Il tragico 2020 sarà ricordato dagli addetti ai lavori anche per questo: lo scorso anno in Italia gli investimenti per l’efficienza energetica nel comparto industriale – che ammontano a poco più di 2 miliardi di euro, di cui il 90% in tecnologie hardware e solo l’8% in software per il monitoraggio dei cicli produttivi – sono diminuiti di circa il -20% (per la precisione, del 19,6%) rispetto all’anno precedente.
Ma non è tutta colpa del Covid 19. Già nel biennio 2018-2019 era in atto una frenata, anche come conseguenza di un quadro normativo incerto – in particolare, per ciò che riguarda i Certificati Bianchi – e orientato in direzioni opposte a quelle segnalate dagli operatori come necessarie per riprendere la crescita. Le barriere più rilevanti agli investimenti in efficienza energetica si confermano quelle relative agli eccessivi tempi di ritorno, all’incertezza del quadro normativo e all’interazione critica con il processo produttivo, seppure in flessione rispetto agli anni precedenti. La pandemia, nonostante i pesanti effetti negativi dal punto di vista economico, si colloca solo al quarto posto.
Insomma, il quadro della situazione già non brillava in precedenza, poi la pandemia mondiale ha fatto il resto. Ma ora, stando alle analisi e valutazioni del mercato, alle stime delle probabili prospettive, gli operatori sono ottimisti e credono nella ripartenza. È lo scenario che emerge dall’undicesima edizione del Digital Energy Efficiency Report, realizzato dall’Energy&Strategy Group della School of Management presso il Politecnico di Milano.
Più nel dettaglio, quasi il 20% degli investimenti in soluzioni hardware ha riguardato interventi sul processo produttivo (373 milioni di euro), il 18% gli impianti di cogenerazione (350 milioni) e il 15% i sistemi di combustione efficienti (circa 300 milioni), il 12% l’illuminazione (240 milioni); in coda sistemi Hvac, motori elettrici, inverter e sistemi di aria compressa (tra il 7% e il 10% degli investimenti totali). I 168 milioni di euro investiti in soluzioni software, invece, si sono concentrati su monitoraggio e sensoristica di base (oltre il 65% del totale).
È indubbio che la pandemia abbia pesato, portando un rallentamento nelle soluzioni digitali e di flessibilità nell’anno in cui invece ci si aspettava un loro balzo in avanti. Tuttavia, il calo degli investimenti in efficienza energetica nel comparto industriale in Italia è stato solo accelerato dal Covid. Il 2021 ha poi portato a un’ulteriore riforma dei Certificati Bianchi, il 31 maggio scorso è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale l’ennesima riforma, “ma la direzione è ancora quella sbagliata, perché non ha tenuto conto di nessuna delle proposte avanzate dalle imprese del settore”, rimarca Davide Chiaroni, vice direttore dell’Energy&Strategy Group (E&S Group).
Che sottolinea: “un intervento incompleto che si traduce in un rischio per il comparto industriale legato all’efficienza energetica, come investitore o come fornitore di tecnologie o servizi”. L’approvazione da parte dell’Unione europea del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) “è certamente una buona notizia”, osserva Chiaroni, perché “le risorse destinate al Piano Transizione 4.0 potrebbero, secondo le nostre stime, annullare entro il 2023 l’effetto negativo del Covid. Ma non basta: per risolvere i problemi del comparto è necessario andare oltre il PNRR e riprendere in mano seriamente il tema dei Certificati Bianchi. Ci sono lo spazio e il tempo per farlo, le idee e anche la fiducia degli operatori e delle imprese, che guardano agli investimenti in efficienza energetica come a un patrimonio su cui fare leva per l’effettiva ripartenza”.
Nonostante l’introduzione, negli anni, di vari decreti relativi ai Certificati Bianchi e al loro rilancio, il mercato ha continuato il trend di contrazione: nel 2020 sono stati riconosciuti un milione e 720 mila Certificati, circa un milione e 180 mila in meno rispetto al 2019 (-41%, contro il -24% dell’anno precedente). Negli ultimi 2 anni “il numero di Certificati Bianchi riconosciuti è più che dimezzato e questo ha comportato uno squilibrio sul mercato, con gravi conseguenze verso i soggetti obbligati che hanno riscontrato sempre più difficoltà nell’adempimento degli obblighi previsti dalla normativa”, fa notare l’Energy&Strategy Group.
Il solo calo degli investimenti non giustifica questo andamento del mercato, ma la connessione con la diminuzione della richiesta dei Certificati Bianchi ha prodotto un circolo vizioso: meno concessioni hanno portato a meno domande, e viceversa. Nel 2020, infatti, il 90% delle richieste si è concluso negativamente, ben oltre la soglia che ci si attenderebbe da un processo di valutazione efficiente.
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Il PNRR e l’uscita dalla crisi. Ma si può fare di più
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede uno stanziamento di 29 miliardi di euro per l’efficienza energetica nel comparto industriale e dei servizi, “permettendo di stimare una crescita anno su anno del 17% e di arrivare al 2023 a quasi 3 miliardi di euro di investimenti, cancellando i danni della pandemia. E tuttavia si può aspirare anche a fare meglio”, nello scenario ‘policy driven’ disegnato dall’E&S Group, “dove accanto al PNRR ci fosse una riforma vera dei Certificati Bianchi, si potrebbe raggiungere al 2023 un livello di investimenti di oltre 3,1 miliardi, pari al 120% di quanto registrato nel 2019”.
Al contrario, in assenza di questi strumenti di stimolo lo scenario attuale avrebbe portato a una crescita lieve degli investimenti nel 2021 (+2% sul 2020), in linea con il 2018-2019, e a una più sostenuta nel 2022-2023, comunque limitata al 5% anno su anno, superando i 2,3 miliardi nel 2023.
Digital energy: data valorization e data monetization
Il Digital Energy Efficiency Report 2021 ha analizzato anche la diffusione in azienda di soluzioni di sfruttamento (valorizzazione o monetizzazione) dei dati energetici. Con data valorization si intende la rielaborazione e il successivo utilizzo dei dati raccolti dalle tecnologie software a supporto di decisioni interne (ad esempio per la negoziazione dei prezzi dell’energia, l’ottimizzazione dei consumi energetici o degli impianti produttivi, la riduzione delle emissioni). Con data monetization si intende invece la vendita di quegli stessi dati.
Il 67% delle imprese analizzate applica la data valorization (il 78% ha sviluppato la soluzione internamente), e nel 90% dei casi usa i dati raccolti per individuare misure di efficienza energetica e ottimizzare i consumi; nel 60% per negoziare il prezzo dell’energia elettrica con il proprio fornitore. Meno diffuso (52%) l’utilizzo di dati per l’ottimizzazione degli impianti produttivi e il monitoraggio delle emissioni. Del 33% che tuttora non applica il paradigma, il 70% dichiara che non lo farà nemmeno in futuro.
Molto meno confortanti i dati relativi alla monetizzazione delle informazioni energetiche: ben il 98% delle imprese ammette di non applicarla e in larghissima parte di non avere intenzione di farlo nemmeno in futuro (90%).