Il cambio sostanziale portato dalla trasformazione digitale “è l’abbandono della produzione su grandi numeri seriali e pre-pianificati, come è stato per decenni dall’avvio delle catene di produzione fordiste, per realizzare una produzione molto più flessibile, personalizzata, focalizzata, utilizzando i dati e le informazioni che provengono dal mercato, dalla produzione, dalle vendite”.
Lo sottolinea Marco Bentivogli, co-fondatore e coordinatore nazionale di Base Italia e dal 2018 componente della Commissione sull’Intelligenza artificiale presso il Ministero dello Sviluppo economico (Mise), intervenendo al convegno ‘Making. The path to digital manufacturing’, organizzato da Niew, che si è svolto in presenza a Modena e in streaming online, con il gruppo Digital360 come Media partner.
È un cambiamento che le imprese italiane devono necessariamente realizzare, per restare competitive, in un Paese che comprende molte eccellenze ma anche “fortemente tecnofobo”, fa notare Bentivogli, “basti ricordare che molte invenzioni hanno avuto origini e inventori italiani ma sono state possibili o pienamente sviluppate solo all’estero”, mentre oggi “l’innovazione non è un’opportunità, ma un’assoluta necessità”.
E il cambiamento in corso “non è fatto solo di tecnologie”, sottolinea l’ex sindacalista: “è un panorama molto più ampio, articolato e complesso, che comprende nuove competenze, conoscenze e innanzitutto una nuova cultura dell’innovazione”.
Quella che Bentivogli stesso sta cercando di diffondere, da quando era leader sindacale della Fim-Cisl e anche attraverso i suoi diversi libri sul mondo digitale e 4.0 (alcuni trattati nella rubrica Innovation Book su questo giornale, ndr).
Indice degli argomenti
Personalizzazione e ottimizzazione
La personalizzazione della produzione e dei processi aziendali “è senza dubbio l’elemento caratterizzante di questa evoluzione in atto nel mondo delle imprese e della manifattura”, osserva Andrea Anesi, CTO di Emmegi. Che rileva: “prodotti e soluzioni si devono fare ascoltando i clienti e le loro esigenze, vanno tarati e calibrati secondo la reale domanda e le aspettative del mercato, e fare produzione personalizzata significa quindi dare risposte concrete alla clientela ma anche produrre in maniera ottimale, sfruttando le risorse disponibili in maniera ottimale”.
Per dirla in modo ancora più sintetico ed efficace: “fare produzione nell’epoca digitale e 4.0 significa fare ciò che serve realmente”, non ciò che è stato previsto e pianificato sulla base di risultati e statistiche degli anni precedenti.
La questione di “sfruttare le risorse disponibili in maniera ottimale”, come dice Anesi, è e sarà un aspetto cruciale da qui ai prossimi anni, lo rimarca anche Massimo Birolo, Global manufacturing operations director di Bonfiglioli Riduttori. Che sottolinea: “dobbiamo confrontarci con la scarsità di risorse, che non comprende soltanto la scarsità di materie prime, rame, alluminio, e terre rare; ma è anche e innanzitutto scarsità di competenze”.
Le aziende ‘worker-less’ non esistono
Un punto sul quale torna anche Bentivogli: “per queste competenze, quelle delle persone, dei giovani e dei lavoratori, le ‘miniere’ in cui scavare e recuperare ciò che serve alle imprese sono gli istituti tecnici professionali e specializzati, le scuole di formazione, i centri di ricerca e sviluppo. Per questo non mi stanco mai di sottolineare che l’innovazione non si fa soltanto con le macchine, e che le aziende ‘worker-less’, senza lavoratori, non esistono, sono un falso mito industriale”.
Macchine e lavoratori, tecnologie e competenze, “sono tutti parte di un grande processo, di una grande catena composta da anelli diversi”, fa notare Daniele De Cia, fondatore e presidente di Niew, “e per fare innovazione non c’è una ricetta valida per tutti e per tutte le esigenze, ma è un percorso, nel quale anche qui è cruciale il concetto e l’aspetto della ‘personalizzazione’, tanto quanto per l’aspetto che riguarda la produzione”.
L’approccio ‘ibrido’ all’innovazione
Secondo Paola Olivieri, Head of business development di Fameccanica Group, questo ‘percorso’ può anche “partire da un approccio ibrido, che mette insieme processi già consolidati a nuovi e più automatizzati, in modo da innovare con gradualità e per formare una nuova cultura aziendale e tra i lavoratori, in modo da costruire un linguaggio comune”, perché con le nuove tecnologie è possibile e necessario “capire come migliorare il prodotto finale ma anche la macchina che lo produce”.
Al convegno ‘Making. The path to digital manufacturing’ è intervenuto in video anche Alexander Bromage, fondatore di Passtur, startup americana di Food manufacturing, che punta a “diventare azienda di riferimento per la pastorizzazione dei prodotti per le piccole e medie imprese”, partendo “da un’esigenza che ho colto lavorando per anni nei colossi mondiali del Food: le grandi aziende del settore hanno a loro disposizione tutte le tecnologie necessarie a fare innovazione, mentre le piccole e medie aziende hanno bisogno di qualcuno che gli fornisca i servizi che non sono in grado o non vogliono internalizzare”.
Molte aziende alimentari non hanno ancora digitalizzato i propri sistemi operativi e produttivi, e invece, sottolinea lo startupper inglese emigrato per business negli States, “proprio da lì possono venire importanti miglioramenti in efficienza e nella riduzione dei costi”.