Venerdì scorso Elon Musk, il proprietario di Tesla e SpaceX, è intervenuto in TV nel corso di un dibattito sulle elezioni presidenziali americane e ha detto, senza mezzi termini, che i benefici in termini di produttività garantiti dalle soluzioni di automazione, uniti alle trasformazioni nel mercato del lavoro, faranno sì che si creino le condizioni per un reddito universale garantito.
Ecco le sue parole
There’s a pretty good chance we end up with a universal basic income, or something like that, due to automation. I’m not sure what else one would do. That’s what I think would happen.
Penso che ci siano ottime possibilità che alla fine arriveremo a un reddito universale garantito, o a qualcosa di simile, grazie all’automazione. Non vedo alternative. Questo credo che accadrà.
Naturalmente l’UBI sarebbe una conquista sociale molto importante, spiega Musk
People will have time to do other things, more complex things, more interesting things. Certainly more leisure time.
Avremo tempo di fare altre cose, magari più complesse e più interessanti, e sicuramente più tempo libero.
Non è la prima volta che si sentono pensieri su questa linea. La tesi di fondo è sempre la seguente: l’automazione favorisce l’aumento di produttività del fattore capitale, ma rende progressivamente superflue alcune figure lavorative (inizialmente si tratta degli operai addetti a compiti ripetitivi e pericolosi, ma poi… chissà). Il sistema economico si trova quindi nelle condizioni di produrre di più con meno (condizione di base perché si generi un aumento dei profitti) e può quindi sostenere i cittadini con una sorta di salario “gratis”, che supporterebbe naturalmente la domanda nazionale.
Perché Musk si sbaglia
Premesso che l’economia è tutto fuorché una scienza esatta, a mio avviso questo ragionamento contiene diversi errori concettuali. Il primo è che le grandi aziende che fruiscono per prime dei benefici dell’automazione e della robotizzazione hanno interessi che non necessariamente coincidono con quelli di sistema. C’è un aumento di produttività del fattore capitale? Si reinveste in ulteriore tecnologia o in operazioni di M&A e si aumentano i dividendi. Quando la domanda interna inizierà a calare per via della riduzione dell’occupazione, potranno rivolgersi ad altri mercati e attendere eventuali sussidi statali, ai quali contribuiranno nella stessa misura degli altri contribuenti.
Secondo punto. Lo scenario però potrebbe essere diverso: l’aumento di produttività del fattore capitale fa diminuire i costi di produzione e spinge le aziende a ridurre i prezzi per guadagnare competitività sui mercati internazionali. La riduzione dei prezzi consente inoltre di andare incontro, in una prima fase, alla riduzione del potere di acquisto del mercato interno.
Terzo punto. L’automazione e la robotizzazione potrebbero semplicemente non condurre a una progressiva ma inarrestabile contrazione della forza lavoro. Questo per esempio è quello che insegna la storia: la produttività del fattore capitale è cresciuta in maniera costante nel corso delle diverse “rivoluzioni”, mentre l’occupazione più che diminuire si è trasformata. Potrebbe essere questo quello che accadrà ora. Ma come? Nel breve termine, le aziende avranno bisogno di risorse per apprendere e implementare le nuove tecnologie; poi ci sarà la richiesta di nuove figure come il “data scientist“. Per dirla con un esempio fatto dallo stesso Musk, i camionisti si trasformeranno in gestori di flotte. Sarà un cambio 1 a 1? Probabilmente no. Ma si creeranno anche lavori nel comparto dei servizi collegati alla manifattura. Il saldo finale, nel lungo periodo, potrebbe non essere negativo, soprattutto nell’Europa Occidentale e negli Stati Uniti dove potremmo anche assistere a fenomeni non sporadici di reshoring (ne parla qui Marco Taisch), rientro in patria di fabbriche precedentemente delocalizzate proprio perché il peso della componente Lavoro sulla produttività complessiva tenderà a diminuire.
C’è poi da fare un’ultima considerazione. Davvero immaginiamo un mondo nel quale le macchine creano ricchezza e gli uomini se la spassano? La mia impressione è che saremo innanzitutto noi a non volerlo. Non lo hanno voluto, per esempio, i cittadini Elvetici, chiamati a esprimersi quest’anno in un referendum sull’introduzione di un reddito di cittadinanza di oltre 2.000 euro. Perché svolgere “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”, per dirla con l’articolo 4 della nostra Costituzione, se è vero che non sempre “nobilita l’uomo”, ci permette di arricchirci di competenze e di esprimerci in un contesto sociale che è una componente non trascurabile del nostro modo di vivere. Almeno di quello che conosciamo finora.
Del tema delle nuove professionalità parleremo il 2 dicembre in una tavola rotonda da me moderata e organizzata da Messe Frankfurt intitolata “Tecnologia e Professionalità per la quarta rivoluzione industriale” presso la sede del Corriere della Sera in via Balzan a Milano. La partecipazione è gratuita previa preregistrazione.