Il caro-energia mette in crisi acciaio, vetro, carta e ceramica: l’allarme delle imprese

Le aziende dei settori energivori faticano a conciliare la sostenibilità della produzione con costi dell’energia in aumento esponenziale. E si tratta di settori cruciali per l’economia italiana, da quello siderurgico e delle fonderie fino ai produttori di carta, vetro e ceramica: una loro crisi si rifletterebbe a cascata su tutto il tessuto imprenditoriale. È per questo che Italia 4.0 ha raccolto dati e opinioni di Fabio Zanardi, Presidente Assofond, Alessandro Banzato, Presidente di Federacciaio, Lorenzo Poli, Presidente Assocarta, Graziano Marcovecchio, Presidente Assovetro, e Giovanni Savorani, Presidente di Confindustria ceramiche.

Pubblicato il 12 Gen 2022

Italia acciaio


Il costo dell’energia è ormai ai primi posti nelle agende delle industrie e delle associazioni che le rappresentano. Se ne ne è parlato nella puntata di Italia 4.0, la trasmissione di Class CNBC condotta da Simone Cerroni, in onda mercoledì 12 gennaio alle 21 sul canale 507 di Sky e disponibile in streaming sul canale video di Milano Finanza.

Il biennio che si è appena concluso è stato uno dei più complicati degli ultimi decenni: alla profonda crisi produttiva, economica e sociale dell’anno pandemico è infatti seguito un 2021 di sostanziale ripresa che si è però scontrata con gravi carenze negli approvvigionamenti – dalle materie prime a prodotti intermedi come i semiconduttori – e aumenti incontrollati dei prezzi, compresi quelli dell’energia. In questo quadro inflattivo si situa la grave difficoltà che le aziende energivore incontrano nel consiliare la sostenibilità della produzione con costi dell’energia in aumento esponenziale.

Queste industrie appartengono a settori cruciali da quello siderurgico e delle fonderie fino ai produttori di carta, vetro e ceramica: se andassero in crisi questo si rifletterebbe a cascata su dozzine di altre realtà produttive. È per questo che Italia 4.0 ha raccolto dati e opinioni di Fabio Zanardi, Presidente Assofond, Alessandro Banzato, Presidente di Federacciaio, Lorenzo Poli, Presidente Assocarta, Graziano Marcovecchio, Presidente Assovetro, e Giovanni Savorani, Presidente di Confindustria ceramiche.

I numeri di un grande settore produttivo

Per inquadrare meglio la questione, basti pensare che le industrie energivore italiane danno 88 miliardi di valore aggiunto l’anno, esportano il 55% del fatturato e impiegano 350 mila persone, che raddoppiano considerando l’indotto.

Questo variegato settore produttivo potrebbe dover spendere, per l’energia, 36 miliardi nel 2022 (stima CGIA di Mestre): è una cifra impressionante che deriva da una tariffa media che viene stimata in 150 euro/Megawattora. Scorporando il dato su base territoriale le proiezioni parlano di 22 miliardi a carico delle imprese del Nord, 8,5 dei quali per la sola Lombardia.

Confindustria arriva a stime simili – 37 miliardi nel 2022 – e le raffronta agli 8 miliardi del 2019 e ai 21 del 2020: un aumento del 462% in 3 anni. Allarmante è anche l’inflazione mensile: i dati Istat raccontano di un 1,3% registrato a maggio e giugno 2021, un quasi raddoppio al 2,5% a settembre e un ulteriore incremento al 3,9% a dicembre.

Allarme siderurgia

Le testimonianze dei relatori sono valide in generale per i vari settori e si basano su dati di prima mano dato i presidenti delle associazioni sono essi stessi industriali di settore. Una prima contromisura possibile contro il caro-bollette è spostare la produzione nelle fasce orarie nelle quali l’energia è meno costosa ma non è un’azione risolutiva.

Banzato (Federacciaio) ricorda infatti che “nel corso della giornata la produzione viene tagliata e spostata in orari più favorevoli ma è un palliativo dato che il risparmio è lontano dal compensare gli aumenti. Ricordiamo che la bolletta media dell’energia per un produttore di acciaio era di circa 10 milioni al mese ma oggi parliamo di 35 milioni”. Si è anche provveduto ad allungare le fermate nel periodo natalizio, anticipando lo stop produttivo e allungando il periodo di chiusura. È chiaro che questi arresti produttivi con gli addetti all’interno degli impianti riducono solo parzialmente i costi e quindi questa contromisura non è sostenibile oltre il breve termine.

La produzione dell’acciaio in Italia nei primi 11 mesi del 2021 si è attestata a 22,9 milioni di tonnellate, con un recupero del 22% rispetto al 2020 che l’ha riportata ai livelli pre-pandemia: +0,5% rispetto al 2018. per fare un confronto la produzione cinese è stata di 1 miliardo di tonnellate nel 2020, il 56,7% del totale globale. Ancor più impressionate è stata la scalata nello share mondiale: in 15 anni la produzione cinese è passata dal 15% al 50%.

La situazione delle fonderie appare meno critica ma non lascia comunque spazio all’ottimismo dato che la bolletta energetica rappresenta circa il 10% dei costi totali ma è in fortissima crescita.

Zanardi (Assofond) ha riportato le cifre della sua azienda: si tratta di “una fonderia che ha circa 250 addetti e 50 milioni di fatturato e che ha sperimentato un aumento dei costi dell’energia del 300%, passando da 5 a 15 milioni l’anno. 10 milioni in più sono il 20% del fatturato, un valore che rende insostenibile l’attività”.

Il settore delle fonderie si occupa sia metalli ferrosi, come la ghisa e l’acciaio, sia di fusioni in Alluminio, Zinco e leghe di Rame fatturando in Italia 6,5 miliardi con 29 mila addetti. Le circa 1.000 PMI del settore, non potendo contare su azioni di “calmiere” dei prezzi, cercano di mitigare le difficoltà date dal caro-energia aumentando i prezzi. Si tratta di un’azione rischiosa perché se non tutti i clienti accettano questi rincari le aziende sono costrette a interrompere l’attività per non produrre in perdita. Una situazione critica con aspetti paradossali perché gli ordinativi sono a livelli che non si vedevano da più di 10 anni.

Il lavoro delle fonderie è al 95% in subfornitura con i committenti che sono molto più grandi delle aziende di settore e quindi anche una contrattazione sui prezzi è molto complicata. Aumentare i prezzi espone quindi a rischi quali penali, cause legali e ritorsioni commerciali oltre alle perdite di immagine e di mercato. Alcune fonderie hanno allungato la fermata natalizia fino a 50 giorni ma a questa situazione già critica si è aggiunto, dal 10 gennaio, un onere aggiuntivo di 40 euro/Megawattora.

La ceramica

Anche Federceramica lancia l’allarme per bocca di Savorani: “la spesa per il gas era di circa 250 milioni l’anno ma le nostre previsioni per il 2022 ora la stimano in 1,25 miliardi. Dato che il fatturato non arriva a 6 miliardi è praticamente impossibile aggiungere un miliardo ai costi e rimanere sostenibili“.

Il settore è in buona salute: la produzione 2021 è stimata da Prometeia in 458 milioni di mq, in aumento del 12% rispetto all’ultimo anno “normale”, il 2019. Le esportazioni sono salite a 367 milioni di mq, equivalenti a +13%, ma anche il mercato domestico è stato in buona salute, con un +9%.

Nonostante questo quadro positivo esistono aziende che stanno attivando la cassa integrazione pur in presenza di ordini sostanziosi, mentre altre usano strumenti quali la fermata per manutenzione o il porre in ferie gli addetti per prendere tempo. Il mese di febbraio viene visto come un redde rationem per capire chi ripartirà, anche a rischio perdite, e chi no. Si può pensare a un adeguamento dei prezzi ma esso sarà comunque graduale mentre le bollette aumentano molto velocemente.

L’industria cartaria è in sofferenza

Poli, Presidente di Assocarta. ha fatto presente che nel 2021 il costo dell’energia, in precedenza secondo solo a quello delle materie prime fibrose, è diventato il costo principale. Anche le cartiere hanno prolungato le chiusure natalizie ma la strategia di ‘inseguire’ le fasce orarie più economiche non è proponibile perché “il tempo di avvio di una cartiera è di circa 8 ore ed è quindi impossibile lo spegnimento nelle ore di maggior costo dell’energia. È per questo che, pur producendo in perdita, non possiamo non lavorare perché abbiamo dei contratti che dobbiamo onorare”. La fermata di un’azienda che ha comunque costi fissi elevati è l’ultima misura da prendere ma anche quelle intermedie non sono agevoli.

L’industria cartaria italiana è al 3° posto in Europa per la produzione di carta e cartone e impiega quasi 19 mila addetti in 153 impianti di 119 imprese. È una realtà solida che ha retto meglio di altre le perdite nel confronto 2019/2020: la produzione è scesa del 4,1% nel 2020, le esportazioni del 5% in peso e dell’11% in valore e il fatturato del 12,5%.

L’industria del vetro e le sue peculiarità

Anche la produzione del vetro è un settore importante sia per il consumo energetico sia per il suo essere il primo anello di una catena produttiva molto variegata. La realtà italiana di settore è fatta di 32 grandi aziende con circa 60 stabilimenti produttivi e e 150 aziende più piccole che si occupano di trasformazione. La produzione di 5,4 milioni di tonnellate mette l’industria italiana al secondo posto in Europa mentre i dati economici parlano di un fatturato di 6,7 miliardi con un valore aggiunto di 2,4 miliardi. La forza lavoro è di circa 58 mila addetti, divisa equamente fra dipendenti diretti e dell’indotto, e il consumo energetico è rilevante. Parliamo infatti di 1,1 miliardi di m3 di metano l’anno e 3 TWh (3 milioni di Megawattora) di energia elettrica. I costi di produzione, in condizioni ‘normali’, prevedono il 30% da imputare ai vettori energetici mentre il materiale viene riciclato al 30%, una quota che situa l’Italia ai primi posti in Europa.

Marcovecchio, Presidente di Assovetro, evidenzia come “i manuali dell’economia direbbero di fermarci per non lavorare in perdita ma la produzione del vetro non è interrompibile perché un altoforno a 1.600 °C ha una vita utile di 20 anni ma questa durata la si raggiunge se non lo si spegne mai. Fermarsi equivale quindi a perdere capacità produttiva. Se prima il costo dell’energia era il 30% dei costi totali si capisce bene che la bolletta attuale, che moltiplica quel dato per 4, non consente più di lavorare se non in perdita”. Processi di spegnimento sono possibili solo per le lavorazioni seconde e terze del vetro, non per la produzione primaria.

La crisi dei prezzi è globale

Le tensioni sulle materie prime colpiscono ovviamente tutti i Paesi e particolarmente critica appare quella del gas naturale, acuita da tensioni geopolitiche come quelle sul gasdotto Nord Stream 2.

Il confronto con la situazione degli altri Paesi è quindi una sorta di ‘atto dovuto’ anche perché, come visto, le aziende italiane esportano molto. Dal lato dell’acciaio il confronto con Germania e Francia fa rilevare differenze importanti. Gli operatori francesi possono attingere fino al 60% dell’energia ad un prezzo calmierato di 42 euro/Megawattora mentre in Italia il prezzo corrente è di 250 euro.

Il settore si sta attivando verso il Governo perché aiuti la produzione italiana in questo senso, pena l’essere messi fuori mercato. La filiera delle fonderie auspica che una maggiore attenzione del Governo perché le imprese italiane abbiano altri strumenti per compensare il caro-energia oltre al mero aumento dei prezzi, che potrebbe metterle fuori mercato.

Si è citata la Spagna, che ha introdotto una Robin Tax che redistribuisce parte degli utili degli operatori dell’energia, cresciuti oltre ogni aspettativa, ai settori energivori, in forte sofferenza. Il settore della ceramica è molto sofferente anche in Spagna, forse più che in Italia, e si leva una forte critica per la politica energetica europea. La transizione energetica, peraltro necessaria, è stata congegnata male ed è diventata preda di speculazioni forsennate. Assoceramica ha sperimentato forni elettrici e a Idrogeno ma l’energia elettrica è diventata troppo cara.

Una redistribuzione deficitaria

Da parte di Assocarta si rileva che non è possibile scaricare interamente a valle, e cioè sui prezzi, gli aumenti dei costi ma dall’altra si rischia di uscire dal campo della sostenibilità. Il sistema europeo per lo scambio delle quote di emissione ETS si basa su un limite che stabilisce la quantità massima che può essere emessa dagli impianti che rientrano nel sistema: entro questo limite, le imprese possono acquistare o vendere quote in base alle loro esigenze.

Questo meccanismo prevede, saggiamente, una redistribuzione delle aste in modo che il 50% vada alle imprese energivore, che sono particolarmente svantaggiate. Questo meccanismo, a differenza di quel che accade in altri Paesi, in Italia è praticamente fermo svantaggiando le imprese. Nel settore del vetro si riscontra che in altri Paesi si è pianificata meglio la transizione energetica. Al di là dei temi geopolitici – l’ltalia è molto dipendente dal gas russo – la questione degli ETS è molto pesante: il loro prezzo è passato per la speculazione da 4,5 euro a quasi 100 euro in 3 anni e nel nostro Paese la redistribuzione langue.

Nella tavola rotonda di Italia 4.0 si è discusso anche delle tensioni sulle materie prime, delle azioni del Governo contro le speculazioni e di altro ancora.

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Nicodemo Angì

Metà etrusco e metà magno-greco, interessato alle onde (sonore, elettriche, luminose e… del mare) e di ingranaggi, motori e circuiti. Da sempre appassionato di auto e moto, nasco con i veicoli “analogici” a carburatore e mi interesso delle automobili connesse, elettriche e digitali.

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