di Giovanni Manco, esperto in Digital Business Transformation
E’ un segno dei tempi che, mentre in Italia tutti stiamo lavorando per l’implementazione del modello di Industria 4.0, già si parli, sia pure con significati diversi, di Industria 5.0. C’è chi come il leader della Lega Matteo Salvini ne ha parlato di recente in termini di una rivisitazione degli incentivi del piano governativo Industria 4.0 per dare più sostegno alla trasformazione digitale delle Pmi, che rappresentano il 99,9% delle imprese italiane. Ma ci sono anche ricercatori, analisti e manager visionari che in Italia e nel mondo ne parlano come una prossima e naturale evoluzione di Industria 4.0. Il tutto nasce dal fatto che lo sviluppo delle tecnologie abilitanti di Industria 4.0 – in particolare dell’ICT, dell’AI e della robotica – sta proseguendo a ritmi serrati, con la conseguente realizzazione di CPS (Cyber Physical System) e oggetti IoT sempre più potenti, intelligenti e di dimensioni ridotte. Si pensi che solo poche settimane fa l’IBM ha annunciato la creazione di un microcomputer System-on-Chip da un mm2 e dalla potenza di un Intel X86.
Tutto questo significa che potremmo sempre di più far uso di Collaborative robot (Cobot) e di applicazioni SW intelligenti (Bot) con cui realizzare una nuova fabbrica e nuovi prodotti/servizi, basati su un nuovo modello di integrazione uomo-macchina. Ecco, l’Industria 5.0 al momento possiamo definirla come una collaborative industry in cui c’è la piena integrazione tra uomo e tecnologia.
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I vantaggi del nuovo paradigma
I vantaggi per la società e le imprese sono notevoli. Attualmente il modello Industria 4.0 è focalizzato molto sulla realizzazione di un ecosistema aziendale basato su un’architettura che integra orizzontalmente e verticalmente i vari CPS e i vari sistemi di gestione. L’impiego dei Cobot è limitato, e la ridefinizione dell’intervento umano nei processi produttivi (la nuova connessione della forza lavoro) rappresenta ancora un possibile problema. Nello scenario Industria 5.0 l’Empowering people, ovvero l’importanza dell’uomo nel dei processi automatizzati, è strategica per la qualità, l’efficienza e soprattutto per una piena attuazione dell’obiettivo di personalizzare i beni/servizi prodotti offerti alla clientela.
Secondo Esben H. Østergaard, CTO di Universal Robots, l’Industria 5.0 porterà le mani e delle menti umane al centro della nuova manifattura. Si tratta di affidare in massima parte i lavori 3D (Dull, Dirty e Dangerous) ai Cobot, e di fare intervenire l’uomo, con la sua competenza e intelligenza creativa, nella governance di queste macchine. In tal modo si otterranno grandi vantaggi sia per la salute e la sicurezza dei lavoratori, che per la competitività dell’azienda. Per quest’ultima, si velocizzeranno di più tutti i cicli di progettazione e produzione, si migliorerà l’impatto ambientale con la circular economy, ci sarà una qualità intelligente e nuove possibilità di personalizzare i prodotti, che saranno sempre più essi stessi dei Cobot. In pratica la nuova frontiera della personalizzazione prevede non solo la caratterizzazione del bene/servizio offerto sulla base dei gusti del cliente, ma anche su quelle esigenze che per essere definite richiedono una forte interazione basata su una raccolta in tempo reale dei dati, tra il cliente, il bene/servizio offerto e il sistema fabbrica. Si pensi per esempio, alla fornitura di mezzi a guida autonoma o a alle protesi umane per la cura di patologie.
La centralità dell’uomo nell’Industria 5.0
In ogni rivoluzione industriale l’uomo è stato e sarà sempre centrale. Qui si tratta di affrontare il tema della collaborazione uomo-macchina intelligente, del resto già presente in Industria 4.0, ma che diventa più pressante con la diffusione dei Cobot. Come ho già cercato di spiegare, nello scenario Industria 5.0 la fabbrica diventa sempre di più un luogo in cui conterà l’intelligenza umana, che aggiungerà il cosiddetto special something. L’Industria 5.0 diventerà sempre di più una research factory distribuita in cui sarà coinvolto anche il cliente con il suoi bisogni (da qui anche l’importanza del Mkt 4.0 ben descritto nel suo libro da Philip Kotler). Oggi in Italia ci sono in media 160 robot per ogni 10.000 lavoratori del settore manifatturiero (f. The European House Ambrosetti 2017). Questo rapporto è destinato a crescere. Con la diffusione dei Cobot servirà in ogni fabbrica la presenza di un CRO (Chief Robotics Officer).
In generale saranno necessari nuovi progressi nell’interazione tra intelligenza umana e calcolo cognitivo. Se penso ai timori che comunque questo scenario può sollevare per i posti di lavoro, dico che siamo di fronte a una sfida necessaria che bisogna vincere perché la più grande minaccia alla sicurezza del posto di lavoro è il fallimento di un’azienda a rimanere competitiva.
Una recente ricerca presentata al WEF2018 di Davos da Accenture prevede che un’azienda che investe in macchine intelligenti e nella cooperazione uomo-macchina può incrementare entro il 2020 il fatturato del 38% e il numero di addetti del 10%. Non mancano poi nel mondo ricerche che indicano uno skill gap di milioni di posizioni di lavoro nel settore manifatturiero entro il 2025.
Il ruolo delle PMI nello scenario Industria 5.0
Industria 5.0, più che Industria 4.0, è un modello per tutte le aziende, perché fa uso di Cobot sempre più piccoli e dal costo ridotto. Non solo, le Pmi possono meglio approfittare del nuovo modo di concepire la personalizzazione dei beni/servizi offerti e del paradigma di research factory distribuita.
Anche le infrastrutture, come le reti fisse e mobili a larga banda (con in primis la nuova rete mobile 5G) e i servizi Cloud, saranno sempre di più facilmente accessibili a tutti. Per il Cloud Computing, in prospettiva della diffusione di applicazioni real-time o addirittura hard real time (si pensi per es. ai mezzi a guida autonoma), assisteremo allo sviluppo non solo del Fog&Cloud ma anche dell’Edge&Cloud.
Ovviamente il ruolo delle grandi aziende resterà sempre importante, per queste ragioni non bisogna trascurare lo sviluppo degli ecosistemi industriali.
La sicurezza e la privacy
La sicurezza informatica e la protezione dei dati personali restano delle sfide importanti anche per Industria 5.0. Il regolamento Ue 2016/679 (il GDPR), che dal 25/5/2018 diventerà obbligatorio in tutti gli stati membri dell’Ue, rappresenta un buon passo avanti per le imprese e i cittadini europei. Con l’adozione dei principi dell’accountability, della privacy by design e della privacy by default, la Ue ha voluto meglio garantire i diritti delle persone, ma anche indicare alle imprese l’importanza del patrimonio dei dati personali gestiti. Pertanto le imprese devono guardare al GDPR come a un’opportunità e non a un ulteriore adempimento burocratico.
Un consiglio conclusivo
Mi rendo conto che è difficile seguire le rapide innovazioni del mondo industriale e più in generale della nostra società. Siamo nel pieno dell’era della Società della Conoscenza che produce continue innovazioni e dobbiamo attrezzarci a cogliere le opportunità di oggi (ad esempio il modello Industria 4.0) senza perdere l’appuntamento con l’imminente futuro (ad esempio il modello Industria 5.0 e oltre). L’importante per fare ciò è curare molto l’Innovazione Sociale (intesa anche come l’attitudine di una comunità alla creazione e utilizzo di innovazioni tecnologiche) e , quindi, la formazione delle persone.
Lo stesso problema occupazionale va risolto segmentando il mercato del lavoro in base al livello di istruzione richiesto e cercando di offrire sostegno e opportunità a tutti. Ovviamente avendo nel tempo come obbiettivo l’incremento della quota dei Knowledge worker.
C’è un lavoro umano che non finirà mai e che può impegnare molti miliardi di persone: la ricerca (non solo accademica). Questo fa capire perché l’Industria 5.0 con il suo approccio di research factory distribuita deve diventare il nostro futuro. Per quanto riguarda il ruolo dello Stato, oltre agli incentivi basati sul credito di imposta, serve anche una politica di investimenti pubblici in R&S, soprattutto sulle tematiche ad alto rischio di fallimento dove nessun privato investirebbe. In questo senso condivido le tesi esposte dalla prof.ssa Marianna Mazzucato nel suo libro Lo Stato Innovatore.