Sul nuovo Patent Box c’è urgente bisogno di fare chiarezza, delineando le zone d’ombra e i margini di applicazione: è questo l’appello lanciato dai professionisti di Archita Engineering, azienda nata nel 2013 e che si occupa di certificazioni, sicurezza sul lavoro e innovazione con particolare riferimento alla Transizione 4.0.
Una “società di ingegneria che si è prestata alla finanza” — come la definisce Matteo Iubatti, Amministratore Delegato dell’azienda — costruita unendo l’esperienza acquisita dai fondatori nel corso di anni dedicati alla consulenza alle imprese.
Forte di questo background, l’azienda ha saputo costruire un portfolio di servizi di consulenza per affiancare le imprese nei loro percorsi di innovazione, a partire dalle opportunità di finanziamento e agevolazione fondamentali per poter concretizzare gli investimenti necessari.
Indice degli argomenti
Da un sistema che premia l’innovazione a uno che premia la spesa: cosa non piace del nuovo Patent Box
Tra le opportunità a disposizione delle imprese c’era, e continua ad esserci, il Patent Box, una agevolazione nata per incentivare le imprese a formalizzare il proprio patrimonio di proprietà intellettuale Una misura, tuttavia, che ha subito profonde modifiche a cavallo tra il 2021 e il 2022, prima con la revisione introdotta a ottobre con il Decreto Fiscale (DL 146/2021) e poi con le modifiche apportate dalla Legge di Bilancio per il 2022.
Per comprendere quanto poco abbiano in comune lo strumento attuale e quello preesistente basta considerarne i meccanismi operativi.
Il vecchio strumento prevedeva l’esclusione dalla base imponibile del 50% dei redditi derivanti dall’utilizzo, anche congiunto, di software protetti da copyright, brevetti industriali, disegni e modelli, processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili.
Con il nuovo sistema, invece, l’agevolazione non si applica più al reddito prodotto dall’innovazione brevettata, ma ai costi sostenuti sulle attività di ricerca e sviluppo (r&s). Il decreto fiscale aveva introdotto una maggiorazione dei costi deducibili del 90%, mentre con la legge di bilancio questa aliquota è stata portata al 110%. Il beneficio concreto, calcolato su un’imposizione fiscale del 27,9% (la somma di Irpef e Irap) passa quindi dal 25,11% (27,9*0,9) al 30,69% (27,9*1,1).
Il nuovo sistema basato sulla maggiorazione dei costi deducibili invece della riduzione della base imponibile aveva da subito suscitato polemiche: la stessa Confindustria rilevava che il nuovo meccanismo che non premia più le innovazioni che effettivamente creano un valore aggiunto al mercato, ma le realtà che spendono di più, indipendentemente dal fatto che quel brevetto generi poi un risultato economico.
Della stessa opinione anche Erik Pedrielli, Responsabile Innovazione e Finanza d’Impresa per Archita.
“Questa nuova normativa cambia quelli che erano gli aspetti fondamentali del vecchio Patent Box: non è più un sistema meritocratico che premia le realtà che vanno a utilizzare determinate privative industriali, ma sostiene le realtà che spendono, distaccandosi dalla logica di ciò che succederà dopo sul mercato di riferimento”, spiega.
“Questa modifica radicale, inoltre, rischia di allontanare il raggiungimento dell’intento iniziale della norma, che era quello di riportare in Italia le prerogative industriali che si erano collocate all’estero”, aggiunge Pedrielli
Le troppe incertezze della nuova disciplina che rischiano di vanificare l’incentivo
Ma il problema maggiore di questa nuova disciplina, sostengono gli esperti di Archita, risiede nei tanti punti ancora da chiarire soprattutto in relazione alla rendicontazione delle attività da agevolare. Incertezze che nemmeno il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 15 febbraio 2022 ha chiarito.
“Il vecchio strumento presupponeva una sorta di ‘contratto’ con l’Agenzia delle Entrate, che arrivava a termine di un dialogo in cui venivano anche stabiliti benchmark importanti nella valutazione delle marginalità derivanti dall’innovazione introdotta sul mercato”, spiega Pedrielli.
Un sistema che, se da un lato era di difficile fruizione per le PMI, non sempre in possesso degli strumenti e delle competenze necessarie a intavolare questo dialogo – e che quindi si dovevano affidare a servizi di consulenza come quelli offerti da Archita – dall’altro forniva una sicurezza maggiore davanti a possibili verifiche (e sanzioni) da parte dell’AdE.
Anche il vecchio sistema non era esente da criticità: il processo era infatti più lento (e più macchinoso), fattore che rendeva la misura meno attraente.
“Il ritardo nelle valutazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate pesava notevolmente sull’attrattività del vecchio Patent Box. Questo noi lo sappiamo bene, perché di fatto stiamo ancora seguendo contraddittori relativi al 2017”, spiega Iubatti.
Tuttavia, proprio perché il confronto con l’AdE avveniva prima, le aziende avevano a disposizione uno strumento di sicurezza che le tutelava in caso di verifiche.
Sicurezza che invece ora non hanno, visti i tanti punti ancora da chiarire. Tra questi vi è la necessità (o meno) di produrre documentazione attestante il momento di insorgenza della tutela giuridica. Il tema, su cui l’Agenzia delle Entrate non si è ancora espressa, non è di poco conto posto che la super deduzione e il “meccanismo premiale” decorrono dal periodo di imposta in cui viene ottenuto il titolo di privativa.
Se tale previsione appare di semplice interpretazione con riferimento ai brevetti, ben più difficile è stabilire ad esempio il momento di ottenimento del titolo di privativa con riferimento al software tutelato dal diritto d’autore. Per tali beni agevolabili, quindi, potrebbe essere non di facile definizione il momento di effettivo ottenimento del titolo di privativa.
Inoltre, ad oggi non è chiaro se, nel caso in cui il contribuente decida di avvalersi del “meccanismo premiale” di cui al punto 5 del provvedimento, sia necessario produrre tutta la documentazione a supporto delle voci di spesa anche per i periodi d’imposta precedenti a quello in cui viene ottenuto il titolo di privativa, ovvero a quello di applicazione del “nuovo” regime di Patent Box cui si riferisce la documentazione. Ricordiamo infatti che i costi che possono accedere all’incentivo sono quelli sostenuti negli otto anni precedenti.
Se così fosse, il processo potrebbe rivelarsi eccessivamente gravoso per il contribuente specialmente nel caso in cui, non avendo capitalizzato le spese, si troverebbe nell’impossibilità di produrre tutta la documentazione di supporto richiesta.
Altro nodo da sciogliere riguarda l’ammissibilità, o meno, dei costi degli anni precedenti previsti nel calcolo del coefficiente Nexus.
“Chi ha seguito la vecchia norma era obbligato a calcolare questo coefficiente e quindi all’interno c’erano tutti i costi di R&S e/o di mantenimento della privativa industriale. In questa nuova disciplina sembra voglia escluderli, quindi se ho seguito la vecchia Patent Box anche se oggi ottengo un brevetto nuovo devo stare attento a non inserire i costi ricompresi nel coefficiente Nexus in precedenza all’interno dei conteggi”, spiega Pedrielli.
Altri elementi ancora da chiarire riguardano:
- l’ammissibilità o meno delle spese relative al mantenimento del diritto di proprietà
- come si individuano le variazioni fiscali direttamente e indirettamente riferibili ai beni immateriali oggetto di agevolazione
- in che modo le PMI possono presentare la documentazione in forma semplificata
Patent Box e credito d’imposta: agevolazioni e “tranelli”
Vi è poi la questione relativa alla cumulabilità delle agevolazioni legate al nuovo Patent Box e quelle previste dal credito d’imposta in Ricerca e Sviluppo. La Legge di Bilancio ha infatti abrogato il comma 9 art.6 del decreto fiscale che prevedeva il divieto di cumulo con il credito d’imposta ricerca e sviluppo, consentendo quindi l’utilizzo combinato delle due agevolazioni.
“Un passo necessario – spiega Pedrielli – perché l’esclusione della cumulabilità avrebbe costituito un vincolo pesante sull’utilizzo del nuovo strumento rispetto a un’altra agevolazione già conosciuta e apprezzata dalle imprese”.
Il rovescio della medaglia, tuttavia, sta nel fatto che “ponendosi nelle stesse condizioni del credito d’imposta R&S, espone le aziende a dei dubbi e delle complessità di valutazioni successive dall’ente di riferimento e questo potrebbe scoraggiare il ricorso a questo strumento, per paura di esporsi a eventuali controlli poco chiari con l’AdE”, spiega.
A questo si aggiunge il fatto che, a differenza del credito d’imposta in R&S, nel nuovo Patent Box non è prevista, ad oggi, una revisione dei costi da parte di un revisore contabile.
“Adesso si fa tutto in autocertificazione, che è un’ulteriore responsabilità del legale rappresentante”, aggiunge Iubatti. “Questo dovrebbe essere uno degli aspetti da sanare, perché la presenza di un terzo, con queste competenze dovrebbe essere indispensabile”.
Un approccio tecnico alla finanza agevolata
Incertezze che rischiano di ridurre l’attrattività della misura, che invece può essere anche per le piccole realtà un valido strumento per incentivare l’innovazione all’interno dell’azienda e creare valore aggiunto.
Questo è lo scopo anche dei servizi di consulenza di Archita, che proprio in virtù del background dei suoi fondatori – tutti ingegneri con anni di esperienza nell’ambito di consulenza alle imprese – si rivolge alle imprese come partner per sfruttare gli strumenti di finanza agevolata per fare innovazione.
“Archita non è la classica società che fa consulenza in materia di finanza agevolata – spiega Iubatti – In questo ambito seguiamo solo quelle organizzazioni che hanno la necessità di avere una dualità sia finanziaria-economica che tecnico-ingegneristica. Questo ci ha permesso di presentarci come partner tecnici di tante realtà che fanno finanza agevolata o che vendono questo tipi di servizi”.
Un approccio che l’azienda riesce ad offrire anche grazie alla cultura e l’organizzazione interna: Archita è infatti un’azienda giovane – 16 dipendenti, con età media al di sotto dei 30 anni – da sempre determinata a sviluppare all’interno le competenze necessarie per i servizi offerti alle aziende.
Una realtà in cambiamento, volta sia a cogliere le esigenze del mercato (soprattutto per temi di sostenibilità e innovazione), che alla valorizzazione della forza lavoro interna (quasi tutti dipendenti) e delle competenze in possesso.
Competenze che permettono di seguire i clienti in tutto il percorso che porta all’ottenimento dell’agevolazione e di farlo cercando di promuovere, al tempo stesso, la cultura dell’innovazione all’interno delle realtà con cui entrano in contatto, anche a servizi di informazione rivolti ai clienti.
Un approccio tecnico ma personalizzato che, come conferma Iubatti “è riconosciuto e apprezzato dalle aziende, sia PMI che grandi realtà” e che ha permesso all’azienda di essere inserita, lo scorso anno, nelle top aziende cresciute di più dal punto di vista del fatturato da Il Sole 24 ore, passando dal milione fatturato nel 2017 ai 3,5 milioni del 2021.