Nel corso del 2020 l’Italia ha fatto dei progressi nel digitale, soprattutto in termini di connettività, ma resta ancora ampiamente al di sotto della media europea sul fronte delle competenze digitali, ambito nel quale il Belpaese si piazza tra gli ultimi classificati in Europa, al terzultimo posto. È la situazione che emerge dall’edizione 2021 dell’indice Desi, lo strumento con cui la Commissione europea misura il progresso digitale negli Stati membri.
Se la classifica generale vede l’Italia risalire di qualche posizione, passando dal 25° al 20° posto, il rapporto evidenzia ancora un grave ritardo sulle competenze digitali (sia di base che avanzate) che, avverte la Commissione, rischia di escludere parte della popolazione dall’accesso ai servizi digitali e limitare la capacità innovativa delle imprese.
Il rapporto del 2021 presenta principalmente i dati del primo o del secondo trimestre del 2020 e fornisce alcune indicazioni sui principali sviluppi dell’economia e della società digitali durante il primo anno della pandemia di Covid-19.
Tuttavia, i dati non tengono conto dell’effetto della pandemia sull’uso e sull’offerta di servizi digitali, né dei risultati delle politiche attuate nel frattempo, che saranno più visibili nell’edizione 2022.
Indice degli argomenti
Capitale umano, Italia ancora tra gli ultimi in Europa
Sembra, invece, uno scoglio insormontabile quello del capitale umano. Un ambito dove, spiega il rapporto, “l’Italia è significativamente in ritardo rispetto ad altri paesi dell’UE”, classificandosi addirittura al 25º posto, con un punteggio di 35,1 (la media UE è di 47,1).
Infatti, l’Italia registra livelli di competenze digitali di base e avanzate molto bassi rispetto alla media UE. Solo il 42 % delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede perlomeno competenze digitali di base (56 % nell’UE) e solo il 22 % dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (31 % nell’UE).
La percentuale di specialisti ICT in Italia è pari al 3,6 % dell’occupazione totale, ancora al di sotto della media UE (4,3 %). L’analisi della Commissione europea evidenzia un grande problema di attrattività del settore: infatti, solo l’1,3 % dei laureati italiani sceglie discipline ICT, un dato ben al di sotto della media UE.
Le prestazioni dell’Italia sono più vicine alla media UE per quanto riguarda invece gli specialisti ICT di sesso femminile, che rappresentano il 16 % del totale (la media UE è del 19 %).
Male anche il dato relativo alla formazione specializzata fornita dalle imprese: solo il 15 % eroga ai propri dipendenti formazione in materia di ICT, cinque punti percentuali al di sotto della media UE.
La mancanza di adeguate competenze digitali è un problema che il nostro Paese deve affrontare con urgenza, sottolinea il rapporto, poiché “rischia di tradursi nell’esclusione digitale di una parte significativa della popolazione e di limitare
la capacità di innovazione delle imprese”.
Positivo il giudizio dato sulla Strategia Nazionale per le Competenze Digitali – il Piano del Governo che prevede 111 azioni specifiche per colmare il gap di competenze – che la Commissione giudica “un risultato importante e un’opportunità per colmare questo divario”.
Tuttavia, si sottolinea nel rapporto, “è fondamentale porre maggiormente l’accento sul capitale umano e proseguire gli sforzi in materia di istruzione, riqualificazione e miglioramento delle competenze e formazione sul posto di lavoro in settori ad alta intensità tecnologica”.
L’Italia ha fatto dei progressi in connettività, ma rallenta la diffusione della fibra
Il rapporto traccia i progressi compiuti negli Stati membri dell’UE in materia di competitività digitale nei settori del capitale umano, della connettività a banda larga, dell’integrazione delle tecnologie digitali da parte delle imprese e dei servizi pubblici digitali.
Il miglioramento della posizione in graduatoria dell’Italia è dovuto, principalmente, ai passi in avanti fatti in termini sia di copertura che di diffusione delle reti di connettività, con un aumento particolarmente significativo della diffusione dei servizi di connettività che offrono velocità di almeno 1 Gbps.
Tuttavia il ritmo di dispiegamento della fibra è rallentato tra il 2019 e il 2020 e sono necessari ulteriori sforzi per aumentare la copertura delle reti ad altissima capacità e del 5G e per incoraggiarne la diffusione.
Complessivamente, per questo ambito, il nostro Paese a posizionarsi al 23º posto, con un punteggio di 42,2, comunque inferiore alla media europea di 50,2.
Servizi pubblici digitali
La mancanza di competenze digitali influenza anche l’uso dei servizi digitali da parte della cittadinanza. In questo ambito, l’Italia si posiziona al 18º posto nell’UE
La percentuale di utenti online italiani che utilizzano servizi di amministrazione online (e-government), infatti, è aumentata dal 30 % nel 2019 al 36 % nel 2020, ma è ancora nettamente al di sotto della media europea del 64%.
Anche l’uso dei fascicoli sanitari elettronici da parte dei cittadini e degli operatori sanitari rimane disomogeneo su base regionale.
L’Italia ottiene risultati migliori rispetto all’UE per quanto riguarda l’offerta di servizi pubblici digitali per le imprese e i dati aperti. Tuttavia, si colloca al di sotto della media UE in termini di offerta di servizi pubblici digitali per i cittadini e disponibilità di moduli precompilati.
Nel 2020 e nel 2021 si è registrata una forte accelerazione nell’adozione di importanti piattaforme abilitanti per i servizi pubblici digitali. Il numero di identità digitali emesse (SPID) ha raggiunto i 20 milioni in aprile 2021, con un aumento del 400 % rispetto ad aprile 2019.
In crescita anche le amministrazioni pubbliche che utilizzano lo SPID, che hanno toccato quota 7,420, con un aumento dell’80 % rispetto al 2020. Cresce il bacino di utenza anche per l’app IO, che in un anno ha fatto registrare circa 11 milioni di download.
Nonostante la posizione in classifica del nostro Paese, la Commissione sembra fiduciosa che le politiche adottate in questo ambito permetteranno al Paese di fare ulteriori passi in avanti, soprattutto se accompagnate a “sforzi di semplificazione, provvedimenti volti a garantire l’interoperabilità e lo sviluppo di capacità nella pubblica amministrazione”.
Integrazione delle tecnologie digitali, Italia nella top ten europea
Diversa la situazione per quanto riguarda l’integrazione delle tecnologie digitali, dove l’Italia si colloca in decima posizione, con un punteggio superiore rispetto alla media europea (rispettivamente 41,4 e 37,6).
Un risultato a cui contribuisce l’alto livello di digitalizzazione delle nostre imprese, anche tra le PMI. La maggior parte delle PMI italiane, infatti, ha un livello di intensità digitale almeno di base (69 %, ben al di sopra della media UE del 60 %).
Le imprese italiane fanno registrare ottimi risultati nell’uso della fatturazione elettronica: il 95 % di esse la utilizza, un dato quasi tre volte superiore alla media UE e frutto di interventi legislativi tra il 2014 e il 2019. Inoltre, dal 2018 al 2020 la percentuale di imprese che utilizzano servizi cloud è aumentata notevolmente, raggiungendo il 38 % (rispetto al 15 % del 2018).
Tuttavia, le prestazioni dell’Italia restano deboli in altre aree. L’uso dei Big Data è basso (sono utilizzati dal 9 % delle imprese italiane rispetto a una media UE del 14 %), come pure l’uso di tecnologie basate sull’Intelligenza Artificiale (18 % delle imprese italiane, mentre la media UE è del 25 %).
Anche la diffusione del commercio elettronico e l’uso delle TIC per la sostenibilità ambientale sono al di sotto della media UE.
Il quadro europeo
Tutti gli Stati membri dell’UE hanno fatto registrare progressi nel settore della digitalizzazione, ma il quadro generale negli Stati membri è eterogeneo e il divario tra i Paesi con i punteggi Desi più alti e quelli con i punteggi più bassi rimane ampio, sebbene si noti una certa convergenza.
Nelle posizioni alte della classifica troviamo Danimarca, Finlandia e Svezia, mentre le ultime posizioni sono occupate da Grecia, Bulgaria e Romania.
Nonostante i miglioramenti registrati, la Commissione sottolinea che tutti gli Stati membri dovranno compiere sforzi concertati per conseguire gli obiettivi per il 2030 stabiliti nel decennio digitale europeo.
“Il messaggio dell’indice di quest’anno è positivo: tutti i paesi dell’UE hanno compiuto progressi verso una maggiore digitalizzazione e competitività, ma si può fare di più. Stiamo quindi collaborando con gli Stati membri per garantire la realizzazione degli investimenti chiave attraverso il dispositivo per la ripresa e la resilienza al fine di offrire a tutti i cittadini e a tutte le imprese il massimo delle opportunità digitali”, commenta Margrethe Vestager, Vicepresidente esecutiva per la strategia “Un’Europa pronta per l’era digitale”.
L’edizione 2021 del rapporto è stata adeguato per riflettere le principali iniziative strategiche, tra cui la “Bussola per il digitale 2030: il modello europeo per il decennio digitale”, che definisce le ambizioni dell’Europa per quanto riguarda il digitale e illustra le prospettive per la trasformazione digitale e gli obiettivi concreti per il 2030 articolati in 4 punti cardinali: competenze, infrastrutture, trasformazione digitale delle imprese e digitalizzazione dei servizi pubblici.
Per quanto riguarda le competenze digitali, il 56% delle persone nell’UE possiede almeno competenze digitali di base. I dati mostrano un leggero aumento dell’impiego di specialisti TIC: nel 2020 erano 8,4 milioni gli specialisti TIC che lavoravano nell’UE, rispetto ai 7,8 milioni dell’anno precedente.
Poiché il 55% delle imprese ha segnalato difficoltà nell’assumere specialisti TIC nel 2020, tale la mancanza di dipendenti con competenze digitali avanzate è uno dei fattori che ha determinato una trasformazione digitale delle imprese più lenta in molti Stati membri.
I dati indicano la necessità di una maggiore offerta e di maggiori opportunità di formazione, al fine di raggiungere gli obiettivi del decennio digitale in materia di competenze (80% della popolazione con competenze digitali di base e 20 milioni di specialisti TIC).
La Commissione prevede miglioramenti significativi nei prossimi anni anche in questo ambito, in virtù del fatto che il 17% degli investimenti nel digitale dei piani per la ripresa e la resilienza finora adottati dal Consiglio riguarda le competenze digitali (circa 20 miliardi di euro, su un totale di 117 miliardi).
La Commissione ha, inoltre, pubblicato oggi il quadro di valutazione relativo alle donne nel settore digitale, che conferma che permane un notevole divario di genere nelle competenze digitali specialistiche. Infatti, sono donne solo il 19% degli specialisti TIC e circa un terzo dei laureati in materie di ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico.
I dati sulla connettività mostrano un miglioramento per quanto riguarda soprattutto le “reti ad altissima capacità” (VHCN), che sono ora disponibili per il 59% delle famiglie dell’UE. Si tratta di un dato in crescita rispetto al 50% di un anno fa, ma siamo ancora lontani dalla copertura universale delle reti Gigabit (obiettivo del decennio digitale per il 2030).
La copertura VHCN delle zone rurali è passata dal 22% nel 2019 al 28% nel 2020. Inoltre, 25 Stati membri hanno assegnato una parte dello spettro 5G, rispetto ai 16 di un anno fa. In 13 Stati membri sono state lanciate reti 5G commerciali, principalmente in aree urbane.
Ulteriori progressi arriveranno con i PNRR nazionali, dal momento che l’11% degli investimenti nel digitale dei piani per la ripresa e la resilienza adottati dal Consiglio (circa 13 miliardi di euro su un totale di 117 miliardi) è destinato alla connettività.
Per quanto riguarda l’integrazione delle tecnologie digitali, si è registrato un forte aumento dell’utilizzo delle tecnologie cloud (dal 16% delle imprese nel 2018 al 26% nel 2020). Le grandi imprese continuano a svolgere un ruolo guida nell’uso delle tecnologie digitali: rispetto alle PMI utilizzano molto di più, ad esempio, la condivisione elettronica delle informazioni attraverso sistemi di pianificazione delle risorse aziendali (ERP) e il software cloud (l’80% delle grandi imprese contro il 35% delle PMI per l’ERP e il 48% delle grandi imprese contro il 25% delle PMI per il cloud).
Tuttavia, solo una minima parte delle imprese utilizza tecnologie digitali avanzate: il 14% utilizza i Big Data, il 25% utilizza l’Intelligenza Artificiale e il 26% utilizza il cloud.
Dati che indicano che l’attuale stato di adozione delle tecnologie digitali è lontano dagli obiettivi del decennio digitale. L’ambizione dell’UE per il 2030 è che il 90% delle PMI abbia almeno un livello di base di intensità digitale rispetto all’obiettivo di riferimento del 60% entro il 2020 e che almeno il 75% delle imprese utilizzi tecnologie digitali avanzate entro il 2030.
Attualmente, solo una minima parte delle imprese utilizza i Big Data anche nei Paesi con i migliori risultati, rispetto all’obiettivo comune del 75%. Dei fondi messi a disposizione dai PNRR nazionali, circa 18 miliardi di euro sono destinati a capacità digitali e a ricerca e sviluppo digitale.
Nei dati sui servizi pubblici digitali non figurano ancora miglioramenti significativi dei servizi di e-government, nonostante durante il primo anno della pandemia diversi Stati membri hanno creato o potenziato piattaforme digitali per fornire un maggior numero di servizi online.
Il 37% degli investimenti nel digitale dei piani per la ripresa e la resilienza adottati dal Consiglio (circa 43 miliardi di euro) è destinato ai servizi pubblici digitali, per cui la Commissione prevede miglioramenti significativi nei prossimi anni.
“Fissare gli obiettivi per il 2030 è stata una tappa importante, ma ora dobbiamo ottenere risultati concreti. Il DESI 2021 mostra progressi, ma indica anche dove dobbiamo fare meglio collettivamente in modo che i cittadini e le imprese europei, in particolare le PMI, possano disporre di tecnologie all’avanguardia che renderanno le loro vite migliori, più sicure e più verdi”, commenta Thierry Breton, Commissario per il Mercato Interno.
Il rapporto
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