Dopo aver dimostrato una discreta resilienza alla pandemia e buoni segnali di ripresa nel 2021, il processo di ripresa delle PMI italiane alla crisi causata dal Covid-19 è minacciato dalle tensioni geopolitiche, economiche e commerciali associate al conflitto in Ucraina: è quanto evidenzia il Rapporto Regionale PMI 2022, realizzato da Confindustria e Cerved, in collaborazione con Unicredit e Gruppo 24 Ore.
Il rapporto analizza gli andamenti e le prospettive delle 160 mila società italiane che rientrano nella definizione europea di piccola e media impresa – impiegando tra 10 e 249 addetti e con un giro d’affari compreso tra 2 e 50 milioni di euro–, e generano un valore aggiunto complessivo pari a 204 miliardi di euro.
Oltre ai rischi legati allo scenario geopolitico, il rapporto evidenzia il grado di rischio a cui sono esposte le PMI italiane come conseguenza degli investimenti necessari ad adeguarsi agli obblighi europei in materia di clima. Secondo l’analisi, circa il 30% delle PMI (precisamente il 29,8%) presenta almeno un fattore di rischio legato alla transizione green.
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Nel 2021 PMI italiane hanno dimostrato un discreto grado di resilienza e buoni segnali di ripresa
Sulla base delle stime, il fatturato delle PMI italiane nel 2021 è previsto in crescita dell’8,1% su base annua. L’incremento dei ricavi, seppur significativo, non basta però a colmare il gap accumulato rispetto al periodo pre-Covid (-1,2% rispetto ai livelli del 2019).
Sul fronte della redditività lorda, il rapporto prevede per il 2021 una crescita molto più netta, con un incremento dei margini su base annua del 17,5% e il superamento dei livelli registrati nel 2019 (+4,7%).
A dare impulso al forte recupero dei margini sono, da un lato, le ottime performance in termini di crescita del valore aggiunto registrate soprattutto nelle costruzioni e nell’industria e, dall’altro, la dinamica di contenimento dei costi del personale e dei servizi seguita alla fase recessiva.
La ripresa stimata è particolarmente positiva per il Mezzogiorno, dove si osservano le performance migliori nel valore aggiunto rispetto ai livelli pre-Covid (+8,4% rispetto al 2019), seguito dal Nord-Est (+7,3%) mentre risulta in controtendenza il Centro che continua a restare sotto i livelli del 2019 (-4,6%).
Il miglioramento delle prospettive economiche seguito al superamento della fase più acuta della pandemia si è riflesso nel 2021 anche sugli indicatori congiunturali dello stato di salute delle PMI, come i tassi di natalità (+29,8% su base annua), le chiusure di impresa, le abitudini di pagamento e gli score creditizi.
L’incognita della guerra che potrebbe rallentare la ripresa delle PMI italiane: al Centro le aziende più esposte al rischio
Una ripresa su cui gravano, tuttavia, le tensioni geopolitiche, economiche e commerciali associate al conflitto in Ucraina (sanzioni, incertezza dei traffici, restrizioni al commercio ecc.).
Per stimare il grado di rischio a cui sono esposte le nostre PMI, Cerved ha elaborato due modelli di previsione fondati su diverse ipotesi legate, in particolare all’evoluzione della congiuntura geopolitica, alla dinamica dei rincari delle materie prime, ai mutamenti dell’approccio di politica monetaria seguito dalla BCE e agli effetti di stimolo derivanti dalle risorse previste dal PNRR.
In base alle previsioni, il processo di recupero delle PMI italiane potrebbe subire un rallentamento nel prossimo biennio. Nello scenario “base”, i livelli pre-Covid saranno recuperati in tutte le aree già a partire dal 2022, nonostante una decelerazione su base annua del tasso di crescita dei ricavi (+2,4% nel 2022 e +2,0% nel 2023).
Al termine del periodo di previsione, l’area che crescerà maggiormente rispetto ai livelli pre-Covid è il Mezzogiorno (+3,8%), mentre il Nord-Ovest farà registrare il rimbalzo più contenuto (+2,4%).
Nello scenario “worst”, la dinamica di ripresa dei ricavi delle PMI potrebbe subire invece un netto arresto, per effetto di una scarsa crescita nel 2022 (+0,6%) e di una contrazione nel 2023 (-0,5%), che allontanerebbero il recupero dei valori persi durante la pandemia (-1,5% rispetto al 2019).
Il Centro ritornerebbe ad essere l’area della Penisola più colpita (-1,9%), soprattutto per effetto della marcata contrazione osservata in Toscana (-3,0%), ma forti ripercussioni si registrerebbero anche nel Nord-Ovest (-1,8%), rallentato dalle performance negative del Piemonte (-2,2%).
Nel Nord-Est (-1,3%), e soprattutto nel Mezzogiorno (-0,8%), gli impatti della nuova congiuntura risulterebbero più attenuati, nulli o quasi in Friuli Venezia-Giulia (0,0%), Molise (0,0%) e Campania (-0,1%) che mostrano la migliore tenuta.
In entrambi gli scenari, dopo il calo della rischiosità osservato nel 2021, la quota di PMI a rischio torna a risalire. Il Centro Italia si conferma l’area più esposta, con una percentuale di PMI a rischio del 16,9% nello scenario base e del 17,5% in quello worst, un valore più alto del 2,5% rispetto al 2020 e del 7,1% rispetto al pre-Covid.
Nel Mezzogiorno la quota di PMI rischiose cresce dal 14,6% al 15,8% (16,5% nello scenario worst), con un livello di esposizione inferiore rispetto al 2020 (18,7%), ma nettamente più elevato rispetto al 2019 (+3,6 p.p.). Anche il Nord-Ovest fa registrare una crescita dell’area di rischio, dal 9,8% al 10,9%, nello scenario base, fino a toccare
l’11,3% nello scenario pessimistico, riportandosi su livelli analoghi al 2020 e superiori al pre-Covid (+4,9%). Il Nord-Est è l’area che mostra maggiore solidità, con la percentuale di rischio che cresce in misura più contenuta, dall’8,1% all’8,8% (9,6% nello scenario worst).
Circa il 30% delle PMI è esposto a fattori di rischio legati alla transizione verde
La Banca Centrale Europea ha recentemente introdotto delle linee guida per il monitoraggio dei rischi climatici e ambientali, soffermandosi su due tipologie di rischio: il “rischio fisico”, associato ai danni generati da eventi metereologici estremi e da fenomeni di degrado ambientale, accentuati dal cambiamento climatico; e il “rischio di transizione”, legato ai costi del processo di adeguamento reso necessario dall’evoluzione verso un sistema economico a zero emissioni nette, in ottemperanza alla strategia di transizione verso la neutralità climatica perseguita dalle istituzioni europee.
Basandosi sulla Tassonomia UE e su una serie di informazioni aggiuntive, Cerved ha definito uno score che misura il grado di esposizione delle imprese italiane al processo di transizione.
A livello complessivo, le PMI che operano in settori a rischio di transizione alto o molto alto sono poco più di 16 mila (il 10,6% del totale), impiegano 478 mila addetti (l’11,0%) e presentano un’esposizione verso il sistema creditizio di oltre 44 miliardi (il 17,1%).
I dati sull’incidenza territoriale delle attività a rischio di transizione riflettono la diversa specializzazione produttiva delle economie locali: il Sud Italia è l’area geografica più esposta al rischio di transizione, con circa 127 mila addetti coinvolti (14,7%), seguita dal Centro (10,9%) e NordEst (10,1%), mentre il Nord-Ovest è l’area che evidenzia le incidenze più basse (9,6%).
Un’analisi di dettaglio sui bilanci delle circa 16 mila PMI a rischio transizione evidenzia che quasi i due terzi di queste (10.588) non possiedono una struttura finanziaria adeguata ad affrontare eventuali investimenti di riconversione in condizioni di equilibrio finanziario. Le PMI che avrebbero invece spazi per maggiori investimenti sono 5.679, con un potenziale di investimento quantificabile in 7,8 miliardi di euro. Queste risorse finanziarie aggiuntive corrispondono al 4,8% dell’attivo complessivo delle 16 mila PMI a rischio di transizione elevato.
Combinando gli score tradizionali basati sulla valutazione del merito creditizio (CGS) con gli indici che sintetizzano il rischio fisico e il rischio di transizione, è possibile ottenere una valutazione più estesa dell’esposizione al rischio delle PMI a livello nazionale e nei diversi territori. Pur non essendo correlati, questi diversi rischi possono sovrapporsi aggravando ulteriormente l’esposizione delle imprese e dei territori.
Incrociando le dimensioni analizzate, le PMI che presentano almeno un rischio sono 45.781 (il 29,8% del totale), con un volume di debiti finanziari pari a 87,7 miliardi di euro (il 33,7%). L’area che presenta l’incidenza maggiore di PMI con almeno un rischio è il Centro Italia (36,8%), dove si registra un’esposizione consistente in tutte e tre le dimensioni, seguito dal Nord-Est (34,2%), penalizzato dal forte rischio fisico associato al climate change.
Nel Mezzogiorno, dove risultano prevalenti la dimensione del rischio di credito e di transizione, presenta almeno un rischio il 29,4% delle PMI, mentre il Nord-Ovest è l’area con l’incidenza complessiva più bassa (22,7%). Analizzando i debiti finanziari, la maggiore incidenza si registra nel Nord-Est (39,9% dei debiti finanziari con almeno un rischio), seguito da Centro (39,6%), Mezzogiorno (33,9%) e Nord- Ovest (27,1%).
Le proposte per superare le criticità
Una situazione complessa, dunque, aggravata dalle conseguenze del conflitto e dall’incognita della sua evoluzione, a cui si è aggiunta la caduta del Governo Draghi.
“Criticità strutturali e congiunturali definiscono un quadro n cui è necessario agire con interventi diversificati, ma parimenti efficaci e soprattutto dedicati al sostegno della competitività delle imprese, vero motore per la ripresa del Paese”, si legge nel rapporto.
Sulla base di questa criticità, il rapporto propone alcune linee di intervento per tutelare le PMI italiane, creando migliori condizioni e più efficaci strumenti per:
- potenziare la struttura finanziaria e la patrimonializzazione delle imprese e rilanciarne gli investimenti (il riferimento qui è al mancato rinnovo della moratoria di legge per le PMI nella legge di bilancio 2022)
- accompagnare le imprese in un percorso di crescita e di innovazione che coinvolga anche il capitale umano, rafforzando formazione e riqualificazione professionale per adeguare le competenze alla forte accelerazione nell’utilizzo delle nuove tecnologie, in particolare digitali
- efficientare la pubblica amministrazione e rimuovere tutti quegli ostacoli burocratici che, anche quando esistono strumenti ed incentivi adeguati, ne rallentano i possibili effetti positivi
- corretta implementazione del PNRR e corretta gestione di tutti gli interventi previsti
Oltre a questi interventi strutturali, sottolinea il rapporto, l’attuale congiuntura richiede interventi mirati a risolvere le criticità legate all’attualità, soprattutto in merito alla diversificazione degli approvvigionamenti energetici, per aumentare l’autonomia strategica del Paese e di regolazione dei relativi mercati.
“I maggiori costi energetici subiti dalle imprese stanno producendo effetti preoccupanti sulla loro tenuta e sulla loro capacità di continuare a produrre. E questo è un problema che assume dimensioni ancor più preoccupanti per le PMI, rispetto al quale sono necessarie misure straordinarie, ma anche strutturali, che le accompagnino nella transizione energetica e ambientale”, scrivono gli autori.
“Sono temi che devono e possono trovare risposte nella politica di coesione territoriale 2021-2027, in particolare nei piani operativi delle Regioni, come pure in
alcuni piani operativi nazionali”, concludono.