Un millimetro per lato, “meno di un granello di sale”: tanto misura il computer più piccolo mai prodotto, presentato ieri dai ricercatori di Big Blue alla IBM Think 2018. Avete letto bene: stiamo parlando di un’unità computazionale fatta e finita, un System-on-Chip che ospita non solo un processore che integra diverse centinaia di migliaia di transistor, ma anche della memoria SRAM, un comparto dedicato alle comunicazioni con un LED e un rilevatore ottico e, infine, una cella fotovoltaica integrata per l’alimentazione. Qui di seguito uno schema che spiega come sono montati i diversi componenti. Si noti che le dimensioni di 1 mm x 1 mm sono quelle dell’intero SoC (quello in basso).
Nella foto che segue potete vedere nella parte sinistra una “maxi” scheda sulla quale sono montate ben 64 di queste motherboard (la luce blu è quella emessa di led); nella parte destra invece potete vedere un singolo SoC in tutto il suo micro-splendore, immerso in un mucchietto di sale grosso.
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Che cosa può fare
La rivoluzionaria unità non raggiunge certo il record delle prestazioni computazionali, ma ha comunque una capacità di elaborazione paragonabile a quella di una piattaforma x86 degli anni Novanta. Sarà comunque in grado di “monitorare, analizzare, comunicare e persino agire sui dati”, ha sottolineato Arvind Krishna, responsabile della ricerca di IBM.
La notizia più interessante, oltre al record dimensionale, è che non stiamo parlando di un prototipo astratto, ma di qualcosa che sarà in commercio (questione di mesi) e che sarà il primo di una nuova generazione di mini-computer, che come “puntini di inchiostro” potranno essere applicati praticamente ovunque.
Produrlo? Costerà meno di dieci centesimi di dollaro. Questo apre le porte ai più vari scenari applicativi.
A che cosa servirà
Le possibili applicazioni di questi microscopici dispositivi sono davvero tantissime. Ma il motivo per cui sono stati sviluppati è di inserirsi come elementi di una blockchain orientata alla verifica dell’autenticità delle merci lungo la supply chain. Secondo i ricercatori di IBM, infatti, questo chip sarà una “crypto-anchor”: in altre parole, sarà possibile “affogarlo” in qualsiasi dispositivo e fungere da fonte di dati per le applicazioni che usano la blockchain. Scopo del computer sarà quindi attestare l’autenticità delle merci e contribuire a tracciarne la spedizione e rilevare furti, frodi e contraffazioni. Non solo: essendo dotato comunque di capacità computazionali potrà anche eseguire funzioni di base di intelligenza artificiale, come ad esempio provvedere all’ordinamento dei dati forniti. Entro 18 mesi questo prototipo diventerà una solida realtà, ma “entro i prossimi cinque anni, queste crypto-anchor saranno integrate in oggetti e dispositivi di uso quotidiano”, afferma Krishna.
Ma che cosa sono le crypto-anchor? Sono degli identificatori che possono essere incorporati nei prodotti, o in parti di questi, per essere collegati alla blockchain. Un esempio? Delle crypto-anchor possono essere inserite in una pellicola di inchiostro magnetico commestibile, che può essere utilizzata per colorare una pillola anti-malaria. Il codice potrebbe diventare attivo e visibile grazie a una goccia d’acqua che permetterebbe al consumatore di sapere che è autentico e sicuro da consumare.