La novità di quest’estate per la movida torinese è decisamente high-tech: ai Murazzi ha infatti aperto “RoboTO. Un club estivo sull’innovazione”, uno spazio a tema che esplora il nostro futuro tecnologico, in una galleria di prototipi robotici made in Torino. Come in ogni club che si rispetti, da RoboTO si va per stare insieme e si può bere un cocktail, ma attenzione: anche se all’interno di RoboTo è sempre presente uno staff di 4 persone, quel cocktail non è servito da camerieri o baristi. A ricevere gli ordini degli avventori è un display touch screen e a prepararli e servirli sul bancone ci pensano due bracci robotici Kuka. Noto ai passanti del lungo Po come “Nino”, il nome ufficiale di questa soluzione è MS3, Makr Shakr 3.0.
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Portare i robot fuori dalla fabbrica
L’intuizione di realizzare un bar robotico risale all’anno 2013, quando l’eclettico ingegnere e architetto torinese Carlo Ratti, professore al MIT, ebbe l’idea di sperimentare l’utilizzo dei robot industriali in un ambito diverso dalla fabbrica. Idea che gli valse la “convocazione” al Google IO di San Francisco, la kermesse tecnologica di Big G, dove nel maggio 2013 ha esordito la prima versione di Makr Shakr (si legge maker shaker). Il bar robotico conquistò i vertici della compagnia Royal Carribean, che volle installare un “bionic bar” in una delle sue navi da crociera. Oggi ci sono ben cinque Makr Shakr in giro tra Atlantico e Pacifico e altri due sono in forze a Las Vegas e nel Mississippi. Una versione dell’applicazione è stata anche protagonista a Milano in occasione di Expo 2015.
L’esperimento dei Murazzi, però, segna un ulteriore passo in avanti di questa applicazione, perché è con questa terza incarnazione che Makr Shakr sta assumendo una dimensione che non è più quella del (costoso) prototipo, ma del prodotto con tanto di “cartellino” fissato a 99 mila euro.
Una sperimentazione di successo
“Makr Shakr nasce di fatto come un esperimento sociale che voleva mettere alla prova nuove forme di interazione tra uomo e tecnologia, per comprendere come le tecnologie che stanno rivoluzionando l’industria potessero avere un impatto anche sulla vita di tutti i giorni del consumatore”, spiega Alessandro Incisa, CTO dell’azienda torinese. “L’idea ovviamente non è quella di sostituire il barista, ma far sì che le persone usino la tecnologia come elemento abilitatore di una creatività anche in chiave sociale e della personalizzazione”.
Makr Shakr non si limita a eseguire ricette preimpostate, ma può ricevere ordini personalizzati: i clienti, infatti, possono creare le proprie ricette “rivisitate”, condividerle sui social, migliorarle con il consiglio degli amici e infine ordinarle al barista meccanico per poi bere la bibita di loro invenzione. In altre parole, Makr Shakr 3.0 è un bar 4.0 a tutti gli effetti.
Che cosa c’è sotto il cofano
Makr Shakr 3.0 è un vero e proprio concentrato di tecnologia. Mentre nelle prime incarnazioni del progetto i due robot erano indipendenti tra loro e affiancati per raddoppiare la produzione, in questa terza incarnazione i due bracci si dividono i compiti: il primo si occupa di “shakerare” i cocktail; quando ha finito li passa al secondo robot che li serve al cliente. Il secondo braccio, inoltre, si incarica anche di preparare birra, vino e bevande che non devono essere mescolate. “Non si tratta solo di una cosa scenografica”, spiega Incisa. “Con questa divisione dei ruoli riusciamo in realtà a ridurre complessivamente il tempo di attesa del cliente”.
Le pinze dei robot, così come gran parte dei macchinari a bordo – dosatori, taglia limoni e lime, dispenser di ghiaccio, menta, zucchero, ecc. – sono stati customizzati da Makr Shakr specificamente per questo progetto.
L’applicazione di basa su un’architettura a più strati: un livello di interfaccia che prevede un’app per gli sviluppatori, con la quale vengono monitorate da remoto le funzioni del chiosco, gestiti i programmi e controllato lo stato dei componenti, e un’app per i clienti completa di “drink builder”; un server; un nodo linux-based che funge da raccordo tra il mondo esterno e il chiosco; l’automazione, governata da un PLC; e i controllori dei robot.
Dal punto di vista della sensoristica, sono stati utilizzati tre laser scanner che servono a definire il perimetro dell’area di scambio tra robot e cliente: un contributo fondamentale per la sicurezza al momento della consegna del cocktail. I robot Kuka utilizzati nell’applicazione, infatti, non sono collaborativi, ma agiscono in modalità “safe operations”: in pratica si fermano quando nell’area di scambio entra la mano del cliente.
Quale futuro?
“L’idea sta conquistando i clienti – spiega Incisa – e noi, dal nostro canto, siamo continuamente al lavoro per migliorare il progetto. Con questa incarnazione siamo riusciti di fatto a industrializzare il prototipo, trasformando un’applicazione da diverse centinaia di migliaia di euro in un prodotto che scende sotto la soglia dei centomila euro”.
Se la sperimentazione di nuove forme di interazione tra uomo e tecnologia è la giusta chiave di lettura per comprendere il “messaggio” di questo progetto, possiamo scommettere che Makr Shakr 3.0 non sarà l’ultima incarnazione di questo progetto e che in futuro non mancheranno altre sperimentazioni, come il possibile impiego di robot collaborativi. “È una tecnologia che potrebbe avere un ruolo molto importante in un’applicazione come questa – spiega Incisa – ma che non abbiamo ancora implementato a causa della poca chiarezza, a livello normativo, sugli aspetti di sicurezza”.