazione del cliente e utente, dato che il rapporto con il produttore non termina con l’acquisto del bene, ma continua nel tempo
– il produttore, in questo modo, mantiene anche un maggiore controllo sulla configurabilità e lo sviluppo dei sistemi
– il produttore guadagna anche sulla manutenzione delle macchine
– e centralizza la gestione dei guasti
Allo stesso modo, ci sono importanti vantaggi anche per chi affitta:
– può accedere e usare lo strumento e il suo servizio senza dover sostenere la spesa di acquistarlo, con costi immediati e complessivi molto più bassi
– non avendo la proprietà non subisce neanche l’obsolescenza dei macchinari
– può quindi cambiarli e rinnovarli con molta più facilità e flessibilità, a seconda di esigenze diverse e che cambiano nel corso del tempo
– può provare a usare macchinari e soluzioni anche in via sperimentale, e non definitiva; ad esempio, per quanto riguarda nuove tecnologie che nella fase iniziale evolvono rapidamente
“Più la tecnologia è nuova, e non ancora stabile ed evoluta, più è vantaggiosa la sua servitizzazione, anche perché non mi prendo il rischio della sua obsolescenza”, rimarca Roberto Vavassori, direttore dello sviluppo commerciale e marketing di Brembo Group.
Ci sono almeno 3 divari da colmare
Per fare tutto questo, fa notare Sergio Cavalieri, docente di Trasferimento tecnologico e innovazione all’Università di Bergamo, “occorre colmare un divario su più fronti: culturale, per passare da una cultura industriale a una del Service; un Gap organizzativo, perché occorre ingegnerizzare e fornire servizi e processi, non prodotti, e cambia quindi anche la catena di fornitura; e poi un divario nelle politiche di Pricing, calibrato non sullo strumento ma sulla continuità e sull’efficienza del servizio”.
Un caso già molto concreto è ad esempio quello di Goglio, multinazionale specializzata in sistemi di confezionamento, soprattutto per il settore alimentare, fondata nel 1850 e che nel 2018 ha fatturato 375 milioni di euro, di cui il 28% in Europa, il 72% nel resto del mondo.
“Con Lavazza da qualche anno abbiamo un accordo di fornitura dei macchinari in base al quale il nostro guadagno è calcolato sull’efficienza delle linee di produzione, in pratica su quanti pacchetti sottovuoto di caffè vengono prodotti in un dato periodo di tempo”, fa notare Luciano Sottile, direttore della divisione macchine di Goglio: “in questo modo, efficienza è uguale a guadagno, è uguale a fattura al cliente”.
Meccatronica italiana troppo ‘piccola’
Il ‘compleanno’ milanese di Aidam è stato anche l’occasione per fare il punto sulla meccatronica italiana. E il presidente dell’Associazione guarda a oggi ma soprattutto al futuro: “a questo punto del percorso, per svilupparsi ulteriormente, e continuare a competere in maniera adeguata sui mercati internazionali, il nostro settore – che vale diversi miliardi di euro, anche se non ci sono stime complessive precise –, deve affrontare e risolvere la questione dimensionale. Che è ormai una questione fondamentale”.
Moltissime aziende Made in Italy hanno dai dieci ai trenta dipendenti, sono troppo piccole per competere ad armi pari ad esempio con il principale concorrente, la Germania, dove la dimensione aziendale più diffusa arriva a cento o centocinquanta dipendenti. E ogni altro dato è in proporzione.
L’aggregazione come via per la crescita
Molte imprese nostrane, poi, “hanno proprietà e gestione familiare, ma con il passaggio generazionale, se l’azienda non cresce e non si sviluppa, il rischio è quello di rimanere ai margini, e che tutto il bagaglio di imprenditorialità e competenze venga perduto”, ammonisce Viscardi. Secondo il presidente d Aidam, le realtà del settore devono crescere dimensionalmente da ogni punto di vista: finanziario, produttivo, organizzativo, strategico, di mercato.
“Una via per crescere è quella dell’aggregazione aziendale”, sottolinea: “ci vuole più aggregazione, anche tra imprese ora concorrenti, perché ormai la concorrenza vera, e da affrontare, non è più con gli altri imprenditori e specialisti italiani, ma è con la Germania, il Giappone e il resto del mondo”.
Aggregarsi, unirsi, mettere insieme le forze, sono concetti e prospettive che fanno venire i brividi e tolgono il sonno a molti imprenditori italiani. Ma forse è meglio perdere qualche ora di sonno, piuttosto che rimanere con il cerino in mano.