Al giorno d’oggi un microchip si trova praticamente ovunque: dai televisori ai computer, dagli smartphone alle automobili ai sistemi produttivi e IoT.
E, come è noto, dalla prima ripresa da pandemia Covid 19 a livello planetario, è esplosa la crisi dei chip, dato che per una serie di ragioni concomitanti – dal boom della domanda di elettronica consumer come conseguenza della pandemia alla scarsità dei produttori di questi componenti di silicio, ma anche incendi e imprevisti che hanno bloccato alcune fabbriche e produzioni –, questi componenti fondamentali di ogni dispositivo sono diventati improvvisamente scarsi.
Cosa e come fare? All’argomento l’associazione Anie Componenti Elettronici – che fa parte di Federazione Anie – ha dedicato un webinar intitolato Semiconductors World – La macchina produttiva e supply chain dei componenti elettronici, proprio per cercare di indagare meglio la situazione e le prospettive.
Innanzitutto meglio non farsi troppe illusioni: produrre microchip è complesso e costa moltissimo, per cui non è affatto facile aumentarne i siti e stabilimenti produttivi, come in molti penserebbero di fare. Per questioni di tempi e costi di produzione, molto difficilmente la situazione cambierà a breve in modo sostanziale. Non ci sono bacchette magiche nel mondo del silicio.
Quindi bisogna fare di necessità virtù, bisogna considerare bene che questa carenza mondiale di microchip non è solo una crisi congiunturale ma qualcosa di più strutturale e continuativo nel tempo. Per correre ai ripari, occorre riconsiderare e rafforzare l’ingegneria dei materiali e dei componenti (elettronici), ottimizzarne l’uso e le scelte di utilizzo, aggiornare e ottimizzare anche la supply chain delle tecnologie e dell’elettronica. Insomma, se non si possono creare dal nulla ‘campi’ di silicio e microchip, si può e si deve riconsiderare tutto ciò che riguarda il loro utilizzo, progettazione, recupero, risparmio.
“I semiconduttori sono una componente essenziale per il funzionamento del mondo moderno, sempre più responsabili del progresso umano in ogni ambito. Impiegati in tutti i settori che producono e fanno uso di prodotti elettronici, dal mondo consumer all’industria manifatturiera al contesto medicale, senza di essi non potrebbe esistere la tecnologia che impieghiamo nella vita di tutti i giorni”, rimarca Luciano Pini, presidente di Anie Componenti Elettronici.
Che osserva: “Oltre la metà di tutti i semiconduttori che vengono realizzati e utilizzati nel mondo sono destinati a prodotti consumer come computer, smartphone e televisori digitali. Solo circa il 12% dei microchip viene impiegato dal mondo dell’industria, e soltanto il 10% del totale dal settore Automotive. Una grossa fetta, pari al 24% del totale, in pratica un chip su quattro tra quelli prodotti, viene invece installato in infrastrutture di TLC e reti mobili, ancora di più con lo sviluppo delle nuove reti 5G”. Non sono quindi l’industria e l’Automotive a ‘mangiarsi’ la gran parte dei microchip in circolazione, bensì il variegato universo dei prodotti elettronici consumer, computer e telefonia.
Nel mondo i produttori di semiconduttori non sono moltissimi: i chip più evoluti e sofisticati vengono realizzati soprattutto a Taiwan, quelli specializzati nelle loro memorie si trovano innanzitutto in Corea del Sud (Samsung) e Giappone, poi ci sono anche aziende specializzate americane ed europee.
L’autosufficienza ha costi troppo alti (e la concentrazione paga)
Ma una recente analisi del settore realizzata da Boston Consulting Group mette in evidenza alcune certezze piuttosto scomode: l’autosufficienza nel mondo dei semiconduttori ha costi altissimi, costerebbe oltre un triliardo di dollari (per la precisione 1,3 triliardi di dollari), più 100 miliardi di dollari l’anno di costi operativi, proprio perché costa moltissimo realizzare la fabbriche di microchip e poi farle funzionare.
“Puntare a regionalizzare la produzione di semiconduttori, puntare all’autosufficienza in questo campo è una chimera praticamente irrealizzabile o comunque non conveniente”, sottolinea Gabriele Braga, membro del managing board di Anie Componenti Elettronici.
E sottolinea invece: “questa situazione di interdipendenza, nella produzione e nell’uso di chip a livello mondiale, permette di tenere più bassi i costi e quindi i prezzi dell’elettronica, che altrimenti crescerebbero si stima almeno del 50-60% proprio a causa dei maggiori costi se la produzione fosse più distribuita e parcellizzata”.
Per questo lo specialista di Anie Componenti Elettronici fa anche notare che “molto difficilmente l’attuale situazione di scenario cambierà in tempi brevi e in modo sostanziale: basti considerare che per costruire da zero una nuova fabbrica di microchip occorrono alcuni anni e i costi ammontano a decine di miliardi di dollari. Per questo una possibile via d’uscita alla scarsità di semiconduttori a livello mondiale sta ad esempio nel ripensare e aggiornare l’ingegneria dei materiali e dei componenti elettronici – a livello di progetto, e poi di produzione –, ottimizzare le scelte d’uso dei chip, ridurre i costi collegati, ed è anche molto importante, in questo quadro e in prospettiva, ottimizzare le supply chain per lo sviluppo di tecnologie ed elettronica”.
Da Anie Componenti Elettronici fanno anche notare che circa il 60% di questi componenti elettronici essenziali “vengono utilizzati – e quindi prodotti in proprio o acquistati – a livello globale da non più di una decina di grandi nomi della tecnologia mondiale, come Apple, Samsung, Hp, Huawei, Lenovo, per cui il mercato è facilmente influenzabile dalle mosse, dalle richieste e strategie di questi colossi”. Ma la situazione non cambierà tanto facilmente, il gigantesco mondo delle nuove tecnologie e del digitale rischia di essere messo in difficoltà dall’infinitamente piccolo di un microchip di silicio.