L’esito delle elezioni sta sollevando non poche preoccupazioni da parte di chi aveva apprezzato la politica industriale dei governi Renzi e Gentiloni, con particolare riferimento al piano Industria 4.0, poi Impresa 4.0. Che cosa possiamo aspettarci che accada nel nuovo scenario politico disegnato il 4 marzo dagli elettori italiani?
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Industria 4.0, fine di un’era?
“È finita l’era di Industria 4.0?”. Con la fine dei governi di centrosinistra e l’avvento di un futuro governo di cui ancora non si conosce la formazione, ma che avrà verosimilmente una guida marcata Movimento 5 Stelle o Lega, la domanda è certamente legittima. La risposta va articolata su almeno tre livelli.
Innanzitutto il piano tecnologico. È banale, ma va detto: non saranno le elezioni italiane a determinare la fine della quarta rivoluzione industriale, che del resto non ha certamente matrici politiche. L’adozione di incentivi serve come acceleratore per l’adozione di tecnologie e la formazione di competenze. Il piano nazionale industria 4.0 – impresa 4.0 sta consentendo alle imprese italiane di “stare davanti”, guidare una rivoluzione che, altrimenti, si rischierebbe di vivere nelle retrovie, senza sfruttare appieno il vantaggio degli “early adopter”, che spesso si tramuta in maggiore competitività sui mercati internazionali.
Gli incentivi automatici
Secondo, il piano tecnico. Dal punto di vista degli incentivi, il piano nazionale Industria 4.0 si basa sulla convinzione di fondo di Carlo Calenda e del suo staff che gli incentivi a bando non siano efficaci. Per questo la stragrande maggioranza delle misure adottate prevede la concessione di incentivi automatici. Super e iperammortamento, così come il credito d’imposta in ricerca e sviluppo o quello previsto dalla nuova Sabatini, ma anche il più recente bonus per la formazione 4.0, sono tutti incentivi ai quali possono accedere tutti quelli che soddisfano i requisiti previsti, nella maggior parte dei casi con una semplice autocertificazione e passando la documentazione al commercialista. Questa è, se vogliamo, la parte più rivoluzionaria del piano di incentivi made in Italy. E, benché l’idea degli incentivi automatici non abbia colore politico, non è detto che il futuro Ministro dello Sviluppo Economico abbia le stesse idee.
Marcare la discontinuità
Terzo, il livello più propriamente politico. Il piano nazionale industria 4.0 nasce innanzitutto dalla necessità di permettere al sistema manifatturiero italiano di ammodernare un parco macchine vetusto, favorendo, laddove vi fosse già un buon livello di maturità tecnologica, l’adozione delle tecnologie abilitanti per la digital transformation. Un piano, insomma, che risponde a una precisa esigenza posta dal mondo delle imprese.
Come però abbiamo avuto modo di vedere nella nostra rassegna pre-elettorale, gli schieramenti in campo, coalizione di centrosinistra a parte, non hanno previsto nei loro programmi misure che in qualche modo potessero inserirsi in continuità con quanto fatto negli ultimi anni. Il che da una parte è dovuto a una comprensibile esigenza di differenziazione e caratterizzazione politica, visto che le misure simbolo, come quella dell’iperammortamento, sono legate a doppio filo alla figura del ministro Calenda; dall’altra però l’esigenza di marcare la discontinuità rischia di vanificare il corposo sforzo, anche finanziario, finora messo in campo.
Se infatti è vero che alcune misure-simbolo avevano la funzione di produrre uno “shock” positivo (e hanno sicuramente colpito nel segno), ma si avvicinavano in ogni caso al capolinea (“L’iperammortamento non può durare per sempre”, aveva detto Calenda già lo scorso mese di giugno all’assemblea di Assolombarda), va anche detto che il sostegno al percorso di digital transformation del sistema manifatturiero italiano deve diventare strutturale. “Smontare Jobs Act e il piano Industria 4.0 significa rallentare, invece dobbiamo accelerare se vogliamo ridurre il divario e aumentare l’occupazione nel Paese”, ha dichiarato stamattina il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia.
Gli scenari, misura per misura
Allo stato attuale, con una maggioranza parlamentare ancora tutta da verificare, non si può immaginare con ragionevole certezza quello che accadrà. Tuttavia, se ipotizziamo che il Partito Democratico non farà parte del governo (o che comunque, se anche una parte dei suoi parlamentari appoggeranno un futuro governo non ne saranno certamente protagonisti), possiamo fare un piccolo esercizio di analisi di scenario.
Con la proroga inserita nell’ultima legge di bilancio si chiuderà probabilmente il ciclo di vita di super e iperammortamento. Chi quindi ha intenzione di sfruttare il corposo incentivo del credito d’imposta al 250% per l’investimento in macchinari e tecnologie 4.0 farebbe meglio a non sperare in ulteriori proroghe. Il termine ultimo per effettuare l’ordine è il 31/12/2018, mentre per le consegne c’è tempo ancora tutto il 2019.
Futuro incerto per la nuova Sabatini. Le risorse messe in campo con l’ultima finanziaria si esauriranno verosimilmente verso metà 2018, sancendo tecnicamente la fine di una delle misure di maggior successo degli ultimi anni. Non è escluso però che questa misura, che ha radici decisamente “antiche” (la prima Sabatini risale addirittura agli anni Sessanta), possa vivere una quarta vita.
Il credito d’imposta per le spese in ricerca e sviluppo è una misura pluriennale già finanziata e, salvo sorprese, non dovrebbe essere smontata almeno fino alla sua naturale scadenza (2020).
Per quanto riguarda la novità 2018, il credito d’imposta per le spese in formazione 4.0, difficilmente l’esperimento previsto per il 2018 (per il quale siamo ancora in attesa del regolamento attuativo) sarà ripreso anche nel 2019. Sappiamo però che le imprese premono perché anche gli investimenti nel capitale umano siano incentivati (“Se non vogliamo arretrare in competitività, Impresa 4.0 deve continuare con grande impegno sulla Formazione 4.0”, ha dichiarato Alfredo Mariotti, direttore di Ucimu – Sistemi per Produrre). Non è quindi da escludere una riformulazione della norma con diverse modalità di fruizione e scenari applicativi, con la probabile esclusione dei sindacati dalla partita.
Il futuro
Difficilmente un ipotetico governo a guida Centrodestra sarà sordo difronte alle richieste delle imprese. Anche perché l’ultima voce del programma di coalizione parlava esplicitamente di un “Piano di ristrutturazione delle tecnostrutture e migliore utilizzo delle risorse per le nuove tecnologie per tutto il sistema delle imprese, con particolare riferimento alle piccole e medie”.
È quindi possibile che l’eredità del piano impresa 4.0 venga in qualche modo raccolta da altre norme di incentivo. Tuttavia, visto l’orientamento di questa parte politica a scommettere maggiormente sulla riduzione delle aliquote fiscali con l’introduzione della flat tax, si fa fatica a immaginare dove potrebbero essere reperite ulteriori risorse da destinare a programmi di incentivazione.
Nel caso in cui sia invece il Movimento 5 Stelle a prendere le redini del governo, il piano è chiaramente esplicitato nel programma e va prevalentemente nella direzione della sburocratizzazione.
“Agire come attori della quarta rivoluzione industriale significa essere in grado di coglierne le opportunità per creare oggi nuove imprese e nuovi posti di lavoro realizzando prodotti e servizi innovativi. Questo prevede uno sforzo in due direzioni: da un lato è necessario favorire la nascita e la crescita di nuove imprese attraverso la sburocratizzazione e la riduzione degli oneri fiscali, dall’altro è fondamentale diffondere conoscenza in merito nel Paese e in particolar modo tra le generazioni che si apprestano a scegliere un percorso universitario o una carriera lavorativa”.
Concretamente il M5S “vuole sin da subito abolire le barriere che oggi limitano la nascita e lo sviluppo delle idee innovative. Da una parte andando a eliminare burocrazia e oneri per le imprese, specie nei primi anni di attività (come il contributo minimale INPS che impone il pagamento di 3600€/anno per ogni socio amministratore o dipendente di SRL, anche se fattura zero), dall’altra favorendo l’incontro degli innovatori tramite eventi o grazie all’istituzione di nuovi spazi di coworking laddove esistano locali pubblici inutilizzati”. A questo si giunge lo sviluppo di “hard e soft skills (STEAM – Science Technology Engineering Art Mathematics) sin dai più inferiori livelli di istruzione, instillando nei protagonisti di domani la conoscenza e le competenze per affrontare le nuove sfide”.