L’Italia spende meno nell’istruzione universitaria rispetto agli altri Stati europei. È quanto emerge da un’analisi di Alessandro Caiumi dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che partendo dai dati formula un’analisi della situazione del nostro Paese. Il paper completo è disponibile sul sito dell’Osservatorio.
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I dati dell’Osservatorio
Come riportato nell’analisi, nel 2017 la spesa per la pubblica istruzione è stata pari a 66,1 miliardi di euro, di cui 25,1 miliardi per l’istruzione primaria (prescolastica e elementare), 30,4 miliardi per quella secondaria (scuole medie, scuole superiori e istruzione post-secondaria non-terziaria), 5,5 miliardi per quella universitaria e i restanti 5,1 miliardi per servizi sussidiari e altre categorie residuali.
Come rivela l’analisi della Cattolica, l’Italia è stata l’unico paese dell’Unione Europea in cui la spesa per interessi sul debito pubblico (e altre spese collegate), pari a 69 miliardi nel 2017, ha ecceduto quella per l’istruzione (per 0,2 punti percentuali di Pil). Mentre l’ultimo caso analogo in Europa è rappresentato dalla Grecia nel 2012, per il nostro Paese questo fatto si ripropone annualmente dal 2011.
La spesa pubblica italiana per istruzione in percentuale di Pil, pari al 3,8 per cento nel 2017, è ben al di sotto della media europea (4,6 per cento). L’Italia si colloca nelle ultime posizioni in Europa, seguita solamente da Bulgaria, Irlanda e Romania. Se invece si considera la spesa pubblica per istruzione in percentuale di spesa pubblica totale, l’Italia è all’ultimo posto in Europa con solo il 7,9 per cento a fronte di una media europea del 10,2 per cento. Dal 2007, prosegue lo studio, la spesa per l’istruzione in percentuale di spesa pubblica totale è scesa di quasi due punti percentuali. Nello stesso intervallo di tempo di tempo la media UE è invece calata solo leggermente, passando dal 10,6 per cento al 10,2 per cento, il che significa che l’Italia oggi è più distante dalla media UE di quanto non lo fosse prima della crisi.
L’istruzione universitaria
Come riporta lo studio dell’Osservatorio, i dati più preoccupanti riguardano l’istruzione universitaria. Mentre nel 2017 l’Italia riportava cifre in linea con la media europea per l’istruzione primaria e secondaria (1,5 e 1,7 per cento del Pil rispettivamente, a fronte di medie UE di 1,5 e 1,9 per cento), si apre un grosso divario quando si considera la spesa per istruzione terziaria. Lo Stato ha speso, infatti, solo lo 0,3 per cento del Pil per istruzione terziaria, nemmeno la metà della media europea dello 0,7. In questa voce l’Italia è all’ultimo posto in Europa, a pari merito con il Regno Unito.
Una possibile ipotesi è che la bassa spesa per pubblica istruzione si debba alla struttura demografica della popolazione, ossia che l’Italia spenda meno dei partner europei poiché ha meno giovani.
Il legame con il numero di laureati
Lo studio precisa che la carenza di spesa pubblica per l’istruzione universitaria è legata alla percentuale di persone che conseguono una laurea: si tratta solo del 26,9 per cento in Italia, meno della media europea del 39,9 per cento. Se da un lato è possibile che minori risorse impiegate non creino le condizioni ottimali per il conseguimento della laurea, non si può però escludere che tra le spiegazioni del basso numero di laureati vi sia una bassa propensione ad iscriversi all’università a causa dei rendimenti attesi.
Le prospettive infatti secondo lo studio non sono colme di ottimismo: in Italia, rivela l’Osservatorio, gli adulti laureati guadagnano in media solo il 38 per cento in più di coloro che dopo la scuola superiore non hanno proseguito gli studi, mentre la media OCSE è del 55 per cento in più. Questo fatto potrebbe essere motivato dalla scelta del percorso universitario: in Italia, infatti, la percentuale di laureati in discipline umanistiche, in media meno remunerative nel mercato del lavoro, è più alta rispetto agli altri paesi (il 39 per cento contro una media del 23).
Liberare risorse con la lotta agli sprechi
Lo studio conclude che, anche tenendo conto degli aspetti demografici, l’Italia spende meno in istruzione terziaria rispetto agli altri paesi europei. Pur essendo difficile stabilire se la bassa percentuale di laureati sia un problema di domanda (i giovani non sono interessati ad iscriversi o a portare a termine il percorso) o di offerta (si spende meno e ciò riduce la qualità nell’istruzione terziaria e quindi l’interesse degli studenti), ciò non toglie che una seria lotta agli sprechi in altri settori potrebbe liberare risorse da far confluire nell’istruzione universitaria. Anche alla luce dell’effetto che l’istruzione terziaria ha sull’inserimento nel mercato del lavoro e sulla formazione del capitale umano, sarebbe auspicabile assestarci su una spesa per l’università più vicina alle medie UE ed OCSE.