Formazione continua, l’OCSE bacchetta l’Italia: se ne fa poca (e male)

Per stare al passo con le trasformazioni del mondo del lavoro servono percorsi di formazione continua in grado di offrire ai lavoratori le giuste competenze. Invece nell’area OCSE – e ancor più in Italia – si fa poca formazione e se ne fa ancor meno proprio per quei soggetti che sono maggiormente esposti al rischio.

Pubblicato il 13 Feb 2019

Training-1

Le nuove tecnologie, la globalizzazione e l’invecchiamento della popolazione stanno cambiando la quantità e la qualità dei posti di lavoro e le competenze richieste. Fornire migliori opportunità di qualificazione e riqualificazione ai lavoratori interessati da questi cambiamenti è fondamentale per garantire che il futuro sia un’opportunità per tutti. Questo, in sintesi, è il punto di partenza del nuovo report realizzato dall’OCSE intitolato Getting Skills Right: Future-Ready Adult Learning Systems: uno studio che giunge alla conclusione che molti paesi dell’OCSE devono urgentemente ampliare e migliorare i loro sistemi di formazione continua per gli adulti per aiutare le persone ad adattarsi alle mutate esigenze del mondo del lavoro. Tra questi, nemmeno a dirlo, l’Italia.

Si fa poca formazione e meno ancora laddove servirebbe di più

Nell’area OCSE oggi solo il 40% degli adulti prende parte ad attività di istruzione o formazione. E gli adulti meno qualificati hanno tre volte meno probabilità di ricevere formazione rispetto a quelli altamente qualificati (20% contro 58%). Altri gruppi penalizzati sono gli anziani, i lavoratori a basso salario, i lavoratori temporanei e i disoccupati.

L’analisi dell’OCSE indica che solo un posto di lavoro su sette è a rischio di piena automazione, ma un buon 30% cambierà radicalmente. Ciononostante, le persone che fanno lavori più a rischio svolgono anche meno formazione (40%) rispetto ai lavoratori con lavori a basso rischio (59%).

Parte del problema è la mancanza di motivazione a partecipare alla formazione: in tutta l’OCSE, circa la metà degli adulti non vuole seguire una formazione. Un altro 11% vorrebbe, ma non lo fa a causa di ostacoli quali la mancanza di tempo, denaro o sostegno da parte del datore di lavoro.

La relazione sottolinea l’importanza di una formazione di buona qualità che offra competenze in linea con le esigenze del mercato del lavoro. La formazione obbligatoria, ad esempio in materia di salute e sicurezza sul lavoro, assorbe in media il 20% delle ore di formazione nei paesi europei (in Italia, come vedremo, si arriva al 30%). Questa formazione è certamente necessaria, ma dovrebbe essere integrata con altre opportunità che consentano di sviluppare competenze che mettano in grado i lavoratori di mantenere il proprio posto di lavoro o trovare nuove opportunità di carriera.

In Italia? Va peggio: solo un adulto su cinque fa formazione

Se lo scenario complessivamente disegnato dall’OCSE non è certo rincuorante, la situazione per l’Italia, alla quale l’OCSE ha dedicato una nota specifica, è persino peggiore.

Secondo l’OCSE in Italia c’è tanto da fare sul fronte della formazione continua, e c’è “urgenza”. Intanto perché – si legge nel rapporto – il 50,7% dei posti di lavoro ha un rischio significativo di automazione. Ma anche per altre ragioni. Intanto in Italia ci sono 3,5 persone anziane ogni 10 adulti adulti in età lavorativa, il più alto tasso nell’OCSE dopo il Giappone. In secondo luogo, il 38% degli adulti ha scarsi livelli di competenze linguistiche o matematiche, uno dei livelli più bassi tra i paesi OCSE.

In questo contesto, dice l’OCSE, “rinnovare il sistema di formazione continua è fondamentale per consentire agli adulti di accedere ad opportunità di formazione che siano rilevanti e allineate ai fabbisogni del mercato”.

Il sistema di formazione continua italiano, prosegue la reprimenda, dovrebbe essere più inclusivo. “Nonostante i miglioramenti registrati negli ultimi anni, oggi solo il 20,1% degli adulti partecipa ad attività di formazione, la metà rispetto alla media OCSE. Questa percentuale scende al 9,5% per gli adulti con competenze basse e al 5,4% per i disoccupati di lunga durata”.

Inoltre “l’allineamento della formazione continua ai fabbisogni del mercato lascia a desiderare. Sebbene un’ampia quota di imprese con almeno 10 dipendenti dica di valutare il proprio fabbisogno di competenze, l’Italia è uno dei paesi OCSE con la più bassa corrispondenza tra priorità identificate e attività di formazione erogate”.

E questo, prosegue l’analisi, senza contare le imprese più piccole che costituiscono l’ossatura del tessuto produttivo italiano e per le quali la valutazione dei fabbisogni e la formazione rimangono “concetti lontani”.

In Italia, infine, oltre il 30% delle ore si focalizza sulla formazione obbligatoria su salute e sicurezza: uno dei tassi più alti tra i paesi OCSE.

Infine la formazione continua in Italia richiede finanziamenti più adeguati e sostenibili. La spesa pubblica per la formazione nel contesto delle politiche attive del lavoro è molto bassa rispetto ad altri paesi OCSE e pochissime sono le imprese che beneficiano di sussidi pubblici o incentivi fiscali per fornire formazione.

Inoltre negli ultimi anni il prelievo da parte del governo di una parte delle risorse destinate ai fondi interprofessionali ha ulteriormente ridotto le risorse disponibili per la formazione continua.

Certo, ci sono dei segnali positivi. Ad esempio il contratto collettivo del settore metalmeccanico, che stabilito l’obbligo per le imprese di formare i lavoratori per 26 ore ogni tre anni.

Le raccomandazioni

Che cosa si dovrebbe fare per la formazione continua? L’OCSE suggerisce cinque azioni:

  • Rendere la formazione più inclusiva e accessibile a tutti, per esempio sensibilizzando gli adulti sull’importanza della formazione, informandoli sulle opportunità disponibili e incoraggiando le imprese – soprattutto le PMI – a formare;
  • Allineare la formazione ai fabbisogni, ad esempio assicurandosi che imprese e adulti facciano buon uso del patrimonio informativo esistente sui fabbisogni di competenze;
  • Migliorare la qualità della formazione, uniformando gli standard di qualità dei sistemi di accreditamento regionali, e pubblicando informazioni sulla qualità degli enti di formazione;
  • Garantire finanziamenti adeguati, ad esempio attraverso risorse pubbliche che si aggiungano al contributo già versato dalle imprese ai Fondi Interprofessionali;
  • Migliorare il coordinamento tra vari attori, tra cui ministeri, regioni, Fondi Interprofessionali, centri per l’impiego, e Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA).

Valuta la qualità di questo articolo

Franco Canna
Franco Canna

Fondatore e direttore responsabile di Innovation Post. Grande appassionato di tecnologia, laureato in Economia, collabora dal 2001 con diverse testate B2B nel settore industriale scrivendo di automazione, elettronica, strumentazione, meccanica, ma anche economia e food & beverage, oltre che con organizzatori di eventi, fiere e aziende.

email Seguimi su

Articoli correlati

Articolo 1 di 4